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Notifica telematica: come evitare l’improcedibilità

Una società impugna degli avvisi di accertamento IMU. Il suo ricorso in Cassazione viene dichiarato improcedibile perché la prova della notifica telematica della sentenza d’appello è stata depositata in formato PDF anziché nel formato nativo .eml o .msg, come richiesto dalla nuova normativa sulla giustizia digitale. Tale omissione ha impedito alla Corte di verificare la tempestività del ricorso.

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Notifica telematica e ricorso in Cassazione: un errore formale può costare caro

L’evoluzione digitale del processo ha introdotto nuove regole che, se ignorate, possono avere conseguenze fatali per l’esito di una causa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale riguardante la notifica telematica delle sentenze e l’onere della prova nel giudizio di legittimità. Il caso analizzato dimostra come un semplice errore nel formato del file depositato possa portare alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso, precludendo ogni possibilità di esame nel merito.

I Fatti del Caso: Una Disputa Fiscale e un Errore Procedurale

La vicenda trae origine da una controversia tributaria tra una società di servizi e un Comune del nord Italia, relativa a degli avvisi di accertamento per l’IMU degli anni dal 2014 al 2017. Soccombente in secondo grado, la società decideva di presentare ricorso per Cassazione.

Nel ricorso, la società dichiarava che la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado le era stata notificata. Questa dichiarazione fa scattare il cosiddetto “termine breve” di 60 giorni per impugnare. Di conseguenza, la società aveva l’onere di depositare, insieme al ricorso, una copia della sentenza impugnata munita della prova della notifica, per consentire alla Corte di verificare la tempestività dell’impugnazione. Tuttavia, la prova della notifica, avvenuta tramite Posta Elettronica Certificata (PEC), veniva depositata come una semplice scansione in formato PDF del messaggio, priva peraltro degli allegati.

La Decisione della Corte di Cassazione e la regola sulla notifica telematica

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso improcedibile. La decisione si fonda sull’applicazione delle nuove norme sulla giustizia digitale, introdotte dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022), che hanno reso obbligatorio il deposito telematico degli atti anche nel giudizio di cassazione a partire dal 1° gennaio 2023.

I giudici hanno sottolineato che, quando la notifica della sentenza avviene tramite PEC, la prova di tale adempimento deve essere fornita depositando i file originali della notifica, ovvero i messaggi in formato nativo .eml o .msg. Questi formati, a differenza di una scansione PDF, garantiscono l’autenticità, l’integrità e la paternità del messaggio di posta, attestando in modo incontrovertibile la data e l’esito della notifica.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che la regola non è un mero formalismo. Il corretto deposito della prova della notifica telematica è essenziale per permettere al giudice di compiere una verifica fondamentale: quella sulla tempestività del ricorso. Senza la prova certa della data di notifica della sentenza impugnata, la Corte non può stabilire se il ricorso sia stato presentato entro il termine perentorio di 60 giorni.

Nel caso specifico, la società ricorrente aveva depositato solo una stampa in PDF del messaggio PEC, un documento privo di valore probatorio sufficiente perché facilmente alterabile e sprovvisto delle firme digitali del gestore di posta che ne certificano l’autenticità. Essendo il ricorso stato notificato oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza, era cruciale per la società dimostrare la data esatta della notifica per far decorrere il termine da quel momento. L’incapacità di fornire tale prova nel modo corretto ha reso il ricorso improcedibile, con conseguente assorbimento di tutti i motivi di merito sollevati.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce il principio, ormai consolidato, secondo cui le regole del processo telematico devono essere osservate con il massimo rigore. Gli avvocati devono prestare la massima attenzione alle modalità di deposito degli atti e dei documenti, in particolare quando da essi dipende la procedibilità stessa dell’impugnazione. La produzione di una semplice stampa o di un PDF di un messaggio PEC non è più sufficiente a provare una notifica telematica. È imperativo conservare e depositare i file nativi (.eml o .msg) per non incorrere in declaratorie di inammissibilità o improcedibilità che possono vanificare le ragioni del proprio assistito.

Perché il ricorso per Cassazione è stato dichiarato improcedibile?
Il ricorso è stato dichiarato improcedibile perché la società ricorrente non ha depositato la prova della notifica della sentenza impugnata nel formato corretto. Avendo ricevuto la notifica tramite PEC, avrebbe dovuto depositare il file nativo del messaggio (.eml o .msg), ma ha invece prodotto solo una stampa in formato PDF, ritenuta inidonea a fornire la prova certa della data di notifica.

Qual è il modo corretto per dimostrare una notifica telematica via PEC nel giudizio di Cassazione?
Secondo la Corte e la normativa vigente, la prova deve essere fornita depositando telematicamente il duplicato informatico della notifica, ovvero il file contenente il messaggio di posta elettronica certificata e i suoi allegati nel formato originale .eml o .msg. Questo è l’unico modo per garantire l’autenticità e l’integrità della comunicazione.

Depositare un file PDF della ricevuta di notifica PEC è sufficiente?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che una stampa del messaggio PEC, sia essa cartacea o in formato PDF, non ha il valore probatorio del file nativo, in quanto non garantisce l’autenticità del messaggio e la presenza delle firme digitali del gestore di posta che attestano la provenienza, la data e l’integrità del documento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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