Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20800 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20800 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3872/2024 R.G. proposto da: NOME COGNOME elettivamente domiciliato in FROSINONE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 3889/2023 depositata il 27/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La controversia trae origine dall’impugnazione, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Frosinone, dell’avviso di liquidazione dell’imposta ed irrogazione delle sanzioni (n. 2015/001/OR/000003902/0/001), in relazione all’ ordinanza n. 000003902/2015 del 12-02-2016 emessa dal Tribunale Ordinario di Frosinone. L’Agenzia delle Entrate resistente si costituiva in giudizio chiedendo l’estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere e la compensazione delle spese, allegando che nelle more del giudizio instaurato a seguito della notifica del ricorso del 21-062016, aveva provveduto ad annullare l’opposto atto impositivo, rifiutandosi di provvedere alla richiesta di rimborso delle spese legali sostenute dalla ricorrente.
I giudici di prossimità dichiaravano cessata la materia del contendere e compensavano le spese del giudizio.
Sull’appello della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio accoglieva il gravame condannando la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio, liquidandole ‘ per entrambi i gradi in € 500,00 oltre accessori ‘.
Avverso detta decisione veniva proposto ricorso per Cassazione ex art. 360 e ss. c.p.c., con un unico motivo relativo alla ‘ Violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., degli artt. 3 e 24 della legge n. 794/1942, dell’art. 4 e delle tabelle n. 23 e 24 del decreto del ministero della giustizia n. 55/2014, dell’art. 2233 c. 2 c.c., nonché dei principi in materia di determinazione e liquidazione dei diritti, onorari e spese di avvocato -Carenza di motivazione in punto di calcolo della liquidazione -Violazione dei minimi tariffari -in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3) c.p.c. ‘;
Con l’ordinanza n. 3741/2022 del 16 -12-2021 depositata in data 07-02-2022, la Corte accoglieva integralmente il ricorso cassando l’impugnata sentenza di secondo grado in relazione al motivo
accolto e rinviando la causa ad altra sezione della CTR Lazio, anche per la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità. In data 07-09-2022 veniva tempestivamente notificato il ricorso e ritualmente iscritto il giudizio di rinvio ex art. 63 d.lgs. n. 546/1992 presso la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, con il quale appunto veniva richiesta la liquidazione delle spese processuali secondo i principi di cui all’ordinanza n. 3741/2022 della Corte Suprema di Cassazione. Con la sentenza n. 3889/2023 la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio ha compensato le spese relative ai compensi del primo grado (già riconosciute nella precedente sentenza cassata) statuendo che . La Corte territoriale liquidava, infine, la somma di € 500,00 per il procedimento di secondo grado e la somma di €. 1.000,00 per il giudizio in Cassazione, nonché la somma di € 500,00 per il giudizio riassunto.
Avverso detta decisione propone ricorso per Cassazione la contribuente, svolgendo quattro motivi.
MOTIVI DI DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, N. 4) C.P.C., deduce , in quanto il Giudice del rinvio non si è attenuto alle statuizioni di cui all’ordinanza n. 3741/2022 della Corte di Cassazione alla quale era stato demandato il capo relativo alla liquidazione delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio a favore della ricorrente. Invece, con l’impugnata sentenza
conclusiva del giudizio di rinvio ex art. 63 del d.lgs. n. 546/1992, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio ha effettuato una quantificazione omnicomprensiva dei compensi per i singoli gradi di giudizio senza liquidare le spese vive richieste con il ricorso in riassunzione, compensando, tra l’altro, le spese processuali di primo grado, in precedenza riconosciute dalla Commissione Tributaria Regionale con decisione passata in giudicato.
Il Giudice del rinvio non si è attenuto ai principi di cui alla citata ordinanza n. 3741/2022 della Corte, là dove ha compensato le spese processuali di primo grado (travalicando quindi i limiti imposti dalla predetta decisione) e comunque non ha liquidato le spese vive dei vari gradi di giudizio, peraltro effettuando nuovamente una liquidazione omnicomprensiva priva di adeguata motivazione.
