Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9010 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3742/2023 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in VENEZIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE IN FALLIMENTO
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 1382/2022 depositata il 28/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale svolta dalla Guardia di Finanza in data 24.10.2014, veniva notificato alla società RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti in concordato preventivo, in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME un processo verbale di contestazione, con cui venivano riscontrate irregolarità contabilifiscali relativamente agli anni dal 2009 al 2012. A conclusione della verifica, i verificatori trasmettevano alla Procura della Repubblica di Rovigo denuncia penale nei confronti di NOME COGNOME L’agenzia delle Entrate, facendo propri i rilievi dei verificatori, emetteva a carico della società diversi avvisi di accertamento per gli anni 2009, 2010 e 2011. Nello specifico, con i predetti atti impositivi, l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione ricavi non dichiarati afferenti vendite in nero. A seguito di infruttuosi tentativi di adesione, gli atti impositivi venivano impugnati dinanzi alla C.T.P. di Rovigo con i ricorsi recanti rispettivamente RGN. 200/2015 e 201/2015 (anno di imposta 2009); 30/16e 101/16 (anno di imposta 2010); 45/16 (anno di imposta 2011). Nelle more della trattazione delle cause di primo grado, il Tribunale di Rovigo con sentenza n. 15/2016 dichiarava il fallimento della società, nominandone i curatori.
Gli avvisi di accertamento a carico della società erano quindi impugnati dalla curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Rovigo, mentre
gli avvisi di accertamento a carico del socio erano impugnati da NOME COGNOME persona fisica dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Venezia. Quest’ultimo procedimento veniva sospeso ex art. 295 cod. proc. civ. in attesa del processo a carico della società, che si concludeva con esito di rigetto del ricorso. Nelle more dei termini per la presentazione dell’appello la curatela fallimentare decideva di non proseguire il contenzioso, mentre NOME COGNOME si determinava a presentare in proprio il gravame, a fronte del rischio che la definitività della sentenza di primo grado pregiudicasse la difesa nel processo a suo carico in qualità di socio.
La Commissione tributaria regionale del Veneto respingeva l’appello. In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano inammissibile l’appello presentato da NOME COGNOME in accoglimento dell’eccezione preliminare della difesa erariale, sulla scorta del principio per cui la dichiarazione di fallimento comporta, per il fallito, la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi ad un unico motivo, poi illustrato con memoria in prossimità dell’adunanza. Replica l’Agenzia delle Entrate, che ha presentato tempestivo controricorso.
L’affare ha avuto proposta di definizione accelerata, opposta dalla parte privata, che ha altresì illustrato le proprie ragioni con memoria in prossimità dell’adunanza.
CONSIDERATO
Viene proposto unico motivo, con il quale NOME COGNOME deduce ‘art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.: sulla inammissibilità del ricorso in appello. Violazione dell’art. 100 cod. proc. civ.; violazione dell’interesse ad agire; violazione dell’art. 24 Costituzione. Violazione del diritto di difesa. Il Sign. COGNOME ha presentato l’appello in proprio in quanto l’accertamento a suo
carico è derivato dall’accertamento a carico della società (cd. a ristretta base)’.
In sostanza, NOME COGNOME a fronte del rischio che la definitività della sentenza di primo grado a carico della società pregiudicasse la difesa nel processo a suo carico, ha presentato l’appello in proprio, ritenendosi legittimato sotto il profilo dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta pertanto violazione del diritto di difesa in quanto, da un lato l’accertamento emesso a suo carico dalla DP di Venezia per gli utili extrabilancio sarebbe pregiudicato dalla definitività dell’atto impositivo notificato alla società e, dall’altro, il dichiarato difetto di legittimazione attiva nel giudizio incardinato avverso gli atti societari impedirebbe al contribuente di difendersi anche nella causa societaria.
Il motivo è infondato.
1.1. Nella sentenza in scrutinio viene dato atto che la società è stata dichiarata fallita in data 8 aprile 2016. I curatori depositavano memoria integrativa 12.06.2017 e di costituzione, chiedendo la declaratoria di illegittimità totale o parziale e, per l’effetto, annullamento totale o parziale degli avvisi di accertamento. Risulta dunque evidente che, in forza del deposito dei citati atti, il giudizio di primo grado ha avuto quale legittima parte processuale i curatori, e la sentenza della C.T.P. poteva quindi essere impugnata solo da tale soggetto. In proposito si rammenta quanto stabilito dall’art. 43 L. 16 marzo 1942, n. 267, in forza del quale ‘Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore’. Ed invero, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali solo in caso di inerzia e/o disinteresse degli organi fallimentari. La giurisprudenza di legittimità ha temperato il rigore della disposizione riconoscendo
una legittimazione residuale in capo al fallito nei casi di inerzia o disinteresse della procedura. Orbene, nel caso di specie, non può trarsi dal contegno dei curatori alcuna inerzia, avendo questi ultimi rivestito la qualità di parte attiva in primo grado mediante il deposito di atti processuali. A seguito dell’esito negativo nella sentenza di primo grado, i curatori, autorizzati dal Giudice delegato, hanno deciso di non impugnare la decisione, manifestando così una precisa volontà ed effettuando una precisa scelta processuale. È appena il caso di ribadire che, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte di legittimità, se è vero che il fallito ‘nell’inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso la propria tutela, anche in materia tributaria, alla luce dell’interpretazione sistematica degli articoli 43 della Legge fallimentare e 10 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in conformità ai principi del diritto alla tutela giurisdizionale ed alla difesa’ (Cass. n. 5671/2006); è altrettanto vero che non può ritenersi sussistente l’inerzia laddove sia ravvisabile ‘una scelta consapevole di non impugnare l’accertamento effettuato dall’Amministrazione’ (Cass. n. 21250/2008). Deve pertanto ribadirsi il principio alla luce del quale ‘la legittimazione suppletiva del fallito può eccezionalmente riconoscersi soltanto nel caso di disinteresse o inerzia degli organi preposti al fallimento, e non anche allorquando tali organi si siano viceversa concretamente attivati e abbiano ritenuto non conveniente l’instaurazione della controversia con autorizzazione del Giudice delegato a non proporre ricorso avverso l’avviso di accertamento’ ( Ex multis , Cass. n. 11117/2013; Cass. n. 28542/2017).
1.2. Ne discende, quale conseguenza, l’incardinarsi dell’accertamento della inerzia della curatela fallimentare quale condizione -la cui sussistenza deve essere provata ad onere del fallito -ai fini della legittimazione processuale del fallito medesimo.
Nella specie, ad escludere la realizzazione dell’antecedente logico-giuridico della inerzia, è sufficiente la scelta consapevole del curatore che si è concretata nella mancata impugnazione della decisione di prime cure. Esclusa l’inerzia, è altresì inibita la legittimazione ‘ultrattiva’ in capo al fallito, posto che, si ribadisce ‘La legittimazione processuale del fallito non può prescindere dalla subordinazione all’inerzia degli organi fallimentari , spettando al fallito una legittimazione processuale di tipo suppletivo soltanto nel caso di totale disinteresse degli organi fallimentari (Cass. n. 28973/2021; Cass. n. 26506/2021).
In conclusione, il ricorso è infondato e ne segue il rigetto. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.ventiquattromila/00 , oltre alle spese prenotate a debito, nonché ad €.dodicimila/00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. ed €.mille/00 ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 19/03/2025.