Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21543 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21543 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22278/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-ricorrente –
contro
COGNOME nato a Corato (BA) il 23 novembre 1970 ed ivi residente, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Bari, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzo p.e.c. del difensore: ‘ EMAIL) ;
-controricorrente – nonché
n. 22278/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
Accise su prodotti energetici.
RAGIONE_SOCIALE unipersonale in liquidazione , con sede in Foggia, al INDIRIZZO (Partita IVA: P_IVA, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore ;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia n. 1321/2023, pubblicata il 3 maggio 2023;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto, si osserva che, in data 23 settembre 2014, la Guardia di Finanza – Nucleo di Polizia Tributaria Bari – Sezione Accise sugli Oli Minerali avviava una verifica fiscale presso l’impianto di distribuzione di carburanti della società RAGIONE_SOCIALE, sito in Corato (BA), al fine di accertare – con riferimento al periodo 19 febbraio 2014 -23 settembre 2014 l’esatto adempimento delle disposizioni contemplate dalla normativa tributaria in materia di accise sui prodotti energetici e delle correlate disposizioni in materia di IVA, imposte dirette ed IRAP.
Conclusa la verifica, l’amministrazione finanziaria emetteva, a carico di COGNOME NOMECOGNOME in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE , l’avviso di pagamento prot. n. 21316/RU del 15 giugno 2017 per il recupero dell’accisa evasa , pari a complessivi € . 30.855,14 (euro trentamilaottocentocinquantacinque/14) , oltre ad € . 1.993,37 (euro millenovecentonovantatre/37) per indennità di mora ed interessi, su prodotti energetici di illecita provenienza ed immessi in consumo in frode e, a carico della predetta società , l’atto di contestazione prot. n. 21302/RU del 15 giugno 2017 con cui veniva irrogata la sanzione di € . 654,00 (euro seicentocinquantaquattro/00) per alcune irregolarità.
I contribuenti ricorrevano dinanzi alla CTP di Bari, la quale, con sentenza n. 1615/10/2018, rigettava ambedue i ricorsi riuniti.
2.- La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, investita dall’appello proposto dai contribuenti, lo accoglieva limitatamente all’avviso di pagamento . In particolare, la CGT-2 Puglia affermava che: « La Corte rileva che dagli atti del fascicolo di causa, come sostenuto pervicacemente dall’appellante, in effetti non emergeva prova che il Sig.
COGNOME NOME sia stato il soggetto che abbia posto in essere per primo l’immissione in consumo dei prodotti contestati e vieppiù la loro provenienza. Nell’atto impositivo l’Ufficio si è infatti limitato, sic e simpliciter, a richiamare l’applicabilità dell’art. 61, co. 1, lett. b) punto 2 del D.Lgs. 505/95. Ma l’applicabilità della norma invocata imponeva la prova circostanziata e precisa anche alla luce dell’art. 7 bis D.Lgs. 546/92, che il Sig. COGNOME NOME fosse il responsabile della succitata immissione prevista dalla norma. Senonché, tale prova, come già fatto rilevare nel corso del giudizio di prime cure è del tutto assente e nemmeno può ammettersi la presunta deduzione logica come asserito dal giudice di prime cure. Senza cioè in alcun modo supportare e argomentare ovvero giustificare gli elementi ineludibili da cui trarsi tale presunta conseguenza logica. Aggiungasi l’inesistenza altresì di puntuali e specifiche contestazioni, da parte della P.A. (AAMS) nelle censure svolte dall’appellante, stante l a stereotipata generica asserita legittimità della motivazione per relationem al prodromico p.v.c. ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , l’Agenzia delle Dogane e Monopoli ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
4.- La contribuente società RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata, mentre COGNOME NOME ha resistito mediante controricorso.
5.A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., l’amministrazione finanziaria ricorrente, con istanza del 16 febbraio 2024, ha chiesto la decisione del ricorso, sia pure precisando di « nulla obiettare » con riguardo alle considerazioni sviluppate nella predetta proposta in ordine al primo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, l’amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per violazione degli artt. 1, comma 2 e 36, comma 2, n. 4), d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, co mma 2, n. 4), c.p.c., nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost.
