Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16640 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16640 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22622/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
nonché nei confronti
PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI APPELLO DI ANCONA;
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO diANCONA n. 115/2020, depositata il 3/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- NOME COGNOME impugnò, davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, la cartella di pagamento dell ‘ Agenzia delle Entrate n. NUMERO_DOCUMENTO in cui erano indicate le maggiori imposte, accertate con tre diversi avvisi di accertamento emessi a suo carico, per una somma complessiva di euro 4.148.919,17 a titolo di Irpef, Iva e Irap per gli anni 20052006-2007.
Tra le censure formulate avverso il provvedimento, il contribuente eccepì, in particolare, la mancata notifica dei suddetti avvisi di accertamento, chiedendo che fosse dichiarata l ‘ invalidità della cartella di pagamento.
1.1.- Si costituì in giudizio la Direzione Provinciale di Ancona dell ‘ Agenzia delle Entrate, deducendo la regolarità delle notifiche degli avvisi di accertamento, allegandone copia unitamente alle relative relate di notifica.
2.- NOME COGNOME propose, quindi, querela di falso dinanzi al Tribunale di Ancona al fine di contestare la veridicità delle relate di notifica dei tre avvisi di accertamento, chiedendo che venisse accertata e dichiarata la falsità delle sottoscrizioni su di esse apposte in data 30 aprile 2010 a firma ‘ COGNOME ‘.
Il contribuente dedusse di non aver mai ricevuto i predetti avvisi e di non aver mai sottoscritto le relate di notifica, disconoscendo quindi l ‘ autografia delle sottoscrizioni riportate in calce ad esse.
2.1.- Il giudizio pendente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale venne sospeso in attesa dell ‘ esito definitivo del giudizio sulla querela di falso.
2.2.- Si costituì nel giudizio di falso l ‘ Agenzia delle Entrate, deducendo l ‘ inammissibilità della querela, ai sensi dell ‘ art. 221 c.p.c., nonché la sua infondatezza, chiedendo altresì di ammettersi prova testimoniale del messo notificatore del Comune di Fabriano.
2.3.- Con sentenza n. 1297/2015, il Tribunale di Ancona, dopo aver rigettato le richieste istruttorie formulate dall ‘ Agenzia delle Entrate e acquisito la consulenza grafologica, basandosi sugli esiti di quest ‘ ultima accolse la querela di falso e dichiarò la falsità delle sottoscrizioni apposte in calce alle relate degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dell ‘ attore.
3.- Avverso tale sentenza l ‘ Agenzia delle Entrate proponeva gravame dolendosi della contraddittorietà e dell ‘ illogicità della motivazione ed eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, per la sua estraneità all ‘ attività di notificazione, nonché l ‘ inammissibilità della querela di falso e l ‘ erronea valutazione delle risultanze della CTU grafologica da parte del Tribunale.
3.1.- Nel contraddittorio con l ‘ appellato NOME COGNOME costituitosi in giudizio, l ‘ adita Corte di appello di Ancona, con sentenza resa pubblica in data 3 febbraio 2020, respingeva l ‘ impugnazione.
3.1.1. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione di conferma della decisione di primo grado (e per quanto ancora rileva in questa sede), ribadiva la sufficienza degli elementi indiziari forniti dall ‘ attore per la valida proposizione della querela, nonché la valutazione svolta sulle risultanze istruttorie della CTU.
Il giudice di appello, infatti, riteneva che dall ‘ elaborato peritale, così come prima facie dalle scritture di comparazione fornite dall ‘ attore che coprivano un arco temporale ultradecennale, emergeva l ‘ insussistenza di analogie tanto sostanziali e numerose tra la firma dello COGNOME e le sottoscrizioni riportate nelle relate di notifica, che consentissero di attribuire a lui la paternità di queste ultime.
Inoltre, la Corte di merito osservava che la circostanza che il CTU avesse anche dato atto di sostanziali incompatibilità di gesto, non fosse idonea a superare i predetti rilievi, il cui valore probatorio era da considerarsi assorbente. Infatti, secondo il giudice di
secondo grado, solo la presenza di analogie sostanziali avrebbe potuto conferire rilievo alla compatibilità di gesto e, di riflesso, consentire di attribuire le firma all ‘ appellato.
