Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26308 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26308 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 688/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 2358/13/22 depositata il 26/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 2358/13/22 del 26/05/2022, la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR) respingeva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito NCG) avverso la sentenza n. 16621/27/19 della Commissione tributaria provinciale di Roma (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso della società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2013.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo era stato adottato in ragione dell’esame dei rapporti della società contribuente con RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, delle movimentazioni bancarie. Dalla verifica emergeva l’esistenza di operazioni ingiustificate, sia in entrata che in uscita, con conseguente addebito di maggiore IVA.
1.2. La CTR respingeva l’appello di NCG evidenziando che: a) la sentenza di primo grado aveva correttamente ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento impugnato; b) la società contribuente non aveva giustificato le rimesse bancarie contestate con documentazione idonea; c) l’atto impositivo era correttamente e legittimamente motivato per relationem al processo verbale di constatazione (di seguito pvc); d) non vi era stata alcuna inversione dell’onere della prova, dovendo applicarsi le regole probatorie previste dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; e) a fronte dell’assenza del contraddittorio preventivo non era stata prodotta una valida prova di resistenza.
NCG impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e depositava memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ., nonché sentenza della CTR n. 3586/08/23 con attestazione del passaggio in giudicato.
NOME resisteva con controricorso.
Con decreto datato 04/02/2024, questa Corte formulava proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Con istanza del 14/03/2024 NCG chiedeva la decisione del ricorso e, quindi, depositava memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di NCG è affidato a tre motivi, di seguito riassunti.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si contesta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per avere la CTR omesso di esaminare le giustificazioni fornite dalla società contribuente, senza dare conto in motivazione dei fatti esaminati, degli elementi probanti di tali fatti e delle ragioni per cui ai fatti medesimi avrebbero dovuto riconnettersi determinati effetti giuridici.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. , per avere la CTR omesso di valutare compiutamente ed esaustivamente la prova offerta dalla società contribuente, che va ben oltre la consistenza della presunzione semplice.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione della l. 27 luglio 2000, n. 212 e della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché dei principi espressi da Cass. S.U. 9 dicembre 2015, n. 24823, per avere la CTR ritenuto la non necessarietà del contraddittorio preventivo.
Il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia motivazione apparente, è infondato.
2.1. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, si è in presenza di una motivazione apparente allorché la
motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero -e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali -l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; Cass. S.U. n. 16599 del 05/08/2016; Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014).
2.2. Nel caso di specie, in disparte dalle modalità della censura (la motivazione apparente è stata censurata come vizio motivazionale e, dunque, sotto il profilo dell’omesso esame), la CTR ha ritenuto che la società contribuente non abbia offerto la prova contraria necessaria a contrastare l’accertamento ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, dimostrando, con la produzione di un campione delle fatture emesse, che NCG abbia intrattenuto rapporti commerciali con altre società, ma non viene fornita la prova che le singole fatture si riferiscano alle movimentazioni bancarie in contestazione.
2.3. Trattasi di motivazione logica e coerente, idonea a rappresentare con chiarezza la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, pertanto, non può essere ritenuta né apparente, né contraddittoria, né perplessa.
Il secondo motivo, con il quale si denuncia la violazione della regola concernente l’onere probatorio, è in parte infondato e in parte inammissibile.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la presunzione (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, si articola nel modo che segue: a) i «dati ed elementi» attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo).
3.1.1. Pertanto, mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che « ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine » (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato
si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
3.1.2. Più nel dettaglio, il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità » (Cass. n. 15161 del 16/07/2020; Cass. n. 16896 del 24/07/2014; Cass. n. 13035 del 24/07/2012; Cass. n. 25365 del 05/12/2007; Cass. n. 18016 del 09/09/2005).
3.1.3. A fronte della presunzione legale prevista dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, la quale « non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici », la prova richiesta al contribuente è analitica, « con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze » (Cass. n. 13112 del 30/06/2020; Cass. n. 10480 del 03/05/2018; Cass. n. 11102 del 05/05/2017).
3.1.4. Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della
riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. n. 4829 del 11/03/2015; Cass. n. 21303 del 18/09/2013).
3.2. Ciò premesso in termini generali, va evidenziato che non v’è stata alcuna inversione della regola dell’onere della prova da parte della CTR, la quale, come evidenziato con il primo motivo, a fronte della presunzione derivante dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha posto correttamente a carico di NCG l’onere di giustificare le singole rimesse contestate; onere che è stato ritenuto non assolto dalla società contribuente nei termini specifici richiesti dalla legge.
3.3. In realtà, il motivo è, sotto altro profilo, anche inammissibile, perché la ricorrente, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
Il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la nullità dell’avviso di accertamento per difetto del contraddittorio preventivo, va disatteso.
4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 « deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche
ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva » (Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013).
4.1.1. Tuttavia, la nullità derivante dal mancato rispetto del termine dilatorio, decorrente dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, riguarda -anche con riferimento all’IVA (Cass. nn. 701 e 702 del 15/01/2019) -solo ed esclusivamente il triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività e non anche le verifiche cd. a tavolino.
4.1.2. Con riferimento a queste ultime soccorre la previsione di Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015, per la quale, con riferimento ai tributi cd. non armonizzati, « non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale », mentre per i tributi cd. armonizzati, secondo quanto emerge dal diritto unionale, per come interpretato dalla Corte di giustizia della UE, « l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa » (cd. prova di resistenza).
4.2. Nel caso di specie non è dubbio che si verta in caso di accertamento cd. a tavolino, ma ciò non toglie che il contraddittorio preventivo avrebbe dovuto essere espletato, essendo in discussione l’IVA, che rientra tra i cd. tributi armonizzati.
4.3. Tuttavia, la CTR ha affermato in proposito che NCG «si è limitata ad eccepire l’assenza (del tutto teorica e astratta) di un contraddittorio preventivo omettendo di prospettare quali fossero -sostanzialmente -le ragioni che avrebbe potuto far valere ed ha dovuto sacrificare proprio per l’inosservanza del contraddittorio».
4.4. Trattasi di accertamento in fatto coerente con quanto da ultimo evidenziato da Cass. S.U. n. 21271 del 25/07/2025, a fronte del quale la ricorrente non ha dedotto, con le necessarie trascrizioni e allegazioni, in quali atti, in primo e in secondo grado, abbia articolato una compiuta prova di resistenza, limitandosi solo in questa sede di legittimità ad eccepire, peraltro del tutto genericamente («viste le diffuse controprove che parte privata avrebbe potuto contrapporre alla tesi erariale sin dalla fase precedente all’emanazione dell’atto impositivo» e con riferimento ad alcune sentenze di merito riguardanti altre annualità d’imposta), che la prova di resistenza fosse stata fornita e che la stessa non fosse pretestuosa.
In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 105.034,00.
5.1. La società contribuente va, altresì, condannata, ai sensi dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamati dall’art. 380 bis cod. proc. civ., al pagamento delle ulteriori somme pure liquidate in dispositivo.
5.2. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 5.900,00, oltre alle spese di prenotazione a debito e alla somma di euro 3.000,00 a titolo di responsabilità aggravata; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/03/2025.
Il Presidente NOME COGNOME