Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21333 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21333 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME SALVATORE
Data pubblicazione: 30/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 27588 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, è domiciliata
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME , nato a Milazzo (ME) il DATA_NASCITA, e COGNOME NOME , nato a Troina (EN) il DATA_NASCITA, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
RAGIONE_SOCIALE , in persona del curatore p.t.
-Intimato –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, Sez. Dist. Di Catania, n. 1375/05/19, depositata il 5 marzo 2019;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME all’udienza pubblica del 13 marzo 2024;
udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso, assorbito l’incidentale;
udita l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali ex amministratori, rispettivamente per gli anni 2011-2013 il primo e 2013-2014 il secondo, della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 23 ottobre 2014, esercente l’attività di cura e manutenzione di paesaggio, parchi e giardini, impugnavano tre distinti avvisi di accertamento emessi dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate, con riferimento ai periodi di imposta 2011, 2012, e 2013, in funzione del recupero di Irap, Ires e Iva.
Gli atti impositivi traevano origine da una verifica operata dalla Guardia di Finanza sui conti correnti della menzionata società, degli amministratori, dei soci e di soggetti legati da vincoli di parentela e affinità agli amministratori. Le operazioni di verifica erano culminate in un processo verbale di constatazione del 27 novembre 2014, notificato al curatore della società medio tempore fallita.
La CTP di Catania accoglieva i ricorsi di COGNOME e COGNOME, dopo averli riuniti.
Il successivo appello erariale veniva respinto.
L’RAGIONE_SOCIALE affida il proprio ricorso a due motivi.
Resistono con controricorso COGNOME e COGNOME, i quali spiegano, altresì, ricorso incidentale incentrato su un unico motivo, presentando, altresì, successiva memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale si adombra il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 43 L. fall., avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la CTR erroneamente riconosciuto la legittimazione all’impugnazione degli avvisi di accertamento in capo agli ex amministratori della società medio tempore fallita, pur avendo la curatela fallimentare svolto una valutazione ponderata in
punto di non impugnazione degli atti impositivi, non limitandosi ad assumere un contegno di semplice ‘inerzia’.
Con il secondo motivo di ricorso, avuto riguardo all’art. 360 n. 3 c.p.c., si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 43, 48 L. fall. e dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, per avere la CTR riconosciuto la legittimazione ad impugnare gli avvisi in capo agli ex amministratori della società medio tempore fallita, ricollegando all’omessa notifica nei confronti di costoro l’invalidità degli avvisi in parola e la decadenza dell’Ufficio dai poteri impositivi ai sensi dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale si assume, ex art. 360 n. 3. c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., per non avere la CTR rilevato la sussistenza di un giudicato interno sul profilo, non reso oggetto di specifica impugnazione, relativo alla mancata notifica agli ex amministratori degli avvisi di accertamento, profilo su cui, tuttavia, la CTP aveva basato la statuizione di annullamento.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
La CTR ha evidenziato che ‘ il curatore fallimentare, nonostante la regolarità della notifica, non ha impugnato gli avvisi di accertamento una volta acquisito il parere negativo del Giudice Delegato ‘, soggiungendo che ‘ di fronte all’inerzia degli organi fallimentari il fallito è legittimato a esercitare la tutela giurisdizionale ‘, in quanto ‘ conserva la capacità processualetributaria in caso di inattività degli organi fallimentari stessi ‘. Da questa premessa, i giudici d’appello traggono la conseguenza della legittimità della ‘ capacità degli amministratori, nel caso in esame, di impugnare gli atti dell’amministrazione finanziaria che il curatore fallimentare non ritiene opportuno impugnare e ciò a tutela degli interessi della società fallita ‘.
Osserva la Corte che nell’approccio alle questioni è prodromica
la disamina RAGIONE_SOCIALE conseguenze primarie prodotte dal fallimento.
Da esso non scaturisce un effetto ablatorio della titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nella procedura, che continuano a far capo al debitore. Costui soffre solo la sottrazione, a far data dall’apertura del concorso, della disponibilità del suo patrimonio, la cui amministrazione transita in mano al curatore.
Il c.d. ‘spossessamento’ ex art. 42, co. 1, L.fall. (art. 142 CCII) si risolve nell’apprensione alla massa degli averi dell’insolvente, con l’assegnazione contestuale al curatore, in forza dell’art. 31 L.fall. (art. 128 CCII), del potere di gestirli in via esclusiva.