4.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre l ‘ Agenzia delle Entrate, affidando le sorti dell ‘ impugnazione a due motivi di ricorso. Resiste con controricorso NOME COGNOME
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c., 2697, 2700, 2727 e 2729 c.c., per aver la Corte territoriale perimetrato l ‘ oggetto del procedimento alla verifica dell ‘ autenticità delle sottoscrizioni, reputando, invece, irrilevante le attività documentate dall ‘ agente notificatore, che non erano state oggetto di contestazione da parte del querelante.
In particolare, la sufficienza dell ‘ accertamento in ordine all ‘ autografia della firma sarebbe esclusa dalla possibilità di c.d. autofalsificazioni.
Per far fronte a questo rischio, soprattutto là dove il giudizio di falso abbia ad oggetto un atto pubblico, e non una scrittura privata, del quale può comportare il travolgimento, è necessario che il querelante fornisca una prova complessivamente idonea a dimostrare la falsità dell ‘ atto.
Il giudizio volto a privare di efficacia probatoria erga omnes un atto, al quale è riconosciuta fede privilegiata da parte dell ‘ ordinamento, è necessario che consti di un accertamento che coinvolga anche la veridicità delle altre attestazioni, inerenti alle attività compiute in occasione della notifica, e che dunque non si arresti alla falsità della firma.
In questi termini, l ‘ acquisizione della testimonianza del messo comunale, incaricato delle notifiche, richiesta dall ‘ appellante, avrebbe invece potuto fornire le necessarie informazioni sulle
modalità di acquisizione della firma e sull ‘ identificazione del firmatario.
In particolare, la ricorrente si duole del fatto che il giudice del gravame abbia ritenuto non pertinenti i precedenti della giurisprudenza di questa Corte (segnatamente Cass. n. 13216/2007 e Cass. n. 25158/2007), da lei invocati nel giudizio di appello, perché relativi a casistiche a suo avviso diverse, non comprendendo il motivo per cui, se nel caso di notifica da parte di un pubblico ufficiale nelle mani di terzi l ‘ oggetto della querela non è la sottoscrizione, bensì l ‘ attestazione dell ‘ ufficiale giudiziario di quanto avvenuto in sua presenza, nel caso che vede protagonista lo COGNOME ciò non debba parimenti valere.
1.1.Va, in primo luogo, disattesa l ‘ eccezione di inammissibilità del motivo, formulata dal controricorrente, assumendo il difetto del requisito di autosufficienza, poiché non richiama compiutamente gli atti ed i documenti su cui si fonda, onerando il giudice di legittimità di ricercarli.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, stabilito dall ‘ art. 366, comma primo, n. 6), c.p.c. -quale espressione del più generale requisito di specificità dei motivi di impugnazione -non deve essere interpretato in modo rigorosamente formalistico, specie alla luce dei principi affermati dalla sentenza della Corte EDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021. Tale requisito, infatti, non può tradursi in un obbligo, che si declini in termini assoluti, imponendo incondizionatamente la trascrizione integrale degli atti e dei documenti richiamati a sostegno del ricorso. Questo orientamento è stato ribadito da Cass., S.U., n. 8950/2022, che ha affermato che il rispetto del principio di autosufficienza non debba comprimere il diritto di difesa, né ostacolare l ‘ accesso effettivo alla giustizia, penalizzando irragionevolmente il ricorrente per mere carenze formali.
In siffatti termini, il ricorso non può che considerarsi ammissibile qualora, nonostante il difetto di un ‘ elencazione esaustiva della documentazione su cui si basa l ‘ impugnazione, il ricorrente abbia puntualmente illustrato il contenuto rilevante degli stessi a sostegno delle doglianze e abbia specificamente segnalato la loro presenza nei fascicoli del giudizio di merito, come nel caso oggetto del presente giudizio.
1.2.- Il motivo, sebbene ammissibile, è infondato.
Giova premettere che, ai fini dell ‘ ammissibilità della querela di falso avverso un atto proveniente da un pubblico ufficiale, è necessario e sufficiente che il privato aggredisca una delle attestazioni alle quali è riconosciuta fede privilegiata dall ‘ ordinamento giuridico, purché egli fornisca elementi probatori idonei per dimostrare la falsità del documento.
