Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12821 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12821 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
Oggetto: danno da avviso di liquidazione illegittimo -principio di non contestazione – contenuto e limiti.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 593/21 proposto da:
-) NOME COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 3 marzo 2020 n. 1194; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il 26.10.2013 NOME COGNOME acquistò un terreno agricolo sito nel Comune di Cavaion (VR) , al prezzo dichiarato nell’atto di acquisto di euro 75.000.
L’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate il 3.11.2015 notificò ad Egon Fassetta un avviso di liquidazione della maggior imposta di registro. Secondo l’AdE il prezzo dichiarato dal contribuente non corrispondeva al reale valore commerciale del fondo, stimato in euro 161.430.
Camera di consiglio del 25 febbraio 2025
NOME COGNOME si rivolse ad un dottore commercialista al fine di contestare la pretesa dell’erario. Ne scaturì un procedimento di accertamento con adesione all’esito del quale l’Amministrazione finanziaria revocò in autotutela l’avviso di liquidazione.
All’esito di questi fatti NOME COGNOME chiese alla Direzione Provinciale di Verona dell’AdE la rifusione, a titolo di risarcimento del danno, della somma spesa per remunerare il dottore commercialista incaricato di assisterlo. A tale richiesta l’AdE rispose che nella procedura di accertamento con adesione non è obbligatoria l’assistenza di un legale; che quindi se il contribuente aveva ritenuto di affidarsi ad un dottore commercialista questa era una sua ‘ libera scelta’ della quale l’A dE non era tenuta a rispondere.
NOME COGNOME ricorse allora ex art. 702 bis c.p.c. al Tribunale di Verona, chiedendo la condanna dell’AdE al risarcimento del danno suddetto, quantificato in euro 5.075,20.
Con ordinanza 24.11.2017 il Tribunale accolse la domanda. L’ordinanza fu appellata dall’Amministrazione soccombente.
Con sentenza 5.5.2020 n. 1194 la Corte d’appello di Venezia accolse il gravame e rigettò la domanda attorea, compensando le spese. La Corte d’appello ritenne che la condanna della P.A. al risarcimento del danno da provvedimento illegittimo non possa essere pronunciata per il solo fatto dell’accertata illegittimità di quest’ultim o; è necessario invece dimostrare la sussistenza del dolo o della colpa, ritenuti nel caso di specie indimostrati.
Osservò a tal riguardo la Corte territoriale che:
-) l’AdE non era a conoscenza delle circostanze di fatto evidenziate da NOME COGNOME solo nel corso della procedura di accertamento con adesione;
-) che l’AdE non poteva sapere che il terreno non era un vigneto ma un’area incolta;
-) che quando emerse tale circostanza l’ avviso di liquidazione fu ‘prontamente annullato ‘.
8. La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su tre motivi.
L’AdE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo è denunciata la violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c..
Il ricorrente deduce che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado aveva allegato in punto di fatto che il terreno sito nello stesso Comune, il cui valore fu assunto dall’AdE quale parametro di confronto della congruità del prezzo d’acquisto dichiarato da NOME COGNOME, era diverso per posizione, destinazione, caratteristiche da quello acquistato dall’odierno ricorrente , e che pertanto esso non poteva costituire un valido termine di paragone.
Sostiene che questa allegazione in fatto non fu contestata dall’AdE né nella comparsa di costituzione in primo grado, né in sede di appello.
Di conseguenza – conclude la ricorrente -‘ la C orte d’appello avrebbe dovuto ritenere illegittimo l’avviso di liquidazione, in quanto fondato su un presupposto totalmente errato, quale è la non comparabilità tra i terreni posti al raffronto ‘.
1.1. Il motivo è infondato.
Il principio di non contestazione viene violato quando il giudice ritenga inesistente un fatto allegato da una delle parti e non contestato dall’altra.
Il ‘fatto non contestato’, secondo la prospettazione del ricorrente, sarebbe la differente natura e vocazione del fondo acquistato da NOME COGNOME rispetto a quello preso dall’Amministrazione finanziaria a parametro di riferimento per stimare il valore del primo.
Ma questo fatto non è stato ritenuto ‘indimostrato’ dalla Corte d’appello. Al contrario, esso è stato ritenuto esistente dal giudice di merito (p. 7, quarto capoverso).