Il meccanismo può essere riguardato da due convergenti angolazioni.
Per un verso, la perdita da parte del fallito della prerogativa di disporre di beni e rapporti e il contestuale conseguimento di essa da parte del curatore delineano una fattispecie di scissione tra titolarità e legittimazione, riconducibile ad una vera e propria sostituzione dell’organo concorsuale al debitore, operante ex lege (Cass. 4676 del 1993).
Per altro verso, ad innescarsi è una segregazione di beni e rapporti all’interno di un patrimonio che non vede mutare l’identità del proprio titolare, ma soltanto quella del suo gestore, che prende in carico il compendio dei beni in funzione eminentemente liquidatoria, quindi attuativa della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. (Cass. n. 18002 del 2016). Vale la trasposizione nel diritto concorsuale del principio fondante l’espropriazione dei beni del debitore ad opera dei creditori di cui all’art. 2910 c.c. In quest’ottica, il curatore conserva materialmente e giuridicamente il patrimonio, lo ricostruisce recuperando anche giudizialmente le risorse che ad esso appartengono, ne monetizza le componenti in vista della distribuzione del ricavato fra i creditori.
Il fenomeno segregativo ha una dimensione transitoria, essendo destinato ad esaurirsi in coincidenza con la chiusura del procedimento concorsuale, allorché l’insolvente vede riespandersi a pieno le facoltà dominicali su ciò che residua, se del caso, del patrimonio fallimentare.
L’art. 43, co. 1, L.fall. (art. 143, co. 1, CCII) fa da pendant processuale all’art. 42, co. 1, L.fall., consegnando al curatore una legittimazione processuale attiva e passiva riservata, in riferimento a tutte le controversie relative ai rapporti patrimoniali che è chiamato ad amministrare, quand’anche già instaurate nel momento in cui viene inaugurato il concorso formale e sostanziale fra i creditori.
L’apertura del fallimento (quindi della liquidazione giudiziale che ne aggiorna l’archetipo) determina l” interruzione del processo ‘ (co. 3 art. 43 L.fall. e art. 143 CCII): da lì in avanti il fallito perde la disponibilità dei propri beni e rapporti ed è coerentemente privato, in parallelo, della capacità di stare in giudizio nelle cause che li concernono.
Il curatore, in forza di un congegno di sostituzione processuale , si avvicenda al soggetto insolvente nei giudizi promossi ante procedura, tanto da doverli riassumere; egli deve rendersi, nel mentre, parte diligente nel promuovere i processi volti al recupero di beni o crediti alla massa fallimentare.
Il fallito, in ragione del costrutto sostanziale e processuale descritto, rimane abilitato a fare ingresso nei soli giudizi dai quali possa derivargli un’imputazione per bancarotta e nei ristretti casi di intervento previsti dalla legge (co. 2 artt. 43 L.fall. e 143 CCII) (Cass. n. 7448 del 2012; Cass. n. 4448 del 2012; Cass. 14624 del 2010).
Il soggetto insolvente non è, invece, legittimato, a concorso in itinere , all’assunzione di iniziative giudiziali, quand’anche urgenti perché orientate a scongiurare un pregiudizio a proprio carico.
Pure nelle situazioni all’apparenza indifferibili, il debitore è tenuto a chiamare in soccorso il curatore fallimentare, senza attivarsi in supplenza, poiché nel contesto del sistema è proprio l’organo concorsuale a massimizzare la tutela degli interessi, contemperando quello della massa e quello del debitore, sotto l’egida RAGIONE_SOCIALE finalità pubblicistiche della procedura.
La legitimatio dell’ente fallito è esclusa in ciascun giudizio in cui sia parte il curatore, a prescindere dalla plausibilità della condotta adottata in concreto dall’organo concorsuale nel processo, potendosi ipotizzare per il fallito l’ammissibilità di un intervento adesivo autonomo nei limiti in cui ricorra la già riferita fattispecie del secondo comma dell’art. 43, dunque in relazione ai soli giudizi comprensivi di questioni da cui possa trarre impulso un procedimento penale per bancarotta a detrimento dell’insolvente.
Fuori da questa ipotesi, le incursioni del fallito nelle cause in cui sia parte il curatore sono configurabili, al più, sub specie di intervento adesivo dipendente, essendo inibita al debitore l’opportunità di contrastare in giudizio la sentenza che definisce il processo, indipendentemente dall’eventuale impugnazione proposta dall’organo concorsuale (Cass. n. 4597 del 2018).