Secondo l ‘ orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, tra le immutazioni del vero, che devono essere necessariamente contestate attraverso querela di falso, figura anche l ‘ attestazione del pubblico ufficiale relativa all ‘ identità del destinatario di una relata di notifica, che la sottoscrizione da lui apposta incorpora.
Infatti, la relazione di notifica, redatta da un pubblico ufficiale nell ‘ esercizio delle sue funzioni, nel caso di specie dal messo notificatore, costituisce piena prova, fino a querela di falso, limitatamente alla data di notificazione e alle dichiarazioni rese dalla persona consegnataria, ai sensi dell ‘ art. 2700 c.c., attestazioni alle quali l ‘ ordinamento riconosce fede privilegiata.
Ove il destinatario, venendo a conoscenza della relata di notifica aliunde , ad esempio nel contesto di un procedimento giurisdizionale a suo carico (come nel caso di specie), si dolga di non aver ricevuto la notificazione, è onerato della proposizione della querela di falso per far accertare il carattere apocrifo della firma, aggredendo in tal guisa l ‘ attestazione con cui il pubblico
ufficiale ha affermato la corrispondenza soggettiva tra il destinatario e il consegnatario/firmatario della relata.
In tale ipotesi, la querela di falso non è tesa ad aggredire sic et simpliciter l ‘ autenticità della sottoscrizione, bensì l ‘ attestazione del pubblico ufficiale in essa insita, vale a dire l ‘ intervenuta consegna a mani proprie del destinatario, ex art. 138 c.p.c., ossia dell ‘ avvenuta apposizione della firma sulla relata ad opera di persona per tale identificatasi (Cass. n. 9062/2025).
Sicché, questa Corte ha affermato, in più di un ‘ occasione (Cass. n. 3014/1975; Cass. n. 2246/1981; Cass. n. 1783/2001; Cass. n. 3065/2003; Cass. n. 24852/2006; Cass. n. 16289/2015; Cass. n. 22058/2019; Cass. n. 6028/2023), che il destinatario di un avviso di ricevimento che affermi di non avere mai ricevuto l ‘ atto e, in particolare, di non aver mai apposto la propria firma sullo stesso avviso, ha l ‘ onere, se intende contestare l ‘ avvenuta esecuzione della notificazione, di impugnare l ‘ avviso di ricevimento a mezzo di querela di falso. E a tal fine giova evidenziare che, in applicazione dell’anzidetto principio di diritto, la citata Cass. n. 6028/2023 ha cassato la sentenza di appello che aveva dichiarato inammissibile la querela di falso avverso le relate di notifica di taluni verbali di accertamento concernenti violazioni del codice della strada assumendo che l ‘ agente postale non era tenuto a verificare l ‘ identità della persona qualificatasi destinatario della notifica, sicché era irrilevante ai fini del decidere che le sottoscrizioni degli avvisi di ricevimento fossero false, e la querelante non aveva dedotto, né provato che i verbali non fossero stati consegnati presso la sua residenza a persona qualificatasi come destinatario, essendo questo solo l ‘ oggetto dell ‘ attestazione dell ‘ agente postale ai sensi dell ‘ art. 7 della legge n. 890/1982.
Va, altresì, precisato che la presenza di una sottoscrizione, ancorché illeggibile o apparentemente non riconducibile al destinatario, è, di norma, sufficiente a considerare la notifica
formalmente conforme al modello legale (Cass., S.U., n. 9962/2010; Cass. n. 16289/2015; Cass. n. 2482/2020). Sicché il processo notificatorio risulta validamente posto in essere e, per metterne in discussione il perfezionamento con efficacia erga omnes , è necessario esperire querela di falso.
Pertanto, il destinatario che assuma non essere stato consegnatario di un atto, che risulta a lui recapitato sulla base di una relata di notifica, qualificabile come atto pubblico, al fine di contestare il suo mancato ricevimento non è tenuto ad aggredire ognuna e ciascuna delle attestazioni risultanti dalla relata, che documentano le attività svolte dal pubblico ufficiale in occasione della notifica, potendo l ‘ accertamento della falsità dell ‘ atto basarsi sulla contestazione di immutazioni del vero anche di una sola di esse.