La seconda censura critica la decisione d’appello per , lamentando una liquidazione omnicomprensiva ed il mancato riconoscimento delle spese vive documentate in atti. Si deduce che il Collegio d’appello non ha indicato in motivazione tutte le ragioni per le quali ha escluso (o ridotto) il riconoscimento di una determinata ‘voce e/o spesa’ (e per quanto) e quali fossero gli elementi da lui presi in considerazione. Si soggiunge che la compensazione delle spese processuali di primo grado si pone in contrasto sia con il principio di soccombenza virtuale, che con le statuizioni dell’ordinanza di legittimità, con la quale la Corte aveva rilevato che nel caso di specie ‘ non è in discussione l’applicazione del principio della soccombenza da parte della CTR ‘ (pag. 3, terz’ultimo rigo e ss.),
così come già accertato dalla Commissione Tributaria del Lazio che ha riconosciuto che ‘ nella fattispecie in esame, deve rilevarsi che la parte privata si è opposta alla compensazione richiesta dall’Agenzia delle Entrate, tanto da presentare ricorso in appello, e d’altro canto, essendo in presenza del ritiro del proprio atto da parte dell’Ente impositore, si realizza, nel caso di specie, la soccombenza virtuale che ha come conseguenza la condanna del medesimo al pagamento delle spese di giudizio, che vengono liquidate come in dispositivo ‘ , statuizione non impugnata dall’amministrazione.
Si obietta altresì che la Corte di secondo grado non ha neppure riconosciuto il rimborso il forfettario delle spese generali del 15% ex art. 2 del d.m. Giustizia n. 55/14, né l’aumento del compenso del 30% ex art. 4 c. 1bis del D.M. n. 55/14 e l’aumento del 33% ex art. 4 c. 8 del D.M. n. 55/14, tutti richiesti nelle conclusioni del predetto nel ricorso in riassunzione (all.to 08) del 07-09-2022 nel giudizio di rinvio.
Il terzo strumento di ricorso denuncia ; per avere il Giudice del rinvio, omesso di riconoscere il rimborso forfettario delle spese generali del 15% ex art. 2 del D.M. n. 55/14, l’aumento del compenso del 30% ex art. 4 c. 1bis del D.M. n. 55/14 e l’aumento del 33% ex art. 4 c. 8 del D.M. n. 55/14 richiesti nelle conclusioni del ricorso in riassunzione nel giudizio di rinvio.
L’ultimo motivo di ricorso denuncia , reiterando le ragioni sottese alle argomentazioni esposte con le prime tre censure.
5.
Il primo motivo di ricorso è fondato. Deve ribadirsi il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui la riassunzione della causa -a seguito di cassazione della sentenza -dinanzi al giudice di rinvio instaura un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni
possibilità di presentare nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di cassazione( Cass. n.25204/2024).
Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 5137 del 21/02/2019; Cass. n. 68 del 07/01/2009; Cass. n. 4096 del 21/02/2007; Cass. n. 13719 del 14/06/2006; Cass. n. 13006 del 05/09/2003; Cass., Sez. V, 31 marzo 2022, nn. 10374, 10375; Cass. Sez. VI, 21 settembre 2015, n.18600; Cass., Sez. V, 12 dicembre 2014, n.26200).
Il giudice del rinvio non avrebbe potuto, pertanto, modificare la statuizione relativa alla condanna delle spese di lite del primo grado, la quale non essendo stata fatta oggetto di ricorso per cassazione, era coperta dal giudicato interno; ne consegue che il giudice di rinvio avrebbe dovuto procedere alla rideterminazione delle spese del giudizio di primo grado in conformità alle indicazioni di questa Corte.
La seconda censura è parimenti fondata, assorbiti i restanti.
Occorre premettere, in tema di spese processuali, che i parametri cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, vanno applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l’accezione omnicomprensiva di
“compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata» (v. Cass. 27233 del 26/10/2018; Cass. n.12537 del 10/05/2019). Come più volte affermato da questa Corte -ex multis, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10466 del 19/04/2023, e Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9815 del 13/04/2023, entrambe riguardanti fattispecie analoghe a quella in esame, alle cui motivazioni è sufficiente rinviare, ai sensi dell’art. 118, comma 1, ultimo periodo, disp. att. cod. proc. civ. -«in tema di spese legali, in assenza di diversa convenzione tra le parti, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile».
