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Onere della prova: Cassazione su frodi carosello

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30442/2025, interviene sul tema delle operazioni soggettivamente inesistenti e le frodi carosello. Il caso riguarda un’azienda del settore della telefonia a cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione IVA. La Corte ha chiarito che l’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria non richiede la dimostrazione di una ‘partecipazione consapevole’ alla frode, ma è sufficiente provare, anche tramite presunzioni, che il contribuente, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto sapere di essere parte di un’operazione evasiva. La sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione basata su questo principio.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Frodi IVA e Onere della Prova: La Cassazione abbassa l’asticella per il Fisco

Quando un’azienda si ritrova coinvolta, anche inconsapevolmente, in una frode carosello, qual è l’onere della prova che l’Amministrazione Finanziaria deve sostenere per contestare la detrazione dell’IVA? È necessario dimostrare che l’imprenditore fosse un complice attivo o basta provare che avrebbe potuto accorgersi dell’illecito? Con la recente ordinanza n. 30442/2025, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale, precisando che è sufficiente la ‘conoscibilità’ della frode, e non la ‘consapevolezza’, per far scattare la responsabilità del contribuente.

I Fatti del Caso: Una Contestazione per Frode IVA

Una società operante nel settore della compravendita di prodotti di telefonia riceveva un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2001. L’Agenzia delle Entrate contestava una serie di violazioni, tra cui l’indebita detrazione IVA, l’illegittima deduzione di costi ai fini IRPEG e la conseguente errata determinazione dell’IRAP. Il tutto scaturiva dalla presunta partecipazione dell’azienda a una frode carosello, basata su operazioni qualificate come ‘soggettivamente inesistenti’.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società, annullando l’accertamento. Secondo i giudici di merito, l’Agenzia non era riuscita a dimostrare una partecipazione ‘consapevole’ della società al meccanismo fraudolento. Di fronte a questa doppia sconfitta, l’Amministrazione Finanziaria ricorreva in Cassazione, lamentando un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.

La Decisione della Cassazione sull’Onere della Prova

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta interpretazione del riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: per negare la detrazione IVA, l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare due elementi:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (ovvero che il soggetto indicato in fattura non è la reale controparte).
2. La consapevolezza o, in alternativa, la ‘conoscibilità’ da parte del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

L’errore dei giudici di merito è stato quello di richiedere al Fisco la prova di un elemento più stringente, ovvero la ‘compartecipazione consapevole’ o il ‘concorso nella frode’, un livello di coinvolgimento attivo e doloso. La Cassazione chiarisce che tale requisito non è necessario.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha spiegato che il criterio corretto non è la ‘consapevolezza’, bensì la ‘conoscibilità’. L’Amministrazione Finanziaria assolve al suo onere della prova dimostrando, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente era a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo, utilizzando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore professionale, della natura fraudolenta dell’operazione.

Una volta che il Fisco ha fornito tale prova presuntiva, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto, adottando tutte le cautele ragionevoli per non essere coinvolto in un’operazione illecita. La mera regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è, da sola, sufficiente a fornire questa prova contraria.

Il giudice d’appello aveva errato nel parametrare la sua valutazione alla ‘partecipazione consapevole alla frode carosello’, imponendo di fatto un limite probatorio più gravoso per l’Agenzia rispetto a quanto richiesto dalla giurisprudenza consolidata. Pertanto, la causa dovrà essere riesaminata applicando il corretto principio di diritto, valutando se gli indizi raccolti dal Fisco fossero sufficienti a dimostrare che l’azienda avrebbe dovuto, con la normale diligenza, sospettare dell’irregolarità dell’operazione commerciale.

Conclusioni: Implicazioni per le Imprese

Questa ordinanza rafforza un importante monito per tutte le imprese: la diligenza nella scelta dei partner commerciali non è un’opzione, ma un obbligo. Per non incorrere in contestazioni fiscali devastanti, non basta assicurarsi che le fatture siano formalmente corrette. È necessario adottare un approccio proattivo, verificando l’affidabilità e la reale operatività dei fornitori, specialmente in settori a rischio di frode. La sentenza chiarisce che l’ignoranza non sempre paga: se le circostanze dell’operazione erano tali da far sorgere un ragionevole sospetto in un operatore accorto, il Fisco ha il diritto di negare la detrazione dell’IVA, con tutte le conseguenze del caso.

Quale standard di prova deve soddisfare l’Agenzia delle Entrate per contestare la detrazione IVA in una frode carosello?
L’Agenzia delle Entrate deve provare, anche tramite presunzioni, che il contribuente era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza professionale. Non è richiesta la prova di una partecipazione attiva e consapevole all’illecito.

La regolarità formale della contabilità e dei pagamenti è sufficiente per difendersi da un’accusa di coinvolgimento in una frode?
No. Secondo la Corte, la regolarità della contabilità e dei pagamenti, così come la mancanza di un beneficio diretto dalla rivendita, non sono di per sé sufficienti a dimostrare la buona fede del contribuente. Quest’ultimo deve provare di aver adottato la massima diligenza esigibile per non essere coinvolto.

Cosa si intende per ‘conoscibilità’ della frode da parte del contribuente?
Per ‘conoscibilità’ si intende che un operatore economico accorto e ragionevole, in base agli elementi oggettivi e alle circostanze del caso concreto (es. prezzi anomali, modalità di pagamento inusuali, natura del fornitore), avrebbe dovuto sospettare che l’operazione facesse parte di un disegno fraudolento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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