Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29912-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
IRAGIONE_SOCIALE. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME
Oggetto
Estratto di ruolo -interesse ad agire e vizi formali
R.G.N. 29912/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 29/05/2025
CC
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente con mandato –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 345/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/05/2020 R.G.N. 1076/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
29/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame proposto da COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che, escluso l’interesse ad agire, aveva respinto il ricorso, in opposizione ad estratto di ruolo inerente a cartelle di pagamento ed avvisi di addebito, rilevando la regolarità delle notifiche e l’infondatezza delle ecce zioni formali e di prescrizione.
La Corte territoriale ha escluso la fondatezza della domanda, nel merito, superando le eccezioni di mancata valutazione del disconoscimento delle copie dei documenti attestanti le notifiche per genericità dell ‘eccepita difformità dall’originale, ed escludendo l’onere di A genzia di Riscossione di produrre gli originali delle cartelle delle notifiche; ha anche ritenuto ritualmente notificati gli avvisi di addebito inoltrati all ‘indirizzo PEC della ditta ricorrente, respingendo l’eccepita prescrizione
post-notifica per le pretese contributive di INPS e assicurative di INAIL in presenza di domanda di dilazione, dimostrativa della piena conoscenza degli avvisi; ha infine ritenuto infondata l’eccepita nullità degli avvisi notificati in formato ‘pdf’ anzich é in ‘p7m’ , ed ha ritenuto la insussistenza d ell’ interesse ad agire in assenza di una minaccia attuale di atti esecutivi.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE affidandosi a sei motivi, a cui solo INPS ed INAIL resistono con controricorso.
La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 29 maggio 2025.
CONSIDERATO CHE
1.1 – Con il primo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’ art. 360 co.1 n.4 c.p.c., la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul vizio di notifica proveniente da indirizzo PEC non presente nei pubblici elenchi IPA, con conseguente inesistenza insanabile delle notifiche.
1.2 Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n.5 c.p.c., per omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’inesistenza delle notifiche inviate via pec da indirizzi diversi da quelli contenuti nei pubblici registri.
1.3 -Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 -ter del D.L. 179/2012, dell’art. 3-bis L. n.53/94 ed art.6-quater co.1, del D. Lgs. n.82/05 (Codice dell’Amministrazione Digitale) in relazione alle notifiche effettuate dagli enti convenuti da un indirizzo PEC non risultante in alcun registro pubblico di indirizzi elettronici, donde l’inesistenza delle notifiche.
1.4 -Con quarto motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per
mancata allegazione e prova della riconducibilità alle notifiche delle cartelle e avvisi di addebito in violazione dell’art. 2697 c.c. 1.5 -Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione al disconoscimento invocato ex artt. 214, 215, 216 c.p.c., sulla scrittura e sulla sottoscrizione dei referti di notifica prodotti in fotocopia da AdER e da INPS, ed al mancato procedimento di verificazione.
1.6 -C on il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360 primo comma n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.Lgs. n.546/92.
Nel controricorso INPS eccepisce l ‘ inammissibilità del ricorso per avere la Corte di Appello provveduto in modo conforme all’orientamento della Corte di cassazione, ed in presenza di numerosi precedenti analoghi in giudizi patrocinati dallo stesso difensore i cui motivi di ricorso sono stati riprodotti con la modalità di ‘assemblaggio’; riguardo al primo motivo inerente ad una doglianza diversa da quella del primo grado, non c’è violazione del principio di domanda e le norme asseritamente violate si riferiscono alla pec del destinatario non del mittente; anche il secondo motivo sarebbe inammissibile in presenza di una pronuncia cd. doppia conforme, ed il terzo motivo perché ripropone la questione di indirizzo inserito nei registri IPA già trattato nel primo motivo; con riguardo al quarto motivo non risulta contestato un erroneo riparto dell’onere probatorio e non si confronta sulla ritenuta genericità del disconoscimento; nel quinto motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione di una norma del processo tributario. Rileva poi che le questioni sollevate sarebbero inammissibili per carenza di interesse a fronte di un ‘ azione proposta avverso estratti di ruolo, che la impugnata pronuncia avrebbe ritenuto però ammissibile
andando a verificare nel merito la regolare notifica degli atti stragiudiziali e la irretrattabilità dei crediti portati nei titoli non opposti e non prescritti.
L’ INAIL si costituisce eccependo in primo luogo il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto eventuali irregolarità formali del procedimento di riscossione esattoriale non sono imputabili all’ente creditore , e rileva la inammissibilità di tutti i motivi di ricorso tendenti ad una revisione nel merito del materiale istruttorio, precisando che le irregolarità formali degli atti in formato pdf e delle notifiche sono sanate dal raggiungimento scopo; quanto al disconoscimento degli atti prodotti in copia esso deve essere specifico; e per le notifiche dell’Istituto, ogni eccepita violazione è superata dalla rateizzazione, che non costituisce acquiescenza dell’an della pretesa ma integra un riconoscimento di debito con interruzione della prescrizione, incompatibile con l’allegazione d i non aver ricevuto notifica (Cass tributaria 26762/20).
L’Agenzia Entrate Riscossione deposita atto di costituzione senza esercitare difese.
Il ricorso è infondato e va respinto.
6 . Preliminarmente occorre osservare che l’impugnata sentenza, esaminate le doglianze dell’appellante rilevandone l’infondatezza, ha affermato che in mancanza di alcun atto esecutivo ‘l’azione difetta dell’interesse ad agire’; ha tuttavia concluso per il rigetto dell’appello. Va anche evidenziata l’ assenza di impugnazione sul punto della divergenza con la parte motiva della sentenza (poiché l’appello è stato proposto dalla sola contribuente). Si consideri, in proposito, il costante orientamento di questa Corte (per tutte: Cass. n. 4448/2023) secondo il quale: « in tema di impugnazione dell’estratto di ruolo, l’applicabilità, anche nei giudizi pendenti, dell’art. 12,
comma 4-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto con l’art. 3bis del d.l. n. 146 del 2021, convertito con l. n. 215 del 2021), e della configurazione assunta dall’interesse ad agire in virtù della norma sopravvenuta, rilevante, secondo una concezione dinamica, fino al momento della decisione, trova il suo limite nell’espresso giudicato interno sulla sussistenza dell’interesse (Nella specie la S.C. ha affermato la inidoneità dello ius superveniens a superare il giudicato formatosi sull’ammissibilità dell’azione esercitata, e quindi della sussistenza dell’interesse ad agire, espressamente riconosciuta dal giudice di appello in accoglimento del gravame sul punto, senza che tale statuizione sia stata oggetto di impugnazione )». Nel caso in esame il dispositivo di rigetto dell’appello, coerente con gran parte della motivazione resa dalla Corte territoriale, prevale sulla sola dicitura riportata al primo capoverso di pag. 11 sulla carenza di interesse ad agire.
Tanto premesso, e passando ad affrontare i singoli motivi di ricorso, esso è infondato e deve essere respinto.
I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, e sono infondati. Premesso che il ricorrente non si duole della destinazione ad un indirizzo PEC corrispondente al proprio domicilio digitale, va invece evidenziato che la questione della provenienza della comunicazione da un indirizzo PEC del mittente non incluso nei pubblici elenchi IPA non è fondata.
8.1 – Va innanzitutto osservato che, nel riportare il motivo originario del ricorso, la ricorrente aveva precisato che le notifiche devono provenire da soggetti abilitati, titolari del potere di notificazione, mentre nel primo motivo di ricorso la censura si orienta sulla modalità tecnica della provenienza della missiva da un sito di posta elettronica non ufficiale per le
pubbliche amministrazioni. Ad ogni modo, ove tale doglianza rientri nella tematica della prova che la notifica sia compiuta da soggetto abilitato, va esclusa che tale irregolarità sia causa di nullità o inesistenza della notifica.
8.2 – Come affermato in sentenza delle Sezioni Unite n. 15979/2022 (con riferimento ad un caso di notificazione a mezzo PEC del ricorso per cassazione effettuata dalla Procura Generale della Corte dei Conti, utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi) la notifica proveniente da un indirizzo non incluso nei pubblici elenchi della PA, ‘ non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente ‘ . Dello stesso avviso, cfr. anche Cass. 982/2023.
8.3 -Di seguito, è stato affermato (Cass. sent. n.18684/23) che, nel caso specifico di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, ‘ l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi
quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro ‘. Il ricorrente non segnala nulla al riguardo.
8.4 – E non è fondata neppure la doglianza di omesso esame, poiché nell’impugnata sentenza è stato espressamente escluso, a pag.8, che l’irritualità delle notifiche di atti a mezzo PEC non comporta la nullità se la consegna dello stesso ha prodotto il risultato della sua conoscenza determinando così il raggiungimento dello scopo.
8.5 – Va anche precisato, con riferimento alle dedotte violazioni di legge di cui al terzo motivo di ricorso, che le irregolarità formali restano superate purché vi sia inequivoca riferibilità al mittente (Cass. ord. n. 19327/2024), avuto riguardo sia alla formazione del documento analogico trasmesso in forma digitale, sia alla inequivocabile riferibilità all’organo amministrativo titolare del potere di emettere l’atto, sia alla riferibilità e provenienza desumibile dalla intestazione, indicazione della causale e numero di codice di riferimento dell’atto notificato (cartella/avviso) che, redatto su apposito modello ministeriale, non prevede la sottoscrizione dell’agente redattore bensì che la firma autografa sia sostituita a mezzo stampa ai sensi dell’art. 3 comma 2 del d.lgs. n.39/1993.
9. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile, poiché sottende ad un accertamento di fatto, non esperibile in sede di legittimità, conducente alla valutazione di corrispondenza di numeri identificativi dei titoli notificati con quanto riportato nella relata di notifica, ed alla confutazione in ordine alla prova, positivamente raggiunta in appello, del collegamento contenutistico dei citati riferimenti.
10. Il quinto motivo il mancato esame del disconoscimento dei documenti prodotti dalle resistenti oggi controricorrenti. La sentenza, dato conto del motivo di appello, ha ritenuto che non v’è alcun ostacolo al deposito delle riproduzioni in fotocopia degli atti originali, stante la disposizione dell’art. 2729 c.c. e che per il disconoscimento non è sufficiente una generica eccezione di difformità dall’orig inale per escludere il valore di prova delle riproduzioni in fotocopia, ma è necessaria l’allegazione d i elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà rappresentata.
10.1 – Il motivo di omessa pronuncia non si confronta con tale statuizione, perché non argomenta sul punto della valutazione di genericità del disconoscimento sostenendo di aver correttamente effettuato il disconoscimento sul quale gli enti non hanno richiesto la verificazione, dolendosi, altresì, di una omessa pronuncia che non sussiste, alla luce della motivazione innanzi riportata. Inoltre (Cass. n.37186/2022), « rappresenta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, in tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (tra molte: Cass. n. 28096 del 2009; tra le recenti: Cass. n. 9533 del 2022); invero il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse
all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (ex plurimis: Cass. n. 16557 del 2019; Cass. n. 14279 del 2021); in particolare, il disconoscimento deve contenere l’indicazione delle parti in cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale (in termini: Cass. n. 16836 del 2021 con la giurisprudenza ivi citata) ». Ciò posto, la sentenza impugnata ha risolto la questione in diritto in linea con la giurisprudenza richiamata, ritenendo, nel caso di specie, che il disconoscimento operato dall’opponente fosse privo dei requisiti necessari ; sulla conformità, «tale ‘valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità’ (così Cass. n. 1324 del 2022; conf. Cass. n. 2033 del 2022)». 10.2 – Si aggiunga che il disconoscimento deve essere chiaro, specifico, circostanziato, deve illustrare la differenza fra realtà fattuale e realtà rappresentata (cfr. Cass. ord. n. 24613/19, ed ancora, di recente ed in dettaglio, la Corte con ord. n.18491/24 ha affermato che ‘ Il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo, ai sensi dell’art. 214 c.p.c., una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza, e non può costituire una mera espressione di stile, risolvendosi la relativa valutazione in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato . A tale tema si collega
l’infondatezza della doglianza sull’omessa pronuncia in riferimento al mancato avvio del procedimento di verificazione; invero, la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sé favorevoli (Cass. ord. 3602/24).
11. Il sesto motivo è infondato: la ricorrente deduce la violazione di una disposizione normativa specificamente dettata nell’ambito del processo tributario, per sostenere che a fronte della inesistenza delle notifiche, sussiste pur sempre un interesse ad agire. In linea generale, rammentato che non ricorre nella vicenda in esame l’ipotesi di inesistenza di notifica, va rilevato che sul punto è intervenuto il legislatore con l’art. 3bis del d.l. n. 146/21, inserito in sede di conversione dalla I. n. 215/21 che ha novellato l’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, intitolato alla “Formazione e contenuto dei ruoli”, il quale ha aggiunto il comma 4bis all’art. 12 citato che ha stabilito, nella sua prima parte, che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», limitando l’ accesso alla tutela immediata, configurata precedentemente dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza n. 19704/15 che l’aveva rimessa alla facoltà della parte, rispetto alla tutela differita prevista dall’art. 19 comma 3, ultima parte del d.lgs. n. 546/92. Il comma 4 bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, nella sua seconda parte prevede anche che ‘Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma
1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione’.
11.1 – L ‘estratto di ruolo, in linea generale non è quindi più impugnabile, e la nuova normativa si applica anche ai giudizi pendenti (Cass. s.u. n. 26283/2022). Ma, come già osservato in premessa, il passaggio argomentativo svolto in sentenza sull’interesse ad agire non ha costituito oggetto di impugnazione, né da parte del ricorrente (per affermarne l’esistenza previa verifica della esistenza di una delle condizioni tipiche di permanente interesse introdotte ex lege), né dagli enti controricorrenti (non è proposto ricorso incidentale per censurare la sentenza sotto il profilo di divergenza tra motivazione e dispositivo né per far prevalere un ‘ eventuale pronuncia di inammissibilità per carenza di interesse). La censura, pertanto, non è sufficientemente articolata e non si confronta con la pronuncia impugnata.
Il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto, con condanna alle spese nei confronti dei controricorrenti. Seguono le disposizioni sul contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 5.000,00, in favore di entrambi i controricorrenti.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 29 maggio