L’art. 43 L.fall., letto in controluce, esibisce una seconda eccezione. Dall’alveo del limite in punto di capacità processuale del fallito rimangono avulsi i rapporti non compresi nel fallimento e, come tali, non costituenti oggetto di spossessamento. Un’ulteriore deroga, nella medesima ottica, concerne i rapporti di carattere personale (art. 46 L.fall., art. 146 CCII), che rimangono ontologicamente esterni al fenomeno ablativo (Cass. n. 12264 del 2019). Altra deroga inerisce i giudizi di reclamo ex art. 18 L.fall. avverso la dichiarazione di fallimento, salvo non sia stato il fallito stesso a domandare l’accertamento della propria insolvenza (c.d. ‘autofallimento’). Di fianco a queste situazioni positivizzate, la giurisprudenza ha enucleato un’ultima valvola di sicurezza
derogatoria, riconoscendo al fallito una legittimazione processuale di rimessa nell’ipotesi dell’inerzia, da parte del curatore, rispetto a rapporti e situazioni giuridicamente rilevanti.
A venire in rilievo sono le controversie afferenti rapporti patrimoniali, acclusi sì nel fallimento, ma per i quali finisca per emergere un radicale disinteresse degli organi della procedura ancorché consti una tutela giurisdizionale astrattamente invocabile (Cass. n. 31843 del 2019; Cass. n. 31313 del 2018).
La legittimazione del soggetto insolvente ad impugnare l’atto impositivo nell’evenienza dell’inattività del curatore è principio sancito plurime volte dalla giurisprudenza di legittimità, tanto da assurgere oramai a postulato (Cass. n. 26506 del 2021; Cass. n. 2910 del 2010).
Diversamente da quanto evidenziato dalla CTR è, peraltro, la mera inattività del curatore in quanto tale a far gemmare la legittimazione occasionale del fallito, non essendo imprescindibile che detta inattività non costituisca l’espressione, perentoria e invalicabile, di una scelta della curatela. La legittimazione scaturisce dal semplice disimpegno, non presupponendo che quest’ultimo non costituisca lo scalo finale di una deliberata scelta dell’organo concorsuale nei confronti del rapporto o della res in iudicium deducta .
Giova rilevare che la soggettività tributaria nel fallimento e i suoi corollari nel formante ambito giurisprudenziale mostrano una mappa dogmatica sufficientemente nitida.
L’ente debitore sottoposto ad una procedura liquidatoria concorsuale ‘ non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario ‘ (Cass. n. 4235 del 2006). Esso rimane, quindi, esposto alle ripercussioni sanzionatorie connesse alla definitività dell’atto impositivo.
Lo ‘spossessamento’ del patrimonio da liquidare è, d’altronde,
ancillare ad una finalità espropriativa e liquidatoria, che ne segna l’estensione e l’orizzonte; il fenomeno non rileva, pertanto, sul piano dell’imposizione fiscale.
L’ablazione prevista dall’art. 42 L.fall. non lambisce, in effetti, l’identità del soggetto giuridico cui è riferibile l’obbligazione tributaria, che è e rimane quella dell’ente insolvente. Sebbene quest’ultimo sia privato dell’amministrazione del suo patrimonio, la circostanza non esclude che le norme fiscali seguitino a incardinare su di esso il presupposto d’imposta.
A cambiare volto, nel fallimento (e ora nella liquidazione giudiziale), non è, in definitiva, il soggetto passivo del rapporto tributario, ma soltanto quello legittimato ad occuparsi, in costanza di procedura, degli adempimenti fiscali.
Nel perseguimento RAGIONE_SOCIALE finalità concorsuali e nell’adempimento della propria funzione pubblicistica, il curatore rimpiazza il fallito nell’esecuzione degli obblighi tributari gravitanti sui beni e rapporti della massa che è chiamato ad amministrare, venendo a svolgere il compito quale soggetto legittimato ope legis a compiere atti suscettibili di spiegare effetti in una sfera patrimoniale altrui, quella del soggetto insolvente.
L’organo concorsuale, nel prendere in carico gli impegni burocratici con l’erario, rimane sfornito al pari, com’è ovvio, della procedura in sé -di un’autonoma soggettività tributaria.
