Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5891 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5891 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25868/2022 proposto da:
NOME nata a Pozzuoli il 3 agosto 1950 (C.F.: CODICE_FISCALE ed ivi residente, alla INDIRIZZO rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma alla INDIRIZZO (fax: NUMERO_TELEFONO; PEC: EMAIL e EMAIL);
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO) e presso la stessa domiciliata in Roma alla
Avviso liquidazione imposta registro – Sentenza acquisto usucapione immobile
INDIRIZZO
– controricorrente –
-avverso la sentenza 3197/15/2022 emessa dalla CTR Campania il 31/03/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
COGNOME NOME impugnava davanti alla CTP di Napoli l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro relativa ad una sentenza civile con la quale veniva dichiarato l’acquisto per usucapione di un immobile. In intervenuta usucapione, in favore della contribuente, della metà di un fondo sito in Pozzuoli alla INDIRIZZO sul quale insistevano tre immobili al piano terra ad uso abitativo. La Inadicicco chiedeva l’annullamento dell’atto
particolare, la sentenza emessa aveva riguardo alla ed eccepi va che ‘la superficie di cui dobbiamo rispondere è di soli 100 mq.’. 2. L’adìta CTP accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo più attendibile la valutazione fatta dall’Ufficio nella fase della mediazione, determinando il valore, sulla base dell’unico atto di compravendita di bene similare allegato dall’Agenzia, in euro 215.985 e non riconoscendo la minore superficie di 100 mq.
Sull’impugnazione della contribuente (che rilevava l’esistenza solo di una parziale corrispondenza tra le costruzioni insistenti nella propria proprietà con la superficie di suolo oggetto di usucapione, in ragione di soli 100 metri quadrati – invece che 363 mq totale di tutta la superficie del fabbricato -, e riteneva che il valore attribuibile agli immobili non trovasse corrispondenza nel prezzo a metro quadrato con altro atto di compravendita registrato e riferito alla zona), la CTR della Campania rigettava il gravame, affermando che l’Ufficio aveva tenuto conto del valore venale dell’immobile in oggetto (dopo aver peraltro indicato nell’avviso il criterio comparativo adottato), laddove la contribuente non aveva indicato né in via stragiudiziale né nel corso del giudizio alcun valore dei beni in oggetto.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con
contro
ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per non essersi la CTR pronunziata sull’eccezione da lei sollevata, sia in primo grado che in secondo grado, in merito ai metri quadrati di cui tener conto ai fini della valutazione delle unità costruite sul fondo usucapito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., 36, comma 2, nn. 2 e 4, d.lgs. n. 546/1992, 118, primo comma, disp. att. c.p.c., e 111, sesto comma, e 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver la CTR emesso una sentenza viziata da motivazione meramente apparente e per non aver tenuto conto delle argomentazioni difensive formulate in merito al numero di metri quadrati usucapiti.
Il secondo motivo , da trattarsi, ai sensi del secondo comma dell’art. 276 c.p.c., prioritariamente, è infondato.
Invero, si è in presenza di una motivazione meramente apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e quindi materialmente esistente), come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibile le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento.
Orbene, al di là del riferimento alla congruità della motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato, la CTR ha, sia pure sinteticamente evidenziato che, mentre l’Ufficio aveva tenuto conto del valore venale dell’immobile in oggetto (dopo aver peraltro indicato nell’avviso il criterio comparativo adottato), la contribuente non aveva indicato né in via stragiudiziale né nel corso del giudizio alcun valore dei beni in oggetto.
Del resto, laddove il rilievo secondo cui il criterio comparativo adottato dall’Ufficio avrebbe dovuto contemplare l’esame anche di altre
compravendite (effettuate nella medesima zona e nello stesso periodo) è apodittico, atteso che ben può la stima rettificativa fondarsi anche su un solo immobile similare (e, comunque, la contribuente non ha neppure dedotto che la compravendita valorizzata non avesse ad oggetto beni comparabili), la censura in base alla quale la CTR non avrebbe considerato che, in realtà, i metri quadrati usucapiti fossero cento poteva essere fatta valere, come è effettivamente avvenuto con il primo motivo, sul piano della omissione di pronuncia, e non già su quello del difetto motivazionale.
4. Il primo motivo è fondato.
In osservanza del principio di autosufficienza, la ricorrente ha riprodotto (a pag. 9 del ricorso) la parte dell’atto di appello con il quale aveva censurato la sentenza di primo grado per non aver preso in considerazione che i metri quadrati di cui tener conto per calcolare il valore dei beni immobili insistenti sulla metà della particella (782, ex 628) acquisita per usucapione erano inferiori a cento, non coincidendo con la metà della superficie degli immobili di sua proprietà, siccome costruiti anche su altre particelle già a lei appartenenti (la n. 697 per intero e la n. 628 -poi 782 -per metà).
Risulta ex actis che la CTR non abbia proprio preso posizione sulla descritta eccezione, né potendosi ritenere che si sia in presenza di un rigetto implicito della stessa. Invero, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione ritualmente sollevata quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; solo in siffatta ultima evenienza la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass., Sez. 3,
Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023).
5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per non aver la CTR esaminato gli atti di compravendita da lei depositati, al fine di comparare il valore del metro quadro nella medesima zona, per il medesimo periodo accertato, e per non aver valutato la possibilità di disporre una consulenza tecnica, così come richiesta in sede di appello.
5.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. ( ratione temporis vigente; cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 25281 del 25/08/2023). Del resto, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 326 del 13/01/2020; conf. Cass., Sez. L, Ordinanza n. 18299 del 04/07/2024; nello stesso, avuto riguardo al processo tributario, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25253 del 09/10/2019).
In secondo luogo, in palese violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei loro passaggi essenziali, la perizia di parte che avrebbe depositato nel corso del giudizio di secondo grado e la non meglio specificata documentazione (a meno che la generica dicitura non voglia riferirsi a quella fotografica) che avrebbe allegato a
corredo.
Senza tralasciare che, come è noto, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.
A ben vedere, la ricorrente, con il motivo in esame, sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede.
In ogni caso, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021).
Del resto, , la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed
eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare, come si è già detto, che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26739 del 15/10/2024).
Nella fattispecie in esame, la CTR non ha operato una inversione dell’onere probatorio, ma, dopo aver evidenziato che l’Ufficio aveva assolto il proprio onere, ha affermato che la contribuente non aveva, invece, dimostrato fatti estintivi o impeditivi della pretesa erariale.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata, con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 28.2.2025.