La Corte territoriale ha rigettato la domanda non perché abbia ritenuto ‘indimostrato’ l’errore di valutazione da cui era infirmato l’avviso di liquidazione; l’ha rigettata sul presupposto che quell’errore fu incolpevole , e rispetto a tale statuizione non ha giocato alcun ruolo la ‘non contestazione’ della dedotta diversità di valore tra il fondo acquistato dall’attore e quello finitimo assunto quale parametro di valutazione.
Di conseguenza:
-) nella parte in cui prospetta il vizio di non contestazione, il motivo è infondato perché la circostanza non contestata non è stata negata nella sua oggettività dal giudice di merito;
-) nella parte in cui, indirettamente, la censura lamenta l’omesso esame della reale natura (e quindi del reale valore) del fondo acquistato da NOME COGNOME, essa è priva di decisività, in quanto la domanda è stata rigettata per mancanza del requisito della colpa, cioè per essere stato dichiarato il terreno come vigneto, e non perché sia stato ritenuto insussistente l’errore commesso dalla P.A. Sicché, l’ipotetica mancanza di considerazione da parte della P.A della circostanza di cui ragiona il motivo risulterebbe -ai fini di addebitare una colpa alla P.A. – priva di decisività ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ove il motivo di apprezzasse nella sostanza alla stregua di tale paradigma.
2. Il secondo motivo.
Anche col secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c..
Il ricorrente sostiene che tale norma sarebbe stata violata perché l’Amministrazione convenuta non aveva contestato la circostanza, dedotta nell’atto introduttivo del giudizio, che il prezz o d’acquisto dichiarato nel contratto di compravendita si sarebbe dovuto ritenere congruo, se raffrontato a quello dichiarato nell’atto d’acquisto di un terreno confinante, venduto l’anno prima e dimostrato da atto depositato unitamente al ricorso introduttivo.
‘ A fronte di tale precisa e circostanziata dimostrazione dell’erroneità dell’operato dell’agenzia delle entrate – prosegue il ricorrente, p. 15 non
faceva seguito nessuna contestazione dell’idoneità del terreno indicato dal sig. COGNOME ad assurgere a valido parametro di raffronto ‘.
2.1. Il motivo è infondato perché la Corte d’appello non ha affatto negato in punto di fatto che un terreno finitimo rispetto a quello acquistato da NOME COGNOME fosse stato venduto ad un prezzo simile a quello dichiarato dal contribuente. Ha semplicemente ritenuto ‘irrilevante’ tale circostanza al fine di affermare la colpa della P.A., e ciò sul presupposto che il primo terreno fosse destinato a vigneto, il secondo no.
Da ciò consegue che:
non vi fu negazione d’un fatto non contestato;
la circostanza che si assume non contestata non ha giocato alcun ruolo sull’esito del giudizio, che ha visto la domanda rigettata per mancanza di colpa, e non per difetto di prova dei fatti dedotti dall’attore. Tale rilievo varrebbe nuovamente se si apprezzasse il motivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
3. Il terzo motivo .
Anche col terzo motivo è denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c..
In questo caso il ricorrente sostiene che tale norma sarebbe stata violata perché l’AdE non aveva contestato la seguente circostanza di fatto, dedotta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado: che altri contribuenti, venuti a trovarsi nella medesima situazione, erano stati invitati a fornire chiarimenti preventivi, e l’AdE ne aveva riconosciuto le ragioni senza emettere avvisi di accertamento, come invece aveva fatto nei riguardi dell’odierno ricorrente.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato.
L ‘onere di contestazione riguarda i fatti , non i giudizi .
Ma la ‘circostanza’ che si assume non contestata, per come illustrata a p. 18 del ricorso per cassazione, è un giudizio, non un fatto.
La circostanza che, in casi simili a quello che fu la scaturigine del contrasto, la P.A. avesse ritenuto di ascoltare i contribuenti prima di decidere se emettere un avviso di liquidazione, non è un fatto costitutivo della
domanda. Fu una circostanza dedotta dall’attore al fine di ‘ rendere evidente la mancanza di diligenza’ della P.A., e quindi come prova presuntiva della colpa.
Ma stabilire se da un fatto noto (l’avere l’AdE seguito procedure diverse in caso simili) possa risalirsi al fatto ignorato della sussistenza o della insussistenza d’una colpa della pubblica amministrazione è una valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito, che in quanto giudizio prescinde dall’onere di contestazione e che comunque è insindacabile in sede di legittimità.
4. Le spese.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente , ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di Agenzia delle Entrate delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 1.800, oltre spese prenotate a debito;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 25 febbraio 2025.
Il Presidente (NOME COGNOME)