Sostiene, al riguardo, che la motivazione della sentenza di secondo grado sarebbe assente o meramente apparente, per avere il giudice di appello ritenuto che difettasse la prova che il contribuente COGNOME COGNOME
fosse autore della prima immissione in consumo dei prodotti soggetti ad accisa, poiché, a fronte delle allegazioni e della documentazione prodotta nei giudizi di merito, ed in particolare del p.v.c. della Guardia di Finanza del 15 aprile 2015, prodromico agli atti impugnati, il Collegio, dopo ampia esposizione dello svolgimento del processo, si sarebbe limitato ad affermare che: « non emerge prova che il sig. COGNOME Sergio sia stato il soggetto che abbia posto in essere per primo l’immissione in consumo dei prodotti contestati e vieppiù la loro provenienza ».
2.- La censura è infondata.
Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » [Cass., Sez. 1, ordinanza n. 7090 del 3 marzo 2022, Rv. 664120-01; cfr., altresì, in senso sostanzialmente conforme Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 22598 del 25 settembre 2018, Rv. 65088001, secondo cui « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed
obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.. »].
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Orbene, nel caso di specie la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la CGT-2 Puglia ha senz’altro motivato – sia pure in maniera sintetica -rispondendo alle specifiche doglianze del contribuente appellante (non avere « effettuato la prima immissione di consumo dei prodotti di provenienza comunitaria (…) non essere autore della frode fiscale; di non aver comunque partecipato allo svincolo irregolare dei carburanti ») e accertando che, per il periodo su cui si era concentrato l’esercizio del potere impositivo (19 febbraio 2014 – 23 settembre 2014), il contribuente COGNOME NOME non fosse socio unico della RAGIONE_SOCIALE unipersonale in liquidazione, ha ritenuto che non vi fosse prova che il contribuente fosse autore della prima immissione in consumo ai sensi dell’art. 61, comma 1, lett. b) , TUA (« nell’atto impositivo l’Ufficio infatti si è limitato, sic et simpliciter, a richiamare l’applicabilità dell’art. 61, co. 1, lett. b) punto 2 del D.Lgs. 504/95. Ma l’applicabilità della norma invocata imponeva la prova circostanziata e precisa anche alla luce ex art. 7 bis D.Lgs. 546/92, che il Sig. COGNOME NOME fosse il responsabile della succitata prima immissione prevista dalla norma. Senonché, tale prova come già fatto rilevare nel corso del giudizio di prime cure è del tutto
assente e nemmeno può ammettersi la ‘presunta deduzione logica’ come asserito dal giudice di prime cure. Senza cioè in alcun modo supportare e argomentare ovvero giustificare gli elementi ineludibili da cui trarsi tale presunta conseguenza logica. Aggiungasi l’inesistenza altresì di puntuali e specifiche contestazioni, da parte della P.A. (AAMS) nelle censure svolte dall’appellante, stante la stereotipata generica asserita legittimità della motivazione per relationem al prodromico p.v.c. »). Tale percorso logico risulta, come già chiarito nella proposta di definizione anticipata, formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., succinto e compiuto, in quanto deduce la mancanza di prova della responsabilità tributaria del contribuente dall’assenza di elementi di prova, da parte dell’ a mministrazione finanziaria nell’atto impugnato, dall’impossibilità di ricorrere a deduzioni logiche e dalla fondatezza per assenza di specifiche contestazioni delle censure mosse dal contribuente all’originario p.v.c..
3.- Con il secondo motivo, l’amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’ omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.
Nel motivo di cui si tratta, si legge, in particolare, che: « Va cassata per omesso esame di fatto decisivo la sentenza d’appello tributaria che non abbia esaminato in una fattispecie di prova della prima immissione in consumo di prodotti energetici soggetti ad accisa in capo all’unico socio amministratore senza pagamento delle relative accise senza esaminare i seguenti fatti decisivi uno il registro ricarico e scarico dei prodotti energetici ero inattendibile perché voi segnava in alcune date negative di prodotto energetico 2 era avvenuta una illecita miscelazione di prodotti energetici diversi tre tali quantità voi illegittimamente miscelate voi non erano accompagnate dalla prescritta documentazione 4 voi essendo il deposito intestato a una società responsabilità limitata unipersonale voi l’unico a poter giovarsi di tali condotte di evasione era l’unico socio e amministratore della stessa » (cfr., all’uopo, il ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, alla pag. 11).
Ancora, secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità, la CGT-2 Puglia avrebbe omesso di considerare che gli atti impugnati e, quindi, la pretesa erariale, traevano il proprio fondamento nel prodromico p.v.c. della Guardia di Finanza del
15 aprile 2015, in cui era stato ricostruito, in contraddittorio con la parte, tutta la movimentazione dei prodotti energetici stoccati nell’impianto di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE unipersonale in liquidazione, sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, considerata l’assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili e dal registro di carico e scarico dei prodotti energetici, constatando una serie di irregolarità, con particolare riguardo alla mancanza di idonea documentazione di trasporto del prodotto energetico da considerare pertanto di illecita provenienza, e all’utilizzo in frode di olio lubrificante in evasione di imposta, ceduto come gasolio per autotrazione.
In particolare, l’attività di verifica condotta dai militari della Guardia di Finanza avrebbe permesso di accertare, tra le altre, due specifiche fattispecie di violazione di natura sostanziale in materia di accise, ossia: a) l ‘illecita introduzione, nei serbatoi dell’impianto, di ‘gasolio’ (in realtà, olio lubrificante, come sopra specificato) in evasione di accisa, utilizzato in frode e spacciato come gasolio per autotrazione, introduzione punita ex art. 40, comma 1, lett. g), TUA; b) l ‘ illecita introduzione, nei serbatoi dell’impianto, di benzina sRAGIONE_SOCIALE, gasolio e GPL, quali quantitativi di prodotti energetici non documentati, in evasione d’accisa, punita ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. b) e comma 4, TUA.
Infine, il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare anche la circostanza relativa all’avvenuta denuncia, in sede penale, dell’odierno controricorrente COGNOME Sergio e della sua citazione diretta a giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani, per i reati di cui all’art. 40, co mma 1, lett. b) e g) e comma 4, T.U.A. e di cui all’art. 515 c.p.
4.- La censura è inammissibile, in quanto – in disparte la non chiara indicazione di quale sarebbe o sarebbero i fatti storici la cui disamina sarebbe stata omessa, oltre all ‘ inattendibilità del registro di carico e scarico dei prodotti petroliferi – manca, in essa, una specifica illustrazione dell’ indispensabile giudizio di decisività di tali circostanze in fatto.
Del resto, come chiarito da questa Corte regolatrice, « L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. » (Cass., Sez. 2, ordinanza n. 17005 del 20 giugno 2024, Rv. 671706-01). Parimenti, è stato chiarito che « L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. » (Cass. civ., Sez. 6-1, ordinanza n. 2268 del 26 gennaio 2022, Rv. 66375801).
Nella specie, lungi dall’aver dedotto l’omesso esame di un fatto storico in senso naturalistico, l’amministrazione finanziaria ricorrente ha fatto valere questioni che attengono alle valutazioni probatorie compiute dal giudice d’appello e consistenti, in particolare, nell’affermata inattendibilità della documentazione contabile e del registro di carico e scarico, nonché nella prospettata responsabilità penale del contribuente COGNOME COGNOME con conseguente inammissibilità della censura di cui si tratta.
5.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev’essere senz’altro rigettato.
6.- Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in favore del controricorrente.
Non è luogo a provvedere, invece, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, con riguardo alla posizione dell’intimata società, non avendo quest’ultima svolto alcuna attività difensiva.
7.- Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta di definizione accelerata, ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., deve farsi applicazione delle disposizioni di cui all’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., con
conseguente condanna ulteriore della ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata e che si liquida in dispositivo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge, anch’essa liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €. 4.300,00 per compensi, €. 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori come per legge; condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente , della somma di €. 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., nonché al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di €. 1 .000,00 ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,