Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5325 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5325 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
Oggetto: Redditometro – Onere della prova del contribuente -Giudizio di rinvio – Motivazione apparente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4364/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 6473/01/2021, depositata in data 8 luglio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L ‘Agenzia delle e ntrate notificava a NOME COGNOME 4 avvisi di accertamento (nn. RJ201A100043/35/44/46), con i quali recuperava ad imposizione, a fini Irpef, ai sensi dell’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600/1973, maggior reddito per gli anni di imposta 2001,
2002, 2003 e 2004, in base alla spesa per beni indice di capacità contributiva (due autovetture e la quota di 1/8 di un immobile).
Impugnati gli avvisi, la Commissione tributaria provinciale di Agrigento accoglieva i ricorsi del contribuente.
L ‘Ufficio proponeva quattro distinti gravami innanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia.
La CTR rigettava gli appelli evidenziando, da un lato, la valenza probatoria delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, provenienti da terzi, e, dall’altro, la mancata esecuzione, da parte dell’Ufficio, di accertamenti ‘mirati’, richiesti dall’art. 38 d.P.R. n. 600/1973.
Avverso le decisioni della Commissione tributaria regionale l’Agenzia delle entrate propose 4 ricorsi per cassazione (rubricati ai nn.rr.gg. 11975/2013, 11978/2013, 11979/2013 e 12163/2013), affidandosi a tre motivi ovvero: a) la violazione dell’art. 38 d.P.R. 600/1973 e dell’art. 2697 cod. civ. per avere la CTR errato nel ritenere fosse onere dell’Ufficio effettuare accertamenti mirati, al fine di accertare la sussistenza di quanto indicato nell’accertamento sintetico; b) la violazione e falsa applicazione de ll’art. 38 cit. e dell’art. 7, quarto comma, d.lgs. n. 546/1992, per avere la CTR ritenuto che le dichiarazioni sostitutive di notorietà potessero costituire elementi indiziari valutabili dal giudice tributario; c) la motivazione apparente delle decisioni impugnate.
Con la sentenza n. 5340/2020 questa Corte, riuniti i ricorsi, accolse i primi due motivi, assorbito il terzo. In particolare, affermò che: « …in tema di accertamento in rettifica sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali (redditometro), dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori- indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su e ssi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza
di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
Appare, pertanto, in contrasto con i suddetti principi, il ritenere da parte della CTR che fosse onere dell’Ufficio effettuare accertamenti mirati, al fine di accertare la sussistenza di quanto emerso all’esito dell’accertamento sintetico.
Parimenti fondato, entro i termini esposti di seguito, risulta il secondo motivo attinente l’efficacia probatoria delle dichiarazioni sostitutive di notorietà esibite nell’ambito del processo tributario.
Al riguardo questa Corte (Cass. n. 20028/2011) ha chiarito che, anche al contribuente, oltre che all’amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta – in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost. – la pos sibilità d’introdurre nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, e, quindi, anche dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate -non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti; ciò non comporta, tuttavia, il venir meno in capo al giudice tributario del poteredovere di valutare l’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni, comportando la corretta applicazione del principio della libera valutazione delle prove, l’obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con eventuali altri elementi acquisiti.
Nel caso di specie, il giudice di secondo grado si è limitato, invece, ad affermare, in generale, la valenza indiziaria della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, senza procedere, però, alla valutazione del contenuto della stessa rispetto al compendio probatorio divisato».
Riassunto il giudizio dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, accoglieva gli appelli dell ‘Ufficio ritenendo non fornita dal contribuente la prova idonea ad inficiare gli accertamenti fondati sulla sussistenza (non contestata) di beni-indice della capacità contributiva. In particolare, procedeva alla valutazione dell’attendibilità del contenuto delle dichiarazioni extraprocessuali rese dai terzi (genitori e suoceri del contribuente), ritenendo le stess e inidonee a comprovare l’asserto del Malfitano, sia perché provenienti da soggetti ‘vicini’ a quest’ultimo, sia perché risulta inverosimile che importi variabili tra i 120.000,00 ed i 160.000,00 euro siano transitati nella disponibilità del contribuente senza traccia bancaria.
Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a tre motivi.
L ‘Ufficio ha resistito con controricorso.
È stata, poi, depositata una proposta di definizione accelerata del giudizio.
Il ricorrente ha chiesto fissarsi l’udienza di discussione della causa.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 07/02/2025.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc.
civ..
Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione si deduce la «nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 comma 2 n. 4 » per avere la CTR reso una motivazione apparente, formulando un giudizio sommario ed omettendo l’esame analitico di tutta la documentazione versata in atti, offerta dal contribuente a prova contraria della capacità di spesa derivante dal c.d. redditometro.
Con il secondo strumento il contribuente deduce la «nullità della sentenza d’appello per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, in relazione
all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.» per avere i Giudici d’appello erroneamente omesso di esaminare fatti rilevanti ai fini della ricostruzione induttiva del reddito, che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, ed aventi carattere decisivo, ossia idonei a determinare un esito diverso della controversia.