E in tale contesto, ove il querelante si dolga di non aver mai ricevuto l ‘ atto che risulti a lui consegnato personalmente, ben può egli fornire la prova del carattere apocrifo della sottoscrizione apposta.
In questi termini è, altresì, inconferente il richiamo operato dall ‘ Agenzia delle Entrate a Cass. n. 25158/2007 e a Cass. n. 13216/2007, dove viene in rilievo la carenza di prova in ordine ad attestazioni di tipo diverso, la cui contestazione deve essere assistita da prove che siano idonee a rimetterle specificamente in discussione. Infatti, in quelle controversie venivano in rilievo dichiarazioni, rese dal ricevente l ‘ atto, di essere familiare del destinatario ovvero addetto alla casa, recepite dal pubblico ufficiale al momento della notifica.
Pertanto, in tali pronunce non si fa questione della latitudine della cognizione del giudice adito nel giudizio di querela di falso, al fine di accertare la falsità dell ‘ atto pubblico, bensì dell ‘ onere della prova gravante sul querelante nel mettere in discussione la veridicità delle specifiche attestazioni contestate in quelle vicende
processuali (in quei casi era infatti incontroverso che la sottoscrizione fosse stata apposta da terzi e le censure si appuntavano sui rapporti tra il terzo consegnatario e il destinatario della notifica).
Nel caso oggetto del presente giudizio la doglianza formulata dallo COGNOME, di non aver ricevuto la notifica, si risolve direttamente nella contestazione dell ‘ attestazione che riconduceva la sottoscrizione, riportata sulla relata, alla sua persona, non essendo pertinente, ai fini della valutazione circa la verità dell ‘ attestazione inerente all ‘ identità tra il consegnatario sottoscrivente e il destinatario, il riferimento ad attestazioni relative ad altre attività svolte dal messo notificatore.
Peraltro, come correttamente osservato dalla Corte territoriale e in linea con le suesposte considerazioni, l ‘ accertamento in ordine alla falsità della sottoscrizione ha valore di per sé sufficiente a provare il mancato ricevimento degli avvisi di accertamento, nonché assorbente rispetto all ‘ accertamento inerente alla veridicità delle altre attestazioni.
2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 221 c.p.c., 2697, 2700, 2727 e 2729 c.c., per non aver la Corte di merito accertato ed escluso che la firma potesse essere il frutto di un processo di c.d. autofalsificazione, atteso che non si dovrebbe prescindere da una indagine diretta ad escludere che il destinatario abbia volutamente apposto firme ‘diverse’ dalla propria, magari con la mano ‘sinistra’ o attraverso ‘altro esercizio grafico’. Tale indagine non è stata effettuata nella CTU grafologica, né il suo mancato espletamento è stato preso in alcun modo in considerazione dalla Corte.
2.1.- Il motivo è inammissibile.
Come correttamente osservato dalla Corte di merito ( cfr. pag. 3 della motivazione), per giurisprudenza consolidata di questa
Corte l ‘ obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità previsto dall ‘ art. 221 c.p.c. può essere assolto con qualsiasi tipo di prova che sia idonea all ‘ accertamento del falso e, quindi, anche a mezzo di presunzioni (Cass. n. 3833/1994; Cass. n. 1537/2001; Cass. n. 22469/2017; Cass. n. 4720/2019; Cass. n. 35538/2023).
Sicché, il giudice di merito potrà valutare secondo il proprio prudente apprezzamento il materiale istruttorio offerto dalla parte, rientrando nella sua discrezionalità individuare il peso specifico in termini di efficacia probatoria da assegnare agli elementi acquisiti nel giudizio.
Tale valutazione è stata compiuta dalla Corte territoriale (cfr. sintesi al § 3.1.1. dei ‘Fatti di causa’; pp. 3 e 4 sentenza di appello) e costituisce oggetto di un giudizio di fatto, che può essere sindacato in sede di legittimità negli stretti limiti dell ‘ omesso esame di un fatto, storico, decisivo e discusso tra le parti, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., non dedotto dalla ricorrente.
– Il ricorso va, pertanto, rigettato e la parte ricorrente condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza