Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34621 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34621 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
NOTIFICA CURATORE
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, con avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 3381/16 depositata l’otto giugno 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Si dà atto che il Sostituto procuratore generale ha chiesto nella sua requisitoria scritta il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia notificava ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. e), d.p.r. n. 600/1973, avviso di accertamento (anno d’imposta 2008), indirizzandolo alla società in bonis, ed affiggendolo all’albo pretorio dal 19 al 26 giugno 2013.
Il 14 febbraio 2014 la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso il suddetto atto. Con tale atto il curatore assumeva
di essere venuto a conoscenza dell’avviso solo a seguito della domanda di insinuazione al passivo da parte dell’Agenzia della Riscossione, e pertanto contestava sia la notifica dell’atto che l’estratto di ruolo, in quanto quest’ultimo non consentiva di comprendere le ragioni del recupero a tassazione.
La CTP, dato atto che la società era stata dichiarata fallita il 6 maggio 2013, e che l’otto maggio era stato inviato l’estratto della sentenza all’Agenzia e alla Camera di Commercio, mentre risultava l’annotazione della sentenza con nome ed indirizzo del curatore presso il registro delle imprese dal 19 giugno, ritenuto quindi che al momento della notifica l’Agenzia poteva conoscere l’esistenza dell’intervenuto fallimento, accoglieva la richiesta di nullità dell’avviso.
La CTR, adìta in sede d’appello dall’Agenzia, confermava la prima sentenza, in particolare ritenendo l’inefficacia in confronto della procedura dell’accertamento non notificato al curatore e in ogni caso osservando che dal momento della declaratoria di fallimento il relativo avviso andava notificato al curatore. Sempre per i giudici d’appello non era irrilevante la comunicazione dell’estratto della sentenza proprio all’Agenzia e alla Camera di Commercio, i cui registri vengono consultati proprio per conoscere le vicende delle società. Infine la proposizione del ricorso da parte della curatela non poteva avere alcun effetto sanante.
L’Agenzia propone così ricorso in cassazione affidato a tre motivi, mentre il fallimento resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato «Violazione degli artt. 115, 116 e 132, co. 2, nr. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 19, comma 1 lett. a) e d), e comma 3, 36, co. 2, nr. 4, 53 e 61 del d.lgs. nr. 546/1992 in relazione all’art. 360. co. 1. nr. 4. c.p.c.», l’Agenzia delle Entrate sostiene che la sentenza impugnata va annullata, perché si fonda su una motivazione apparente e contraddittoria,
che non consente di individuare l’iter logico che ha condotto al rigetto dell’appello, con particolare riferimento ai capi della decisione con i quali la Commissione Tributaria Regionale: a) ha attribuito rilevanza decisiva alla certificazione rilasciata dalla Cancelleria del Tribunale di Paola, Ufficio fallimenti, in data 4 novembre 2012 ed alla richiesta da parte della Cancelleria di detto Tribunale di registrazione della sentenza dichiarativa di fallimento; b) ha attribuito valore dirimente alla possibilità per l’Ufficio di accertare, sulla base delle risultanze delle Registro delle Imprese, l’avvenuta dichiarazione di fallimento della società; c) ha ritenuto decisiva la circostanza che l’Ufficio fosse a conoscenza dell’accettazione dell’incarico da parte del curatore fallimentare anteriormente alla scadenza dei termini previsti dall’art. 60, co. 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73; d) ha qualificato come «inesistente» nei confronti del Fallimento la notifica effettuata alla società contribuente in bonis nei modi e nelle forme di cui all’art. 60, co. 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73, in quanto la suddetta notificazione «è stata diretta ad un diverso soggetto giuridico ed è stata effettuata in un luogo che non ha alcuna relazione con il fallimento».
1.1. Il motivo è infondato. In base alla giurisprudenza di questa Corte ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. ‘minimo costituzionale’ di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018), ovvero quando essa si riduca ad argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (da ultimo Cass. 10 ottobre 2024, n. 26432).
Nella specie invece la ratio decidendi è chiaramente ricavabile dalla motivazione, laddove la stessa riconnette la conoscenza dell’intervenuto fallimento e della nomina del curatore alla comunicazione dell’estratto della sentenza sia alla stessa Agenzia sia alla Camera di Commercio; afferma l’inefficacia dell’avviso e la sua inopponibilità alla massa finché esso non venga notificato al curatore sulla base di precedenti giurisprudenziali che vengono richiamati; afferma l’inesistenza di una notifica in quanto pacificamente effettuata non solo in un luogo privo di collegamenti con il fallimento, ma anche indirizzata ad un soggetto diverso, nella specie alla società in bonis invece che al relativo fallimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 156 c.p.c., 16, 17, 29, 43 e 48 del r.d. n. 267/42, 19, comma 1 lett. a) e d), e comma 3, del d.lgs. n. 546/92, 60, comma 1, lett. e) e comma 3 del d.p.r. n. 600/73, 25 del d.lgs. n. 446/97 e 55, co. 2, del d.p.r. n. 633/72, 21 – octies della legge n. 241/90 e 29, comma 6, del decreto-legge n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010 in relazione all’art. 360, co.1, nr. 3, c.p.c.», l’Agenzia delle Entrate censura i capi della decisione impugnati con il primo motivo di ricorso, deducendo che la sentenza è errata nella parte in cui la Commissione Tributaria Regionale ha affermato: a) che a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento l’atto impositivo impugnato doveva essere notificato al curatore del fallimento; b) che l’Amministrazione Finanziaria ben avrebbe potuto procedere alla suddetta notificazione nei confronti del curatore del fallimento, avendo l’Amministrazione ammesso di avere avuto comunicazione del fallimento da parte del curatore in data 24 giugno 2013, quando ancora non si era concluso il procedimento notificatorio intrapreso nei confronti della società in bonis; c) che la proposizione del ricorso da parte del curatore del fallimento non ha avuto alcuna efficacia sanante della notifica effettuata alla società
in bonis, essendo detta notificazione indirizzata a un soggetto diverso dal curatore del fallimento. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, le argomentazioni addotte dalla Commissione Tributaria Regionale non sono condivisibili, in quanto: I) la dichiarazione di fallimento è opponibile all’Amministrazione Finanziaria solo a decorrere dall’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’accettazione dell’incarico da parte del curatore del fallimento ex art. 29 r.d. n. 267 del 1942 e successivamente allo spirare del termine di cui all’art. 60, d.P.R. n. 600 del 1973; II) la notificazione dell’avviso di accertamento presso la sede legale della società in bonis è da considerare valida e produttiva di effetti anche nei confronti del Fallimento, e sarebbe, in ogni caso, nulla e non inesistente, essendo stata effettuata in un luogo ricollegabile al Fallimento, donde la sua sanabilità per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ.; III) nella specie la nullità della notificazione è stata sanata per raggiungimento dello scopo, avendo il Fallimento formulato contestazioni di merito sull’inadeguatezza della motivazione dell’atto impositivo nel ricorso introduttivo del presente giudizio, proposto dopo avere appreso della sua esistenza a seguito dell’allegazione dell’estratto di ruolo da parte dell’Agenzia delle Entrate in sede di insinuazione nel passivo del fallimento.
2.1. Neppure tale motivo è fondato.
Con riferimento al primo profilo di censura va premesso che, come è noto, con la dichiarazione di fallimento (ora con l’apertura della liquidazione giudiziale) si verifica lo spossessamento del fallito e l’inefficacia degli atti da lui compiuti, ovvero dei pagamenti da lui effettuati o ricevuti, nonché il venir meno della sua legittimazione nei giudizi relativi a rapporti patrimoniali (artt.42, 43 e 44, l.f.; 142, 143 e 144, ccii).
Tali effetti derivano dal deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, come affermato da questa Corte
La data della dichiarazione di fallimento, quale dies a quo , ai sensi degli artt. 42 e 44 del RD 16 marzo 1942 n 267, del verificarsi dello spossessamento del fallito e dell’inefficacia degli atti da lui compiuti, ovvero dei pagamenti da lui effettuati o ricevuti (nella specie, ordini su rapporto di conto corrente bancario, e correlativi atti esecutivi degli ordini stessi da parte della banca), si identifica nel giorno in cui la sentenza dichiarativa del fallimento medesimo assurge a giuridica esistenza tramite pubblicazione mediante deposito in cancelleria, mentre restano irrilevanti gli ulteriori adempimenti pubblicitari prescritti dall’art 17 l.f., cosi come ogni indagine sulla concreta conoscenza del fallimento da parte dei destinatari di detti atti, ovvero sulla idoneità o meno di questi ultimi ad arrecare pregiudizio alla massa. Questa interpretazione non interferisce coi principi fondamentali del trattato di Roma, né, in particolare, con quelli della libertà e sicurezza dei traffici, e manifestamente non pone le norme medesime in contrasto con gli artt. 3, 23, 24 e 41 della Costituzione, in relazione al sacrificio che potrebbe essere imposto al terzo ignaro senza colpa del fallimento, vertendosi in tema di scelte del legislatore, giustificate da obiettive esigenze pubblicistiche inerenti alla procedura fallimentare, le quali non incidono sulla tutela processuale dei diritti dei terzi, né si traducono in un’imposizione di prestazioni a loro carico, ma operano sul piano degli effetti sostanziali di determinati atti, relativamente ai rapporti con i creditori del fallito (Cass. 7 luglio 1981, n. 4434; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273).
Il citato arresto ha, altresì, precisato che, in tema di contenzioso tributario, dopo la dichiarazione di fallimento, la notificazione degli atti nei confronti di una società dichiarata fallita va effettuata anche presso il domicilio del curatore, in quanto l’assoggettamento alla procedura concorsuale, pur non determinando la nascita di un nuovo soggetto giuridico, comporta l’attribuzione della legittimazione processuale all’organo della procedura, e ciò anche
nel caso in cui il mutamento della situazione giuridica non sia stato eventualmente comunicato all’Amministrazione finanziaria, reputandosi l’evento conosciuto ex lege una volta effettuati gli adempimenti di cui all’art. 17 l.f. (Cass. 9 aprile 2008, n. 9214). Né può sostenersi che una disciplina speciale valga in materia di notifica degli atti tributari, in quanto in particolare il dettato di cui all’art. 60, d.p.r. n. 600/1973 «non riguarda l’ipotesi della notifica fatta a persona diversa dal contribuente, anche se legittimata a ricevere la notifica, e richiede, inoltre, nella sua seconda parte, il rispetto di condizioni relative alle formalità dell’elezione, in relazione alle quali l’onere della prova incombe su chi intende avvalersi di quest’ultima» (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26178).
Pertanto, dopo la dichiarazione di fallimento, ‘sebbene l’ente impositore o il concessionario non siano obbligati, a pena di nullità, a notificare avvisi di accertamento e cartelle esattoriali sia al fallito che alla curatela fallimentare, tale scelta condiziona la futura opponibilità di tali atti o nell’ambito della procedura fallimentare o nei confronti del fallito tornato ‘in bonis’, ai fini della legittima prosecuzione della procedura esattoriale; ciò nel senso che la cartella di pagamento notificata unicamente al curatore fallimentare non è opponibile al fallito tornato ‘in bonis’ sicché, in caso di notifica a quest’ultimo di un preavviso di fermo che abbia tale cartella come atto presupposto, egli può sia limitarsi a far valere la nullità dell’atto successivo che gli è stato notificato, sia -qualora ne abbia ancora interesse – contestare anche la validità e fondatezza dell’atto prodromico che non gli è stato notificato, perché notificato al solo curatore in costanza di fallimento, e di cui sia venuto a conoscenza con l’atto successivo (Cass. 31 gennaio 2022, n. 2857; Cass. 22 aprile 2024, n. 10760).
Da quanto precede deriva che ove l’atto impositivo sia stato notificato soltanto al fallito e non invece al curatore del fallimento, esso è semplicemente inopponibile al fallimento, e non è idoneo a
far decorrere il termine per la sua impugnazione da parte del curatore (Cass. 23 giugno 2003, n. 9951).
Alla luce di quanto precede emerge che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, avendo essa ritenuto che l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto notificare l’atto impositivo de quo (anche) al curatore per renderlo opponibile al fallimento.
2.2. Neppure gli altri profili del motivo sono fondati.
In particolare, quello secondo cui l’omessa notifica alla procedura dell’avviso di accertamento sarebbe stata sanata per raggiungimento dello scopo.
E’ vero che questa Corte ha ritenuto che la nozione di inesistenza della notificazione debba essere intesa in senso restrittivo, individuandola, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità (Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
Tuttavia, si è appena sopra affermato che la notifica dell’atto che non sia effettuata nei riguardi del curatore è inopponibile alla massa, e proprio questo accade nella specie.
2.3. Neppure valgono gli argomenti secondo cui la notifica non poteva essere effettuata al curatore in quanto gli effetti della sentenza di fallimento dipenderebbero dal perfezionamento della pubblicità della nomina del curatore, atteso il chiaro disposto dell’art. 16, secondo comma, l.f., in base al quale la sentenza produce i suoi effetti con la pubblicazione ai sensi dell’art. 133 del cod. proc. civ.
Alla luce di ciò ancor meno rileva l’argomento degli effetti solo fiscali della comunicazione dell’estratto della sentenza all’Agenzia, sia perché ciò non toglie che la stessa apprenda della declaratoria
di fallimento e della nomina del curatore, sia soprattutto perché, come già osservato, la mancata notifica al curatore determina l’inopponibilità dell’avviso alla massa.
3. Con il terzo mezzo, rubricato «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360. co. l. nr. 5, c.p.c. (come modificato dall’art. 54 del d.l. nr. 83/2012», l’Agenzia delle entrate censura i capi della decisione impugnati con i precedenti motivi di ricorso, rilevando che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio nella parte in cui: a) ha omesso di considerare che, al momento dell’esecuzione della notificazione alla società contribuente presso la sua sede legale, il curatore fallimentare designato non aveva ancora provveduto ad iscrivere nel Registro delle Imprese la propria nomina; b) ha omesso di considerare che la suddetta notificazione era valida, essendo stata effettuata nelle forme di rito presso la sede legale della società, o era, eventualmente, nulla ma non inesistente, essendovi un collegamento tra la società fallita e il curatore del fallimento; c) ha escluso l’efficacia sanante del ricorso sull’erroneo presupposto che la curatela avesse impugnato solo il ruolo e non anche l’avviso di accertamento.
3.1. Il motivo in esame è inammissibile.
Il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., deve riguardare l’omesso esame di un ‘fatto storico’, e non le censure riguardanti errores in iudicando o in procedendo .
Viceversa, l’Agenzia non ascrive affatto ai giudici di appello di non aver considerato dei fatti storici, ma in ultima analisi di essere incorsa in meri errori giuridici, in base beninteso alla propria tesi, e cioè di non aver considerato che il curatore non aveva ancora iscritto la propria nomina al registro delle imprese; di non aver rilevato la mera nullità della notifica in quanto avvenuta presso la
sede sociale; di non aver considerato l’intervenuta sanatoria della nullità in quanto era stato impugnato anche il merito dell’avviso.
Premesso che il primo punto più che trascurato è evidentemente stato ritenuto irrilevante dalla CTR che invece ha chiaramente ritenuto rilevante il momento di conoscenza dell’avvenuto fallimento risalente alla data di iscrizione dello stesso presso il registro delle imprese e della comunicazione dell’estratto alla medesima Agenzia; per quanto riguarda gli altri ancor più palese è la sussistenza di una censura del tutto estranea al portato dell’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., già in base alle considerazioni svolte con riguardo ai motivi che precedono.
In definitiva il ricorso dev’essere rigettato, con aggravio di spese in capo all’amministrazione soccombente.
Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 18.000,00, oltre rimborso forfettario nel 15 % dell’onorario, iv.a. e c.p.a. se dovute, € 200,00 per esborsi .
Così deciso in Roma, il 28 novembre 2024