Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24621 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24621 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 7277/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL;
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 961/14/2016, depositata il 22.02.2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 10293/23/2015 la CTP di Roma rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno d’imposta 2009 ;
Oggetto:
Tributi
con la sentenza n. 10294/23/2015 la CTP di Roma rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento, per imposte dirette ed IVA, in relazione all’anno d’imposta 2008;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria Regionale del Lazio rigettava, previa riunione gli appelli proposti dalla contribuente osservando, per quanto qui rileva, che:
-gli avvisi di accertamento impugnati, emessi ai sensi dell’art. 41 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, erano legittimi, essendo fondati entrambi su ammanchi di magazzino, rilevati nel corso della verifica fiscale, a seguito della constatazione che il rame elettrolitico non transitava nei magazzini della società contribuente, ma veniva stoccato direttamente presso le società trasportatrici;
dal riscontro effettuato tra le quantità di rame elettrolitico in lavorazione presso terzi al 31 dicembre e quella indicata nell’inventario si evinceva l’esistenza di una quantità di rame di gran lunga superiore a quella giacente presso le società esterne, per cui la differenza veniva recuperata a tassazione, in quanto doveva considerarsi presumibilmente ceduta ai sensi dell’art. 1 del D.P.R n. 441 del 1997;
tale presunzione era confermata dal saldo di cassa negativo;
in mancanza della prova di una diversa destinazione, sussisteva la presunzione legale di cessione senza fattura dei predetti beni; le giustificazioni addotte dalla contribuente, riferibili al programma informatico, peraltro non dimostrate, non costituivano sufficiente prova contraria;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
l ‘ Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia il difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia quale la determinazione della consistenza di magazzino e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.P.R. n. 441 del 1997, in quanto la CTR, a fronte della documentazione allegata dalla contribuente e delle puntuali censure svolte dalla stessa nell’atto di appello, ha omesso ogni esame dei mezzi di prova e non ha fornito un’argomentazione esaustiva in ordine alla proprie conclusioni, non avendo considerato tutti i quantitativi di rame di sua proprietà, sia quello finito stoccato presso i magazzini della contribuente sia quello in trasformazione presso terzi;
il motivo è inammissibile sotto plurimi profili;
-in primo luogo, ne va evidenziata l’inammissibilità per la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto;
– il motivo è anche inammissibile perchè alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata in data 22.02.2016). A seguito di detta modifica normativa, non trovano più accesso al sindacato di legittimità della Corte le censure riguardanti il vizio di insufficienza o incompletezza della motivazione della sentenza di merito impugnata, essendo denunciabile con il ricorso per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
-la nuova formulazione del vizio di legittimità, introdotta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha sostituito l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate dopo l’11.09.2012), ha limitato il ricorso alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di
ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (Cass. 2.10.2017, n. 23940);
laddove non si contesti la inesistenza del requisito motivazione della provvedimento impugnato, quindi, il vizio di motivazione può essere dedotto solo in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per contestare la sufficienza della sua argomentazione sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit. e Cass. Sez. U. 22.09.2014, n. 19881);
-è stato poi precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto ‘storico’, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.);
-il ricorrente non ha denunciato l’omesso esame di un fatto, ma il vizio sotto il paradigma previgente di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., avendo censurato, nella sostanza, una motivazione insufficiente della sentenza impugnata, lamentando un omesso esame di elementi di prova;
la ricorrente, inoltre, deduce solo apparentemente un omesso esame di fatto decisivo e una violazione di norme di legge, ma in realtà mira alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 112 cod. proc. civ. vizio di ultrapetizione, per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’esistenza dei saldi giornalieri negativi di cassa fosse un’anomalia di carattere sostanziale che avvalorava la presunzione di cessione, sebbene la stessa Amministrazione finanziaria ne avesse riconosciuto la natura di errore formale, dato che erano dovuti alla procedura informatica che trasferiva in automatico le registrazioni delle fatture e dei relativi incassi all’ultimo giorno di ogni singolo mese, generando dei saldi ‘virtualmente negativi’, che poi venivano riallineati con le registrazioni contabili di fine mese, di cui era stata fornita idonea documentazione;
il motivo è inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo la ricorrente riportato il contenuto degli atti processuali dai quali risulta l’asserito ‘errore formale’;
– il motivo è in ogni caso infondato, avendo questa Corte affermato che «il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione («petitum» e «causa petendi»), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti», con la conseguenza che «non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate» (Cass., 3 luglio 2019, n. 17897);
– è stato altresì precisato che «il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge» (Cass., 5 agosto 2019, n. 20932);
– nella specie, la CTR non si è pronunciata oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti nei termini sopra delineati, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio, ma si è limitata ad evidenziare, con mere argomentazioni, che il riscontro dei saldi
cassa negativi costituiva comunque un’anomalia contabile che avvalorava la contestata presunzione di cessione;
in conclusione, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 5.900,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 25 giugno 2025.