Il tratto è congruente rispetto al sistema, dal momento che la declaratoria fallimentare non cagiona il venir meno dell’impresa e della società che ne costituisce l’involucro, comportando soltanto una perdita di legittimazione sostanziale e processuale, con riferimento ai rapporti dell’impresa stessa, da parte del relativo titolare, nella cui posizione viene a collocarsi temporaneamente -per superiori istanze e con un munus minuziosamente definito -il curatore.
Ne deriva che gli atti del procedimento tributario posti in essere
antecedentemente all’apertura del concorso, benché intestati al soggetto contribuente, sono opponibili alla curatela, mentre quelli compiuti posteriormente a tale momento possono (e debbono) indicare come destinataria l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale, individuandone la mera rappresentanza legale in capo al curatore.
La circostanza che il curatore sia titolare, a tenore dell’art. 31 L.fall. (ora art. 128 CCII), dell’amministrazione del patrimonio della massa pone, d’altronde, l’organo concorsuale nell’uffizio di salvaguardare, da un lato, l’interesse dei creditori concorrenti, dall’altro e coevamente -quello del soggetto fallito a non ereditare, a valle del fallimento definito, pretese creditorie che sarebbero state passibili d’esser confutate a monte, con una più oculata e sollecita gestione ad opera del curatore (Cass. n. 3667 del 1997).
Vi sono situazioni, in altri termini, che attingono in via immediata la sfera giuridica ed economica del debitore, tanto da suggerire razionalmente di dotarlo di una legittimazione a difendersi. È proprio su questa premessa, che dev’essere ritenuta sussistente una legittimazione processuale compensativa del soggetto fallito rispetto all’atto impositivo in ipotesi di inerzia degli organi fallimentari, condizione, questa, riscontrabile già nell’omesso esercizio, da parte del curatore quale che ne sia la motivazione alla base -del diritto alla tutela giurisdizionale verso l’atto impositivo. In siffatta situazione di inattività, il soggetto debitore è eccezionalmente abilitato a reclamare esso stesso la tutela in discorso, alla luce di un’interpretazione sistematica, che è imperniata sul combinato disposto degli art. 43 L.fall. e dell’art. 21 D.Lgs. n. 546 del 1992 e che appare conforme al principio di difesa, costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost. (Cass. n. 3020 del 2007; Cass. n. 4113 del 2014).
Benché in passato sia venuta in apice nella giurisprudenza di
legittimità una posizione ermeneutica tesa a rimarcare che l’inoperosità del curatore fosse suscettibile di radicare la legittimazione succedanea del soggetto fallito a dolersi dinanzi al giudice dell’avviso impositivo solo in quanto determinata ‘da un totale disinteresse degli organi fallimentari’ e non legata, viceversa, ‘ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia’ (Cass. n. 8132 del 2018; v. anche Cass. n. 16926 del 2009 a tenore della quale ogni qualvolta sussista una ‘scelta consapevole della procedura fallimentare di non instaurare o subentrare al fallito in una controversia relativa a rapporti patrimoniali del medesimo’ è esclusa la legittimazione suppletiva del fallito), le Sezioni Unite di questa Corte hanno condivisibilmente chiarito che a rilevare è il ‘ comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia ‘ del curatore, ‘ indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato ‘ (Cass., Sez. Un., n. 11287 del 2023).
In buona sostanza, il dissidio fra le pronunce che si limitavano ad esigere una mera e oggettiva inattività del curatore (v. anche Cass. 3094 del 1995) e quelle che circoscrivevano la legittimazione debitoria al recinto RAGIONE_SOCIALE ipotesi in cui la curatela avesse dichiarato ‘inequivocabilmente di voler disinteressarsi del rapporto tributario in contestazione’ (Cass. n. 3321 del 1993), è stato risolvo dalle Sezioni Unite in senso favorevole alla prima RAGIONE_SOCIALE due opzioni ricostruttive. Condivisibilmente, pertanto, il mancato compimento tout court di un’attività giudiziale astrattamente possibile da parte del curatore vale a radicare la legittimazione della società fallita e dei suoi amministratori, a prescindere dalla sussistenza di una ponderata e consapevole astensione dell’organo concorsuale dall’iniziativa processuale in linea di principio praticabile. È il mero dato oggettivo dell’omesso ricorso alla tutela giudiziale a fondare, in definitiva, la legittimazione vicaria dell’ente fallito.
In linea con la pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite prima evocata
(Cass., Sez. Un., n. 11287 del 2023 cit.), va affermato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di fallimento, con riferimento ai rapporti d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della declaratoria fallimentare, la ‘mera inerzia’ assunta dal curatore nei confronti dell’atto impositivo è sufficiente a far sorgere la legittimazione processuale straordinaria della società fallita, quindi dei suoi amministratori, ad impugnarlo ‘.
Giova, del resto, considerare che il contribuente fallito ha un interesse accentuato a contrastare la pretesa erariale. In effetti, le sanzioni sono escluse dall’ambito dell’istituto dell’esdebitazione di cui all’art. 142 L.fall. (e dell’art. 278 CCII), salvo che non siano accessorie ad un debito d’imposta estinto. Ciò comporta due conseguenze: che qualora le sanzioni non abbiano la caratteristica dell’accessorietà e non ineriscano un debito integralmente pagato non sono suscettibili di estinguersi; che l’obbligazione tributaria ‘madre’ esige d’essere, comunque, onorata per intero anche dopo la chiusura del fallimento.
Non sarà, peraltro, soltanto l’imprenditore fallito individuale a trovarsi dinanzi alla coda dei debiti fiscali. L’art. 118, co. 2, L.fall., prevede, infatti, che nelle fattispecie di chiusura del fallimento per riparto finale o per insufficienza di attivo, il curatore debba procedere alla cancellazione della società dal Registro RAGIONE_SOCIALE imprese, il che sembra implicare come doveroso un passaggio in capo ai soci RAGIONE_SOCIALE passività insolute verso l’erario, salve le limitazioni connesse alle rispettive posizioni, nel quadro del moRAGIONE_SOCIALE societario impiegato.
Si tratta di un punto saliente: in generale, infatti, un restringimento della legitimatio del debitore contribuente striderebbe con la persistenza in capo all’insolvente del rapporto di imposta in costanza di procedura concorsuale liquidatoria. Nel
processo tributario, ex art. 10 del D.Lgs. n. 546 del 1992, è parte processuale attiva colui al quale è indirizzato l’avviso di accertamento o l’altro atto impositivo preveduto dall’art. 18 del decreto ora citato. È il contribuente, in quanto soggetto passivo del rapporto con l’erario, a presentarsi quale debitore del maggior importo accertato e dovuto a titolo d’imposta, nonché lo si è evidenziato sopra -quale responsabile dell’eventuale sanzione accessoria. Neppure l’esdebitazione condonerebbe il fatto in sé della violazione fiscale accertata, di tale accadimento occorrerebbe, per converso, tener conto ai fini della determinazione della sanzione applicabile in occasione di eventuali successive violazioni, stante l’inequivocabile disposto dell’art. 7, co. 2, D.Lgs. n. 472 del 1997.
Non va trascurato, in definitiva, che l’ente fallito e i suoi amministratori o soci, diversamente dal curatore, sono attenti ai contraccolpi sanzionatori, che talvolta sono di carattere penale, ma quand’anche non lo siano non cessano di sovraesporre il contribuente. Le ripercussioni, che possono discendere dall’ammissione del credito tributario, vengono in rilievo anche in rapporto alla valorizzazione che il curatore potrebbe farne nella relazione indirizzata ex art. 33 L.fall. (ora art. 130 CCII) al giudice delegato e nei successivi rapporti riepilogativi periodici.
In ragione del quadro complessivo sopra riassunto, gli odierni controricorrenti erano senz’altro portatori di un interesse ad agire suscettibile di consolidarne, a fronte del disimpegno del curatore rispetto alla pretesa tributaria, una legittimazione suppletiva in rapporto agli avvisi di accertamento per cui è causa.
Giova, infatti, rammentare che le Sezioni Unite hanno chiarito più di un decennio fa che a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono -il che
sacrificherebbe ingiustamente i diritti dei creditori sociali -ma si trasferiscono ai soci, i quali rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico cui erano soggetti pendente societate (Cass. n. 6070 del 2013) .
Questi profili già varrebbero a sorreggere la statuizione di infondatezza del motivo di ricorso ora in esame. Giova, peraltro, soggiungere che nell’area RAGIONE_SOCIALE imposizioni fiscali, la legittimazione, per così dire rimediale , del soggetto fallito trova, tra l’altro, la proprio ratio elettiva nell’esigenza preponderante ex latere debitoris di fruire di una tutela giurisdizionale avverso atti che, quand’anche privi di ricadute sulle aspettative di riparto dei creditori concorrenti, sono vocati ad ingrossare il passivo e ad intaccare ulteriormente un patrimonio, che è transitoriamente appreso alla massa, ma sul quale il soggetto insolvente vanta un residuale interesse recuperatorio (Cass. n. 22045 del 2016; Cass. n. 6904 del 2010).
L’atto impositivo non viene in evidenza soltanto sotto un profilo economico endoconcorsuale, ma anche in relazione alle ulteriori conseguenze che possono derivare al fallito. Ogni qualvolta la tutela in giudizio investa rapporti che esorbitano la realizzazione della garanzia patrimoniale del fallimento e oltrepassano la dinamica dell’interesse della massa dei creditori, diviene ostico disconoscere alla società insolvente e -in ultima analisi -ai suoi soci il presidio di una difesa giudiziale. Il soggetto fallito verrebbe, infatti, privato della legittimazione processuale ad onta di atti, che, da un lato, sormontano la tutela dei creditori, dall’altro, trascinano a carico del soggetto fallito (o in liquidazione giudiziale) un potenziale danno ingiusto.
La considerazione evincibile, guardando in filigrana gli artt. 42 e 43 L.fall., è che il soggetto fallito conservi ( rectius possa conservare) in linea di principio la capacità di agire e la legitimatio
ad processum , che ne è il risvolto giudiziale, con le sole limitazioni coessenziali al perseguimento RAGIONE_SOCIALE finalità del concorso.
Ribaltando la prospettiva, la perdita della capacità processuale del soggetto insolvente è proporzionata alla scala di interessi rispetto alla quale è strumentale e che coincide con le ragioni del fallimento e della tutela dei creditori. Per effetto della sentenza di fallimento, in definitiva, la capacità processuale del fallito si affievolisce senza azzerarsi, venendo meno solo in relazione al perimetro RAGIONE_SOCIALE spossessamento fallimentare e, più in generale, all’orbita occupata dagli scopi espropriativi e liquidatori della procedura.
In questo quadro, la legittimazione della società insolvente, quindi dei soci destinati ad ereditarne i debiti fiscali insoluti, finisce per atteggiarsi ad apparato di protezione in rapporto a tutte le situazioni in cui, difettando un’iniziativa del curatore, il suo particulare sconterebbe in nuce un pregiudizio, senza che le posizioni creditorie ne ricevano un vantaggio o una guarentigia.
In effetti, se l’art. 96, ult. co., L.fall. (ora art. 204, co. 5, CCII) prevede che il decreto di esecutività RAGIONE_SOCIALE stato passivo e le decisioni assunte all’esito dei relativi giudizi d’impugnazione ‘ producono effetti soltanto ai fini del concorso ‘, tale regola non è estensibile alle parentesi cognitorie extrafallimentari sui crediti demandate alle commissioni tributarie. Chiuse dette parentesi, la decisione che ne segna l’epilogo è, in linea di principio, opponibile al soggetto fallito .
Questa circostanza appare ancor più problematica se letta simmetricamente all’esclusione del soggetto insolvente dall’area dei rimedi impugnatori di cui all’art. 98 L.fall. (ora art. 206 CCII). Al debitore è sottratta, infatti, la facoltà di contestare formalmente l’ammissione dei crediti allo stato passivo, vieppiù in quanto portati da sentenze che, rese dal giudice speciale tributario, nel concorso formale sono di fatto soltanto travasate.
In ultima analisi, benché con la censura l’RAGIONE_SOCIALE miri a sostenere il contrario, la legittimazione suppletiva non è esclusa da quella che si potrebbe definire la deliberata inerzia del curatore.
Il secondo motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.
La CTR ha accertato la circostanza della mancata notifica degli atti impositivi agli appellati nella qualità di ex amministratori e soci negli anni di imposta e ne ha tratto un corollario tranchant in punto di sussistenza e legittimità della pretesa tributaria veicolata con gli avvisi. Affermano i giudici d’appello, infatti, che ‘ appurata l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE notifiche ai soci ne consegue la circostanza che la decorrenza dei termini decadenziali, normativamente previsti dall’art. 43 co 1 d.P.R. 600/73, non resta impedita continuando tali termini a decorrere e determinando nelle more del giudizio la decadenza del potere accertativo e di riscossione e quindi l’inesigibilità dei tributi accertati ‘.
Gli atti impugnati hanno pacificamente ad oggetto crediti i cui presupposti sono venuti ad esistenza prima della dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
Giova considerare che che secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, l’accertamento tributario, ‘ ove riguardi crediti i cui presupposti si siano determinati anteriormente alla dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d’imposta in cui detta dichiarazione è intervenuta, va notificato non solo al curatore ma anche al contribuente, che non è privato, a seguito della declaratoria fallimentare, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, rimanendo esposto ai riflessi, anche sanzionatori, derivanti dalla definitività dell’atto impositivo’ (Cass. n. 26127 del 2019; Cass. n. 28707 del 2018; Cass. n. 11618 2017; Cass. n. 4113 del 2014; Cass. n. 2910 del 2009); è stato anche affermato che, in caso di mancata notifica, la pretesa tributaria è inefficace nei suoi confronti e l’atto impositivo non diventa definitivo (Cass. n. 5392 del 2016).
Questa Corte ha pure puntualizzato che ” In tema di contenzioso tributario, solo la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente consente il consapevole esercizio del diritto di impugnativa, sicché, nel caso in cui l’atto impositivo sia stato notificato al solo curatore, e non anche alla società fallita, il termine per proporre impugnazione non può decorrere, per il fallito, dalla generica comunicazione, da parte del curatore, di una insinuazione tardiva di un credito erariale, né dalle risultanze della verifica RAGIONE_SOCIALE stato passivo in cui detto credito sia stato insinuato, ma solo dalla trasmissione dell’intera documentazione relativa alla pretesa erariale (nella specie, la copia della cartella di pagamento), fermo restando che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare il momento in cui tale atto sia venuto a conoscenza del contribuente, in modo da individuare la data dalla quale far decorrere il termine per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ‘ (Cass. n. 7874 del 2015).
Ora, osserva questa Corte che non è corretta l’affermazione della CTR secondo la quale l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE notifiche ai soci avrebbe determinato la ‘ decadenza del potere accertativo e impositivo ‘. Invero, non è normativamente previsto, in primis , che l’avviso di accertamento sia notificato al socio ex amministratore, in secundis , che la doppia notifica -pure necessaria -a soggetto fallito e curatore costituisca una condizione di legittimità o validità dell’atto. In presenza di una regolare notifica dell’avviso di accertamento al curatore del fallimento la violazione dell’obbligo di notificazione anche al fallito non è idonea, dunque, a comportare nullità o inesistenza dell’avviso, men che meno è suscettibile di condurre alla decadenza di un potere accertativo che si è già autoritativamente espresso. Piuttosto, la notifica degli avvisi nei confronti del solo curatore, ma non anche della società fallita implica che detti atti restino inefficaci ed inopponibili nei confronti
della fallita stessa, quindi pure dei soci ex amministratori destinati a succedere, come nella specie, nei debiti fiscali della società. Benché, in altri termini, l’ente impositore od il concessionario non siano obbligati a pena di nullità -sanzione invero non contemplata dall’ordinamento a notificare avvisi di accertamento e cartelle esattoriali sia al fallito che alla curatela fallimentare, tale scelta condiziona la futura opponibilità di tali atti. Ciò nel senso che l’accertamento operato dall’ufficio non può che decorrere, per il fallito e per i soci destinati ad assumerne i debiti a procedura concorsuale chiusa, dal momento in cui sia eseguita la notifica del relativo avviso, ovvero costoro, avendone acquisito conoscenza, siano posti nell’effettiva condizione di difendersi. In altri termini, dall’omessa notifica all’ente fallito a derivare non era il venir meno del potere accertativo, ma soltanto la non definitività dell’avviso di accertamento nei confronti del soggetto fallito o di quanti erano chiamati ad assumerne per successione il carico RAGIONE_SOCIALE obbligazioni insolute, ossia i soci. Costoro erano legittimati, in definitiva, senz’altro a contestare impugnandolo -la validità e fondatezza dell’atto impositivo dal momento in cui ne erano venuti a conoscenza. È quanto accaduto nel caso che occupa, atteso che gli ex amministratori e soci della società fallita sono insorti avverso gli avvisi di accertamento nell’inerzia della curatela fallimentare nel frangente in cui di tali atti impositivi hanno avuto contezza. Pertanto, anziché stigmatizzare in senso irredimibile la decadenza dal potere accertativo, concludendo per l” inesigibilità dei crediti ‘, la CTR avrebbe dovuto sindacare il merito della pretesa veicolata dagli avvisi di accertamento, sul piano della fondatezza.
