Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21237 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21237 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 145-2020, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE ‘ RAGIONE_SOCIALE , cf. 004408770392, in persona del Curatore RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 913/09/2019 della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna, depositata il 13.05.2019; adunanza camerale del 30 aprile udita la relazione della causa svolta nell’ 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Operazioni inesistenti – Detraibilità Iva e deducibilità costi – Prova – Configurabilità
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale relativa all’anno d’imposta 200 3, l ‘Agenzia delle entrate notificò all ‘RAGIONE_SOCIALE l’ avviso d’accertamento con cui, contestando l’emissione di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, determinò il maggior imponibile ai fini Ires ed Iva , ritenendo indeducibili costi pari ad € 699.918,00 ed indetraibile l’Iva per € 139.984,00 . Pretese in conseguenza maggiori imposte e irrogò sanzioni.
Nello specifico, e da quanto emerge nella sentenza impugnata e nel ricorso erariale, alla società fu contestato l’utilizzo di fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE, operante nel commercio di uva da tavola, per l’acquisto di mosto del valore di alcuni milioni di euro. Dai riscontri riportati dai militari verificatori, fatti propri dall’amministrazione finanziaria, la società aveva acquistato fittiziamente il mosto in parte dalla RAGIONE_SOCIALE, società operativa, ma a sua volta anche cessionaria fittizia da parte di altre società, ritenute cartiere. In tale prospettiva la COGNOME si era posta quale società filtro tra le cartiere e la odierna controricorrente; per altre operazioni gli acquisti fittizi di mosto da parte della RAGIONE_SOCIALE erano stati direttamente fatturati dalle società cartiere.
Avverso l’atto impositivo la società propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna, respinto con sentenza n. 534/01/2015. La pronuncia fu impugnata dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, che con sentenza n. 913/09/2019 ne accolse le ragioni.
Il giudice regionale ha ritenuto che gli elementi indiziari allegati dall’Amministrazione finanziaria non fossero sufficienti a confortare la fittizietà e dunque l’ oggettiva inesistenza delle operazioni. In particolare, l’impianto accusatorio, fondato sul processo verbale di constatazione, che a sua volta faceva rimando all’ordinanza cautelare del 5 giugno 2012 -con cui il GIP del Tribunale di Bari aveva disposto la custodia cautelare in carcere del legale rappresentante dalla RAGIONE_SOCIALE alla COGNOME, e referente nei rapporti con la società RAGIONE_SOCIALE nonché del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE-, non è stato ritenuto sufficiente a dimostrare la natura fittizia delle forniture di mosto; come non sono stati ritenuti sufficienti gli altri atti allegati al pvc del 9 ottobre 2012. Il giudice regionale ha pertanto reputato
che dalle acquisizioni istruttorie doveva escludersi la prova della fondatezza della pretesa tributaria.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui ha resistito la società con controricorso.
Nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Devono innanzitutto respingersi le eccezioni con le quali la società ha denunciato la sua improcedibilità, per violazione dell’obbligo di allegazione degli att i richiamati nell’art. 369 c.p.c.
A differenza di quanto sostiene la controricorrente, l’ufficio ha indicato in ricorso l’esatta collocazione della documentazione richiamata.
A margine, va ribadito quanto già chiarito da questa Corte, ossia che l’onere del ricorrente di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., come modificato dall’art. 7 del d. lgs. n. 40 del 2006 è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, anche mediante la produzione del fascicolo di parte del giudizio di merito, mentre per gli atti e i documenti del fascicolo d’ufficio, è sufficiente il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ferma in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6 c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Sez. U, 3 novembre 2011, n. 22726; Cass., 29 luglio 2021, n. 21831). Inoltre, con specifico riferimento alle controversie tributarie in sede di legittimità, si è altrettanto condivisibilmente affermato che per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ex art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla Suprema Corte ex art. 369, terzo comma, c.p.c., a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del
fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass., 30 novembre 2017, n. 28695).
Nel caso di specie vi è una precisa indicazione della collocazione della documentazione richiamata dalla difesa erariale.
Neppure fondata è l’eccezione di inammissibilità ‘per violazione del principio di autosufficienza’. Al contrario di quanto afferma la controricorrente, il ricorso dell’Agenzia delle entrate assolve pienamente al dovere di specificità, non essendo affatto necessaria la trascrizione integrale degli atti del processo e degli atti difensivi della parte avversa.
Esaminando dunque il merito, con il primo motivo l’Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 54, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché degli artt . 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Il giudice d’appello avrebbe violato le regole di riparto dell’onere probatorio, senza peraltro tener conto che l’amministrazione finanziaria è onerata della prova della oggettiva inesistenza delle operazioni a mezzo di presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.
Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La Commissione regionale ai fini della prova avrebbe erroneamente negato natura indiziaria ai pur rilevanti elementi allegati dall’ufficio al processo, così malgovernando le regole sulle prove presuntive, senza rappresentare quale disamina critica fosse stata applicata nella valutazione dei suddetti elementi indiziari.
I due motivi, che possono essere esaminati insieme, perché tra loro connessi, sono fondati nei termini appresso chiariti, risultando del tutto disattese le regole di governo delle prove presuntive.
Sulle modalità di utilizzo e valorizzazione delle prove indiziarie deve innanzitutto ribadirsi che compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare gli elementi di
fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973; 15 novembre 2021, n. 34248; cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984). Peraltro, ai fini dell’utilizzo degli indizi, mentr e la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484; 15 gennaio 2014, n. 656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova.
La giurisprudenza di legittimità ha comunque tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento ( ex multis , cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; 12 aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò che pertanto rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.
Ebbene, nel caso di specie il giudice regionale, a fronte degli elementi complessivamente addotti dall’Agenzia delle entrate, ha ritenuto che il processo verbale di constatazione, che sostanzialmente rimandava all’ordinanza cautelare emessa nell’indagine penale a carico, tra gli altri, del legale rappresentante della odierna controricorrente, non fosse sufficiente, tanto più che era mancata l’allegazione delle dichiarazioni di un informatore,
RGN 145/2020 Consigliere rel. COGNOME nonché delle risultanze delle intercettazioni telefoniche eseguite
nell’indagine penale. Ha ritenuto, ancora, che nel medesimo pvc i verificatori avevano dichiarato come non si fosse in grado di capire quali fatture della Olvin fossero fittizie e quali effettive. Quindi, altrettanto genericamente, ha sostenuto che anche gli altri atti allegati al pvc del 9 ottobre 2012 non fossero idonei a far emergere la natura fittizia delle forniture di mosto.
Ebbene, a parte che, come rilevato dalla ricorrente nelle sue difese, l’Agenzia delle entrate non ha addebitato come fittizie tutte le fatture emesse dalla COGNOME, ma solo quelle che a loro volta si riconducevano a fatture emesse a carico della COGNOME da parte di società cedenti fittizie perché cartiere, la valutazione delle prove indiziarie operata dalla Commissione regionale emiliana mostra di non aver applicato le regole di governo delle prove presuntive in materia di accertamenti tributari.
In particolare, dalla sentenza si evince che le risultanze dell’attività di verifica, riportate nel processo verbale di constatazione, che a sua volta richiama diffusamente le motivazioni del provvedimento cautelare emesso a carico del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE Grotta, non potevano certo essere trattate come una prova piena, non vertendosi affatto in materia di prova di un processo penale. Tuttavia, con altrettanta certezza dovevano essere valutate alla luce e unitamente ai complessivi ulteriori indizi allegati al processo tributario. Tra essi, come riportato dallo stesso processo verbale di constatazione, emergevano una serie, consequenziale e logica, di elementi significativi che evidenziavano il coinvolgimento di molti soggetti, titolari di altrettante ditte, rivelatesi inconsistenti e fittizie, tutte analiticamente esaminate nell’indagine della GdF, oltre che nell’inchiesta penale (i titolari di queste ditte erano risultati nullatenenti, privi di esperienza nel settore, con attività limitata ad una sola stagione e per pochi mesi -prevalentemente da agosto a dicembre-, con un volume annuo di affari, nonostante la estrema provvisorietà e precarietà, sproporzionato; diverse ditte erano prive di documentazione, dichiarata smarrita o distrutta, senza riscontro di denunce; la maggior parte di tali ditte non aveva mai presentato dichiarazioni fiscali, nessuna aveva versato imposte, nessuna aveva avuto dipendenti, pur con ingentissime quantità di mosto risultante prodotto e commercializzato; nessuna aveva avuto la proprietà di stabilimenti e attrezzature, risultando tutte l’aver utilizzato gli stessi locali ad un unico indirizzo, di fatto avvicendandosi nei contratti annuali; non
RGN 145/2020
risultavano acquisti di materie prime e alcuni dei cd. titolari non avevano saputo riferire neppure da chi avessero acquistato l’uva. I fornitori di uva, menzionati da alcuni titolari delle ditte coinvolte, avevano invece negato di aver avuto rapporti con chi li aveva menzionati; i trasportatori sentiti dai verificatori avevano tutti negato di aver eseguito il trasporto di uva alla Olivin, ad eccezione di uno solo di loro, per il quale tuttavia risultava verbalizzato che volesse confermare le operazioni di trasporto senza neppure prendere visione dei documenti medesimi sottoscritti; tutte le ditte che avevano ricevuto i pagamenti dalla COGNOME avevano proceduto allo svuotamento immediato dei conti correnti, ed era risultata l’emissione di assegni, anche milionari).
Ebbene, a prescindere dalle conclusioni a cui il medesimo giudice avrebbe potuto pervenire prima di escludere l’inesistenza oggettiva delle operazioni, sarebbe stato suo compito valutare gli indizi, individualmente e nel loro insieme, secondo i consolidati principi enunciati dalla Corte di legittimità. Questo nel caso di specie non è avvenuto, perché si è inteso valorizzare l’assenza della produzione documentale delle intercettazioni telefoniche e delle dichiarazioni di tale COGNOME senza spendere nessuna parola sul resto degli elementi , pur allegati dall’ufficio , così discostandosi dalle regole di governo delle prove presuntive e dal l’interpretazione che di esse richiede la giurisprudenza di legittimità.
I motivi vanno in definitiva accolti.
L’accoglimento del primo e del secondo motivo assorbe il terzo, con il quale la ricorrente ha denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , per non aver esaminato i ‘plurimi elementi presuntivi dell’esistenza solo sulla carta delle ditte e/o società emittenti le fatture in cui si è interposta la RAGIONE_SOCIALE ‘.
Assorbe anche il quarto, con cui l’Agenzia delle entrate si è doluta della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di extrapetizione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver erroneamente ritenuto che dallo stesso pvc emergeva una prospettazione di mera verosimiglianza dell’inesistenza delle operazioni, senza capacità di distinguere le operazioni fittizie dalle forniture effettive, laddove nell’avviso d’accertamento le pretese impositivi erano state limitate all e sole operazioni fittizie, riconducibili alle sole fatture emesse dalla COGNOME nel confronti della
contribuente, direttamente collegate agli acquisti fittizi operati a sua volta dalla COGNOME presso le ditte o società cartiere
La sentenza va dunque cassata e il giudizio va rinviato alla Corte di giustizia di II grado dell’Emilia -Romagna, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, provvederà al riesame dell’appello proposto dalla contribuente, tenendo co nto dei principi di diritto enunciati da questa Corte.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Emilia-Romagna, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 30 aprile 2025