Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 750 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 750 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere – Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 1/21/11/2023 C.C. PU R.G. 692/2017 –
Cron. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 692/2017 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
R.G.N. 17987/2019
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, n. 3330/39/16, depositata in data 25 maggio 2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Latina, con la sentenza n. 349/3/11, depositata in data 27 giugno 2011, aveva accolto il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE avverso l’ avviso di accertamento n. RC3030100166/2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica della Guardia di Finanza e di redazione di processo verbale di constatazione redatto il 3 giugno 2009, riguardante l’anno di imposta 2006, aveva proceduto alla rettifica della dichiarazione dei redditi, modello unico 2007, accertando costi indeducibili pari ad euro 1.127.836, in quanto riconducibili a fattispecie di reato, e altri costi indeducibili relativi a spese di manutenzione di automezzi per euro 38.693,00 ed euro 11.259,00 e plusvalenze patrimoniali non dichiarate pari ad euro 45.120,00.
La Commissione tributaria regionale, adita dall’Agenzia delle Entrate, ha accolto parzialmente l’appello , ritenendolo fondato con riguardo ai costi indeducibili per euro 1.127.836,00, relativamente al recupero a tassazione delle voci che figuravano nell’avviso di accertamento da foglio 9 a foglio 12 , sotto le lettere C, D, E, F, G, I e rigettandolo, per quel che rileva in questa sede, sulla base delle seguenti considerazioni:
-) nessuna prova era stata data in ordine ad un eventuale intervenuto esercizio dell’azione penale da parte della Procura della Repubblica di Latina , investita della notizia di reato , né l’ Agenzia nell’atto di appello aveva fatto cenno all’esercizio dell’azione penale, limitandosi a fornire nuovamente e soltanto un numero di ruolo del P.M., così accentuando i dubbi in ordine ad un esito positivo degli ulteriori accertamenti a carico
dei predetti COGNOME NOME e COGNOME Antonio e , comunque, in ordine ad un eventuale rinvio a giudizio di costoro;
-) non bastava, inoltre, il fatto che non occorreva che fosse intervenuta condanna in sede penale;
-) le dichiarazioni dei terzi (COGNOME e COGNOME), pure evidenziate nell’atto impositivo per sostenere l’accordo fraudolento all’interno del «nucleo Treglia», trattandosi di dichiarazioni rilevanti, in quanto dimostrative della commistione tra le tre società, avrebbero dovuto esser poste a conoscenza della società contribuente tempestivamente con lo stesso avviso di accertamento, allegandole o riportandone il contenuto, viceversa appena accennato nell’atto (si trattava, peraltro, di dichiarazioni articolate);
-) della carenza di elementi conoscitivi si era del resto prontamente lamentata la società contribuente già con l’originario ricorso
-) l’avviso di accertamento era, dunque, carente di motivazione e, dunque nullo, nella parte avente ad oggetto i costi indeducibili quantificati nell’avviso di accertamento, a f. 9, in euro 1.127.836,00 e, di conseguenza neppure erano fondate le doglianze dell’appellante in ordine alla IVA, ritenuta indetraibile, relativa del 20 %, e pari ad euro 225.567,16.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma primo, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni, dalla lege n. 44 del 2012; dell’art. 54, comma 2, e
dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972; dell’art. 17 della sesta direttiva 77/388/CEE, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., limitatamente all’annullamento del rilievo IVA. La sentenza impugnata aveva annullato i rilievi aventi ad oggetto i costi indeducibili e quelli relativi all’IVA del 20% sulla base di una motivazione incentrata unicamente sulla novella contenuta nell’art. 8, comma 1, del decreto legge n. 16 del 2012 e ritenendo che la richiamata novella fosse idonea a determinare l’annullamento tout court dell’intero avviso, con riferimento a tutte le poste ivi contestate, dunque anche ai rilievi in materia di IVA e ai ricavi non contabilizzati ai fini delle imposte dirette. Era pacifico che la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012 si riferiva solo alla deducibilità dei costi e non all’ammissibilità alla detrazione Iva, come emergeva anche dalla relazione illustrativa al decreto legge che affermava che «In ogni caso, resta applicabile il disposto di cui all’articolo 21, comma 7, del DPR n. 633/1972 e resta ferma l’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto relativa ai beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati». La Commissione tributaria regionale, quindi, non avrebbe potuto annullare il rilievo in tema di IVA sulla mera constatazione della violazione della novella dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012 in tema di costi di reato, ma avrebbe dovuto applicare le norme e i principi che presiedono alla detrazione IVA costituite dagli artt. 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 e verificare se a fronte di contestazioni specifiche e sostenute da precise presunzioni il contribuente avesse fornito una idonea controprova.
Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, limitatamente all’annullamento del rilievo IVA, in ragione della ipotizzata violazione dell’onere di allegazione delle dichiarazioni dei collaboratori menzionate nell’avviso di accertamento. La sentenza impugnata, nella parte in cui aveva affermato che vi era stata la
violazione dell’onere di allegazione dell’atto richiamato per relationem con riguardo alle dichiarazioni dei due autisti, tali COGNOME NOME e COGNOME Salvatore, e del parcheggiatore COGNOME NOME, non costituiva il presupposto in fatto o in diritto della decisione pronunciata, ma era ininfluente su di essa e doveva, pertanto, ritenersi ad abundantiam e, di conseguenza, estranea all’onere di impugnazione della parte soccombente ed anzi non impugnabile per difetto di interesse. In ogni caso, la predetta pronuncia ad abundantiam contrastava con le disposizioni in epigrafe, in quanto l’avviso di accertamento riportava il contenuto essenziale delle dichiarazioni, i nominativi e le qualifiche professionali di coloro che le avevano rese. I giudici di secondo grado, imponendo in sostanza l’integrale riproduzione delle dichiarazioni, non ritenendo sufficiente la riproduzione della «contenuto essenziale» delle stesse, avevano dato una interpretazione della norma che contrastava con la nozione di «contenuto essenziale» dell’atto e riduceva l’onere di allegazione a un mero adempimento non più correlato alla finalità di garanzia del diritto di difesa del contribuente e, dunque, alla ratio legis della norma.
In via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso per cassazione.
3.1 Ed invero, vi è in atti una prima notifica eseguita a mezzo del servizio postale e non andata a buon fine giusta relata del 4 gennaio 2017, a COGNOME NOME, indicato come legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO Sant’Anastasia, Napoli (consegna della notifica da parte dell’Avvocatura dello Stato in data 27 dicembre 2016 in Formia, Latina, INDIRIZZO e mancata consegna, datata 2 gennaio 2017).
3.2 Vi è poi una seconda consegna di notifica presso il difensore della società RAGIONE_SOCIALE, dott. COGNOME COGNOME, in INDIRIZZO Latina, in data 29 dicembre 2016, anche questa non andata a buon
fine perché «trasferito dallo studio», giusta relata di notifica del 17 gennaio 2017, in atti.
3.3 Risulta, poi, un ulteriore consegna per la notifica al dott. COGNOME COGNOME eseguita dall’Avvocatura in data 9 marzo 2017, in atti.
3.4 Ciò posto, deve osservarsi che, in materia di notificazione di un atto processuale, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 24 luglio 2009, n. 17352, hanno affermato il principio secondo il quale « In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie ».
3.5 La portata del principio richiamato in tema di notificazioni è stata così successivamente precisata da questa Corte che ha affermato che « Qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio -di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio » (Cass. 19 ottobre 2012, n. 18074)
3.6 Ed ancor più di recente, nuovamente le Sezioni Unite hanno precisato che « In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa » (Cass., Sez. U., 15 luglio 2016, n. 14594 e, più di recente Cass., 31 luglio 2017, n. 19059; Cass., 11 maggio 2018, n. 11485; Cass., 9 agosto 2018, n. 20700; Cass., 21 agosto 2020, n. 17577).
3.7 L’attività del richiedente, quindi, è oggi qualificata come un «dovere» e non più un «onere» e il termine «ragionevolmente contenuto» viene determinato nella metà dei termini ex art. 325 cod. proc. civ., ossia, per quanto concerne il ricorso per cassazione, in trenta giorni; resta ferma, tuttavia, la facoltà per l’interessato di dimostrare che tale dilazione sia insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato (Cass., 8 marzo 2017, n. 5974, citata).
3.8 Tanto premesso, nel caso in esame, le notifiche del ricorso per cassazione, per quanto rilevato, non risultano essere andata a buon fine per irreperibilità del destinatario, né la società RAGIONE_SOCIALE si è costituita nel presente giudizio. Il mancato esito, dunque, non è dipeso da una causa imputabile alla parte richiedente, la quale, tuttavia, non ha proceduto alla riattivazione della procedura notificatoria, che si è limitata a depositare in data 11-12 settembre 2023, l’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito spedita con raccomandata n. 783330346757 (relativa alla notificazione non andata a buon fine) e una «videata» relativa all’indirizzo del difensore COGNOME COGNOME
3.9 Ciò senza prescindere dalla circostanza che la notifica andava fatta alla parte personalmente, ovvero alla società intimata, perchè era
decorso l’anno dalla data di deposito della sentenza di primo grado (27 giugno 2011), essendo rimasta la società contribuente contumace nel giudizio di appello, che si è concluso con la sentenza, impugnata in questa sede, emessa il 25 maggio 2016 (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2006, n. 2197; Cass., 26 settembre 2017, n. 22341; Cass., 29 ottobre 2021, n. 30711).
Il ricorso, pertanto, è inammissibile.
4.1 Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché la società intimata non ha svolto difese.
4.2 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2023.