Va, in conclusione, affermato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di fallimento, la notifica dell’avviso di accertamento nei confronti del solo curatore, e non anche nei riguardi del contribuente, non comporta la nullità o inesistenza dell’atto impositivo, tantomeno la decadenza
dell’Amministrazione dal potere accertativo; dalla notifica dell’avviso esclusivamente all’indirizzo dell’organo concorsuale deriva, piuttosto, l’inefficacia ed inopponibilità di esso al soggetto fallito, quindi anche ai soci ex amministratori destinati a succedere nei debiti fiscali dell’ente, i quali al pari di quest’ultimo rimangono legittimati ad impugnare tempestivamente l’atto a decorrere dal giorno in cui ne vengono effettivamente a conoscenza ‘.
Il motivo unico di ricorso incidentale è infondato.
Ancorché parte ricorrente in via incidentale adduca l’omessa contestazione ex latere curatoris della questione attinente la mancata notifica agli amministratori degli atti impositivi, valorizzata dalla CTP nella statuizione di annullamento degli avvisi, dalla sentenza d’appello è dato evincere come l’RAGIONE_SOCIALE abbia in primo grado complessivamente contestato, riproponendo il medesimo schema censorio esposto in grado d’appello, l’insussistenza di una legittimazione a reagire in sede giurisdizionale agli avvisi in capo agli ex amministratori e soci dell’ente fallito, in ragione della ritenuta esclusività della legittimazione ad impugnare ascrivibile al curatore, con il corollario evidente dell’ imprescindibilità della notifica degli atti impositivi unicamente nei suoi confronti. Il profilo dell’irrilevanza della notifica degli avvisi agli ex amministratori e soci era, in definitiva, immanente nell’affermata, assorbente insussistenza di legittimazione suppletiva o eccezionale in capo a detti soggetti, rispetto ai quali per ciò stesso non poteva porsi una questione di necessità della notifica. Ora, la mancata impugnazione dell’affermazione riportata nel ricorso incidentale secondo la quale ‘ il ricorso in esame deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati che non sono stati portati a conoscenza dei ricorrenti nella loro qualità e in quanto titolari di un
potere di valutazione della facoltà di impugnazione o meno ‘ non è suscettibile di dar luogo alla formazione del giudicato interno. Quest’ultimo, in tanto potrebbe formarsi, in quanto quell’affermazione davvero si fosse configurata come capo completamente autonomo, risolvendo una questione che -lungi dal presentarsi intrinsecamente connessa con la statuita insussistenza della legittimazione attiva degli amministratori ex soci a fronte della deliberata e ponderata inerzia del curatore nel caso di specie -si mostrava come questione sprovvista di individualità ed autonomia, non integrando una decisione del tutto indipendente, ma piuttosto risolvendosi un una mera argomentazione o valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorreva a formare un capo unico della decisione (cfr. Cass. n. 4732 del 2012; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 726 del 2006).
In applicazione di tale principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che la mancata considerazione specifica del profilo della notifica degli avvisi non ha comportato la formazione del giudicato interno, esprimendosi in un mero passaggio argomentativo attenente al capo della sentenza oggetto di impugnazione relativo alla mancanza in capo agli amministratori non resi destinatari degli avvisi di una legittimazione specifica a impugnarli. In definitiva, giova ribadire che costituisce capo autonomo della sentenza -come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno -solo quello che risolva una questione controversa tra le parti, caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un decisum affatto indipendente, ma non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (v. Cass. n. 2379 del 2018). Avuto riguardo ai complessivi aspetti della vicenda in esame, l’assenza di notifica degli avvisi agli ex amministratori
costituisce una premessa logica della statuizione della CTP relativa all’accoglimento RAGIONE_SOCIALE impugnazioni finalizzate a rimarcare la legittimazione dei predetti ad impugnare gli atti impositivi, stante l’inerzia del curatore.
In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale, mentre ne va accolto il secondo. Deve respingersi, invece, il motivo unico del ricorso incidentale. La sentenza va, per l’effetto, cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Sicilia.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo del ricorso principale e ne accoglie il secondo; respinge il ricorso incidentale; cassa con rinvio la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Sicilia.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 -quater , d.P.R. n. 115 del2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso da essi proposto, a norma del comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2024.