Con il terzo strumento di impugnazione il ricorrente lamenta la « violazione dell’art. 38 D.p.r. n. 600/1973 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.» per avere i Giudici della CTR omesso di esaminare tutti i documenti versati in atti dal contribuente, facendo malgoverno delle norme che disciplinano la selezione e valutazione del materiale probatorio.
La proposta di definizione agevolata ha il seguente contenuto:
I tre motivi, da trattare congiuntamente per la connessione, se non sovrapponibilità, sono inammissibili.
Invero essi, nel loro contenuto complessivo ed a prescindere dalla loro formale rubricazione, pretenderebbero in concreto una rivalutazione in fatto, inammissibile in questa , delle valutazioni espresse (tenendo conto della delimitazione del contenzioso conseguente alla cassazione con rinvio della precedente senza d’appello e dei principi di diritto espressi dalla relativa sentenza di questa Corte) dal giudice del rinvio in ordine al mancato assolvimento, da parte del contribuente, dell’onere probator io del quale era pacificamente gravato.
Valutazioni che il giudice a quo ha espresso con motivazione, per quanto sintetica, che permette di ricostruire il percorso logico e giuridico che conduce, senza contraddizioni, alla ratio decidendi, integrando il c.d. livello minimo costituzionale di adempimento del dovere di motivare la decisione giurisdizionale. Né, peraltro, all’interno di una motivazione non apparente con riferimento ai fatti di causa dedotti dalla parte gravata dall’onere probatorio , può censurarsi la valutazione del giudice d’appello solo per aver selezionato, e comunque ritenuto prevalenti, alcuni degli elementi
istruttori piuttosto che altri. Ampiamente motivata, con giudizio di merito non censurabile in questa sede, è in particolare la valutazione della CTR in ordine all’attendibilità, o meno, delle dichiarazioni dei terzi, oggetto del principio di diritto espresso dalla Corte di legittimità in sede di cassazione con rinvio.
Il collegio condivide tali argomentazioni.
Può, inoltre, aggiungersi quanto segue.
6.1 Con riferimento al primo motivo di ricorso, secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art.
54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
Ora, nella specie la CTR ha chiaramente argomentato il proprio decisum in punto di mancato assolvimento, da parte del contribuente, dell’onere probatorio su di lui incombente. Con congrua motivazione ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei terzi (circa la provvista di danaro onde consentire al contribuente l’esborso d elle spese per i beni indice indicati negli avvisi di accertamento) in considerazione della parentela ed affinità dei propalanti e della mancanza di tracciamento bancario delle ingenti somme (complessivamente, in 4 anni, oltre 120.000,00 euro).
6.2. Inammissibili devono ritenersi gli altri due motivi, che presentano un nucleo comune censorio, ovvero l’omesso esame di tutta la documentazione prodotta dal contribuente.
6.2.1. Il secondo motivo è inammissibile alla luce delle considerazioni che seguono.
L’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazione che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. 08/05/2019, n. 12111).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. 31/01/2017, n. 2474).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato
una decisione diversa (Cass. 13/04/2017, n. 9637, secondo cui non integra un fatto la supposta erroneità giuridica della pronunzia di tardività di un’eccezione ).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. 13/04/2021, n. 9637), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. 31/03/2022, n. 10525).
Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 20/06/2024, n. 17005).
Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/06/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata deve ritenersi che la censura mossa dal contribuente, risolvendosi nella doglianza della mancata considerazione, da parte della CTR, della documentazione -relativa alla indisponibilità di una delle due autovetture ed all’accensione di un mutuo per l’acquisto della quota
del bene immobile – addotta al fine di supportare il proprio assunto. Con essa, infatti, sostanzialmente ci si duole dell ‘insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio.
6.2.2. Anche il terzo motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ. sub specie di malgoverno, da parte della CTR, ‘delle regole giuridiche preposte all’esame delle prove’ (pag. 21 del ricorso). La disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza del contribuente, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva
valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dall’Ufficio, ha ritenuto congruamente motivato l’avviso di accertamento e non fornita dal contribuente la prova della disponibilità di redditi esenti; in tal modo, non ha affatto violato il disp osto dell’art. 2697 cod. civ..
Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il giudizio viene definito in conformità alla proposta, va inoltre disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ.. Infatti, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis comma 3 c od. proc. civ. contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e quarto comma dell’art. 96 c it ., codificando altresì un’ipotesi norma tiva di abuso del processo che la conformità della decisione definitiva a quella inizialmente proposta e rifiutata lascia presumere (così Cass. Sez. U. 13/10/2023, n. 28540).
Pertanto, la parte ricorrente va condannata, nei confronti dell ‘Agenzia delle entrate , al pagamento della somma equitativamente determinata di Euro 2.800,00 oltre al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell ‘Agenzia delle entrate , delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Condanna, altresì, parte ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.800,00 in favore dell ‘Agenzia delle entrate , e dell’ulteriore somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.