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Legittimazione del fallito: quando agire in giudizio

Una società, prima cancellata dal registro imprese e poi dichiarata fallita, si era vista negare il diritto di impugnare avvisi fiscali. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando un principio cruciale: la legittimazione del fallito a difendersi in giudizio risorge qualora il curatore fallimentare rimanga inerte. La Suprema Corte ha chiarito che l’inerzia oggettiva del curatore, a prescindere dalle sue motivazioni, è sufficiente a radicare nuovamente in capo al soggetto fallito la capacità di agire per tutelare i propri interessi patrimoniali.

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Il Fallito Può Ancora Difendersi? La Cassazione sulla Legittimazione Sostitutiva

La dichiarazione di fallimento priva un imprenditore della gestione del proprio patrimonio, ma gli toglie anche il diritto di difendersi in tribunale da pretese creditorie, specialmente quelle fiscali? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, consolidando il principio della legittimazione del fallito ad agire in via sostitutiva quando l’organo preposto, il curatore, rimane inattivo. Analizziamo questa importante decisione che apre uno spiraglio di tutela per i soggetti coinvolti in procedure concorsuali.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda una società che, dopo essere stata cancellata dal registro delle imprese, veniva raggiunta da una richiesta di fallimento da parte dell’Agente della Riscossione sulla base di presunti debiti tributari. La società, venuta a conoscenza di tali debiti solo tramite un estratto di ruolo, decideva di impugnarli davanti alla Commissione Tributaria, sostenendo di non aver mai ricevuto la notifica delle cartelle di pagamento.

Il giudice di primo grado dichiarava il ricorso inammissibile, ritenendo la società ormai ‘inesistente’ a seguito della cancellazione. Nel frattempo, interveniva la dichiarazione di fallimento. Anche in appello, il ricorso veniva respinto, questa volta sulla base del principio che, una volta dichiarato il fallimento, il soggetto fallito perde la capacità processuale per le questioni patrimoniali, che spetta unicamente al curatore. Di fronte all’inerzia di quest’ultimo, gli ex soci decidevano di portare il caso fino in Cassazione.

La Questione della Legittimazione del Fallito

Il cuore della controversia ruotava attorno all’articolo 43 della Legge Fallimentare, che trasferisce al curatore la legittimazione processuale per tutte le controversie relative ai rapporti patrimoniali del fallito. La domanda era: cosa succede se il curatore, pur potendo agire, decide di non farlo? Il fallito rimane privo di qualsiasi tutela, anche quando l’azione potrebbe avere un impatto significativo, come l’annullamento dei debiti che hanno causato il fallimento stesso?

I ricorrenti sostenevano che l’inerzia del curatore facesse risorgere in capo a loro una legittimazione sostitutiva, un diritto a ‘rientrare in gioco’ per difendere i propri interessi. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva interpretato l’inazione del curatore come una scelta ponderata e non come mera inerzia, negando così tale possibilità.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della società, ribaltando la sentenza d’appello e stabilendo principi fondamentali.

Innanzitutto, la Corte ha richiamato la sua più autorevole giurisprudenza (Sezioni Unite, n. 11287 del 2023), chiarendo che per far risorgere la legittimazione del fallito è sufficiente un ‘comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia’ da parte del curatore. Non è necessario indagare le ragioni di tale inattività (se sia una scelta strategica o una negligenza). Il semplice fatto che il curatore non agisca, a fronte di un’azione giudiziaria possibile, è sufficiente a radicare nuovamente la capacità processuale in capo al soggetto fallito.

In secondo luogo, la Cassazione ha ritenuto errata anche la motivazione del giudice di primo grado. La cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determinava l’immediata ‘scomparsa’ ai fini fiscali. Grazie al principio della ‘riviviscenza quinquennale’ (art. 28, D.Lgs. 175/2014), la società si considera ancora esistente per cinque anni per tutte le questioni tributarie e contributive, e il liquidatore mantiene i suoi poteri di rappresentanza.

Infine, la Corte ha respinto il motivo di ricorso secondario, con cui si contestava la possibilità per l’Agente della Riscossione di essere difeso da un avvocato del libero foro anziché dall’Avvocatura dello Stato, confermando la legittimità di tale scelta in base alla normativa vigente.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo nella tutela dei diritti del soggetto fallito. La Corte ha riaffermato che il fallimento comporta una segregazione del patrimonio e la perdita della sua amministrazione, ma non un annientamento totale della capacità giuridica del soggetto. L’inerzia dell’organo fallimentare funge da ‘valvola di sicurezza’, consentendo al fallito di intervenire per tutelare un interesse patrimoniale che, seppur gestito da altri, rimane suo. Questa decisione garantisce che il diritto alla difesa non venga vanificato da scelte o omissioni del curatore, specialmente quando sono in gioco i presupposti stessi della dichiarazione di fallimento.

Un soggetto dichiarato fallito può impugnare un atto impositivo se il curatore fallimentare non agisce?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’inerzia oggettiva del curatore fallimentare fa risorgere in capo al soggetto fallito una legittimazione processuale sostitutiva, consentendogli di agire in giudizio per tutelare i propri interessi patrimoniali, come contestare un debito fiscale.

Una società cancellata dal registro delle imprese può ancora essere parte in un giudizio tributario?
Sì. Grazie al principio della ‘riviviscenza quinquennale’ previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014, una società cancellata si considera esistente per i cinque anni successivi ai soli fini fiscali e contributivi. Durante questo periodo, il liquidatore conserva i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale.

L’Agente della Riscossione può farsi difendere da un avvocato del libero foro anziché dall’Avvocatura dello Stato?
Sì. La Suprema Corte ha confermato la sua consolidata giurisprudenza secondo cui l’Agente della Riscossione ha la facoltà di scegliere se avvalersi dell’Avvocatura dello Stato o di avvocati del libero foro, senza che tale scelta richieda particolari formalità o delibere, specialmente nei giudizi davanti alle commissioni tributarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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