Questa Corte ha chiarito e ribadito che: – «in tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado di giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e di conseguenza le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese» (Cass., Sez. 6-5, n. 20935 del 07/09/2017; Cass. sez. 6-5, ord. 30 settembre 2016, n. 19623; Cass. sez. lav. 25 novembre 2011, n. 24890)»; -«in tema di spese processuali, il giudice, nel pronunciare condanna della parte soccombente al rimborso, in favore della controparte, delle spese e degli onorari del giudizio, deve liquidarne l’ammontare separatamente, con conseguente illegittimità della mera indicazione dell’importo complessivo, priva della specificazione delle due voci, in quanto inidonea a consentire il controllo sulla correttezza della liquidazione, anche in ordine al rispetto delle relative tabelle. (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23919 del 29/10/2020; Sez. 3, n. 18905 del 28/07/2017)»; -« la liquidazione dei compensi in applicazione del d.m. n. 55 del 2014 deve essere effettuata per ciascuna fase del giudizio, in modo da
consentire la verifica della correttezza dei parametri utilizzati ed il rispetto delle relative tabelle (Cass.,Sez. 6 – L, Ordinanza n. 19482 del 23/07/2018)» (così Cass., Sez. VI/V, 16 maggio 2022, n. 15533)»; deve aggiungersi che, in presenza di specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei compensi, in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di offrire fornire, sia pure in modo conciso e succinto, adeguata motivazione, applicando i parametri generali per i compensi (art. 4 d.m. 10 marzo 2014, n. 55), tenuto conto del valore della controversa determinato a mente dell’art. 5 del citato d.m. ed eliminando o riducendo le voci e le misure proposte dal difensore ove non coerenti con i citati parametri, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione disposta a quanto risulta dagli atti ed ai parametri di legge, nonché di quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (cfr., su tali principi, da ultimo, Cass., Sez. II, 27 luglio 2023, n. 22762, ai cui più ampi contenuti si rinvia anche in relazione alla misura dell’obbligo motivazionale).
Come ha argomentato la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. Cass. 9815/2023, 9818/2023, 25847/2023), nella liquidazione del compenso il giudice è chiamato dall’art. 4 co. 1 d.m. 55/2014 a tenere conto dei valori medi determinati dalle tabelle allegate al decreto. Essi possono essere aumentati fino al 50% ovvero diminuiti in ogni caso non oltre il 50% e sono soggetti ad aggiornamento biennale ex art. 13 co. 6 l. 247/2012. Rileva in particolare la previsione che i parametri medi non possono essere diminuiti oltre il 50%, senza eccezione («in ogni caso»). Tale inderogabilità dei parametri minimi è stata espressamente introdotta con una modifica apportata dal d.m. 37/2018. Anteriormente si prevedeva che nella liquidazione non si potesse scendere di regola al di sotto del 50% nella diminuzione rispetto ai parametri medi. Su questa base testuale si argomentava che la
quantificazione giudiziale del compenso e delle spese fosse espressione di un potere discrezionale. Se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, la liquidazione non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, mentre il giudice era tenuto a motivare la decisione di aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, ulteriormente rispetto ai massimi ovvero a minimi. L’unico limite rigido, ma a sua volta determinato attraverso concetti elastici, era dettato dall’obbligo di non ledere il decoro professionale con l’attribuire una somma scarsissima (meramente simbolica). Così, tra le altre, Cass. 28325/2022.
Tale orientamento è da disattendere con riferimento alle liquidazioni sottoposte al regime del d.m. 55/2014, così come modificato dal d.m. 37/2018. In forza della ricordata modifica, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore al 50% dei parametri medi. Il legislatore ha deciso di circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e di garantire così (cioè, attraverso una limitazione della flessibilità dei parametri) l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale. Da ultimo, tale intenzione legislativa ha trovato un’ulteriore espressione nella l. 49/2023 in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, ove l’art. 1 dispone che «per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale», nonché – per gli avvocati – conforme ai compensi previsti dal decreto del Ministero della Giustizia ex art. 13 co. 6 l. 247/2012 (cioè, attualmente, il d.m. 55/2014).
Si prevede inoltre (all’art. 3) che «sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata,
tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi dell’art. 13 co. 6 l. 247/2012 per la professione forense».
In linea generale, a seguito delle modificazioni introdotte nella formulazione dell’art. 4 del d.m. 10 marzo 2014 n. 55 con il D.M. 8 marzo 2018 n. 37, mentre non è più consentito, nella liquidazione delle spese di lite, scendere al di sotto dei valori minimi della tariffa, per lo scaglione applicabile, in quanto tali valori minimi devono ritemersi avere carattere inderogabile (Cass., 13 aprile 2023, n. 9815; Cass., 20 ottobre 2023, n. 29184; Cass. 19 aprile 2023, n. 10438; Cass., 24 aprile 2024, n. 11102), non appare del tutto esclusa, in astratto, la possibilità del superamento dei valori massimi, sebbene ciò possa avvenire, evidentemente, solo in casi del tutto eccezionali e sulla base di specifica, effettiva e adeguata motivazione. Tale conclusione si fonda sul rilievo che l’attuale formulazione dell’art. 4, comma 1, del d.m. n. 55 del 2014, come infine modificato dal D.M. 13 agosto 2022 n. 147, mentre prevede genericamente la possibilità di un aumento fino al 50% dei valori medi dello scaglione, consente corrispettivamente, una diminuzione di essi ‘in ogni caso’ non oltre il 50%: ciò induce a ritenere che solo per la diminuzione il limite del 50% dei valori medi sia assolutamente inderogabile (‘in ogni caso’), mentre per l’aumento possano continuare ad applicarsi i principi di diritto più sopra enunciati, che consentono una deroga anche del limite massimo previsto dalla tariffa, peraltro solo in casi eccezionali e sulla base di specifica, adeguata e puntuale motivazione (così Cass. n. 9815/2023; Cass., 3 giugno 2024, n. 15506; Cass. n. 26734/24; Cass. n. 25833/2024). Tanto premesso, parte ricorrente ha
dimostrato di aver richiesto il rimborso delle spese vive, la maggiorazione fino al 30% sui compensi (ex art. 4 comma 1-bis d.m. n. 55/2014), l’aumento del compenso ex art. 4, comma 1-bis, del d.m. n. 55 del 2014 e quello ex art. 4 comma 8 d.m. n. 55/2014.
Su dette voci la Corte di secondo grado non si è pronunciata.
Al riguardo, vale osservare che la maggiorazione fino al 30% sui compensi (ex art. 4 comma 1-bis d.m. n. 55/2014) per l’adozione di modalità informatiche di redazione degli atti depositati in via telematica ha senso se si tratta di consultare atti e documenti scritti aventi (inevitabilmente) notevoli dimensioni quantitative e di numero ingente. In tali situazioni le possibilità di ricerca testuale e di navigazione concretizzano un’agevolazione effettiva che giustifica l’incentivo della maggiorazione del compenso rispetto a quello collegato alla redazione e alla comunicazione di atti che ormai hanno luogo normalmente con tecniche digitali. Viceversa, nessuna agevolazione davvero incisiva e tale da giustificare la maggiora-zione si verifica ove si tratti di atti e documenti di esigue dimensioni e di numero contenuto(Cassazione civile sez. II, 27/07/2023, n.22762).
Difatti, in tema di spese processuali, ai fini del riconoscimento dell’aumento del compenso ex art. 4, comma 1-bis, del d.m. n. 55 del 2014, non è sufficiente il mero “utilizzo del processo telematico”, essendo richiesto, invece, che la redazione degli atti giudiziari e la produzione dei documenti vengano effettuate con tecniche informatiche più raffinate, che consentano di “navigare” all’interno dell’atto stesso e dei documenti allegati con tecniche “ipertestuali” (indici e riferimenti incrociati), così riducendo significativamente i tempi di consultazione(Cassazione civile sez. lav., 19/07/2023, n.21365).Non spetta, poi, la maggiorazione del trenta per cento del compenso dell’avvocato, quando gli atti depositati con modalità telematiche non agevolano in modo
apprezzabile la consultazione o la fruizione delle produzioni (Cassazione civile sez. II, 23/12/2022, n.37692; Cassazione civile sez. VI, 06/12/2022, n.35753).
Questa Corte ha poi ribadito che il rimborso delle spese generali spetti all’avvocato in via automatica e con determinazione ex lege , considerandosi ricompreso nella liquidazione del compenso, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza (Cass.n. 9385/2019; 17046/2015; Cass. 8512/2011; Cass. 23053/2009).
Infine, vale evidenziare che la previsione di aumento del compenso per l’avvocato per manifesta fondatezza delle difese della parte vittoriosa di cui all’art. 4, comma 8, d.m. 55/2014 è applicabile quando il difensore riesca a far emergere la fondatezza nel merito dei propri assunti e, specularmente, l’infondatezza degli assunti di controparte, senza dover ricorrere a prove costituende e perciò soltanto grazie al suo un apporto argomentativo.
L’operata liquidazione, la quale non ha preso in esame le voci di aumento espressamente domandate dal difensore risulta, dunque, contraria ai principi di diritto sopra riepilogati, il che induce a dover accogliere il ricorso ed a cassare la sentenza impugnata con un nuovo rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché provveda alla liquidazione, in modo distinto, delle documentate spese vive e delle competenze in relazione a ciascun grado di giudizio svolto (di merito), nonché a quello del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione del 13 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME