Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3722 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 749/2021 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del controricorso (PEC: EMAIL
-controricorrente – e nei confronti di
Fallimento RAGIONE_SOCIALE Unipersonale in liquidazione
-intimato – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 3360/14/2020, depositata il 30.06.2020.
Oggetto:
Tributi
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, dichiarata fallita in data 19.01.2017, avverso la sentenza della CTP di Napoli che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente, per carenza di legittimazione, avverso l’avviso di accertamento per imposte dirette e IVA, in relazione all’anno d’imposta 2013;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-il curatore ha ritenuto non conveniente impugnare l’atto impositivo, dando comunicazione di tale decisione al fallito, sicchè non vi era alcuna ragione per escludere la legittimazione del liquidatore;
-nel merito, la motivazione dell’avviso di accertamento impugnato non era indipendente dalla segnalazione dell’Ufficio Antifrode, da cui era partita la verifica, in quanto nell’avviso si dava espressamente atto che detta segnalazione che doveva essere allegata all’avviso -costituiva ‘parte integrante e sostanziale’ dell’atto impositivo; ciò implicava c he l’Ufficio aveva sostanzialmente tenuto conto della segnalazione ai fini della valutazione dei dati raccolti e delle sue conseguenti determinazioni;
-l’avviso di accertamento era nullo, perchè la segnalazione non era stata allegata e non era stato neppure riprodotto il contenuto dello stralcio indicato nella motivazione;
-l’atto impositivo era nullo, con riferimento all’IVA, anche per la mancanza del contraddittorio preventivo, posto che l’invito alla esibizione della documentazione non solo non era mai pervenuto al legale rappresentante della società, non essendo stata comprovata la
sua regolare notificazione ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., stante la ‘disordinata documentazione in atti’, ma non conteneva neppure contestazioni specifiche in ordine all’IVA , che erano state mosse solo a seguito della mancata risposta a detto invito, per cui era in tale secondo momento che l’Ufficio doveva instaurare un idoneo contraddittorio endoprocedimentale con la contribuente;
la contribuente aveva espressamente censurato il fatto che il mancato rispetto del previo contraddittorio l’aveva privata della possibilità di dimostrare la corretta tenuta delle scritture contabili e la liceità delle detrazioni operate;
-l’A genzia delle entrate impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria;
-la società contribuente resisteva con controricorso, mentre il curatore fallimentare rimaneva intimato.
CONSIDERATO CHE
preliminarmente va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso, in quanto volto ad ottenere un ulteriore esame delle emergenze istruttorie, dato che la parte ricorrente lamenta, in realtà, la non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito del paradigma astratto delle citate disposizioni, laddove il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio non avesse allegato all’avviso di accertamento la segnalazione dell’Ufficio Antifrode e non avesse rispettato l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo;
ciò posto, con il primo motivo, l’A genzia ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 43 del R.D. n. 267 del 1942 (L.F.), per avere la CTR erroneamente ritenuto la sussistenza della legittimazione della società fallita ad impugnare l’avviso di accertamento, nonostante nel caso di specie non si potesse configurare un’inerzia del curatore fallimentare che ha ritenuto non
conveniente impugnare detto atto impositivo e, quindi, non vi era stato un disinteresse da parte dello stesso;
il motivo è infondato;
come hanno affermato recentemente le Sezioni Unite di questa Corte, ‘ in caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l’atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 l. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l’abbiano determinato; l’insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo’ (Cass. n. Sez. U. n. 11287 del 28/04/2023);
di conseguenza, in caso di acquiescenza del curatore ad impugnare l’atto impositivo, persiste l’interesse e la legittimazione straordinaria del contribuente fallito ad impugnare gli atti che costituiscano manifestazione della pretesa tributaria, in considerazione del distinto interesse del curatore rispetto a quello del debitore ad impugnare l’atto impositivo (Cass. n. 34403 dell’11/12/2023);
la CTR ha correttamente ravvisato la legittimazione processuale della società fallita in persona dell’ex legale rappresentante, essendo stato accertato che il curatore gli aveva trasmesso l’avviso di accertamento comunicandogli espressamente la propria volontà di non impugnare l’atto;
con il secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., in quanto il giudice di secondo grado ha ritenuto nullo l’avviso di accertamento impugnato sulla base di
considerazioni immotivate, avendo escluso la sussistenza dell’indipendenza della motivazione dell’avviso di accertamento dalla segnalazione dell’Ufficio Antifrode sulla base del formalistico rilievo che nella motivazione dell’atto impositivo tale segnalazione era qualificata ‘parte integrante e sostanziale’ , senza verificare se la segnalazione costituiva effettivamente parte integrante e sostanziale dell’atto impositivo o se piuttosto si trattava di una mera formula di stile, posto che detta segnalazione costituiva solo un atto di impulso della verifica effettuata dall’Ufficio che poi non ha fondato la pretesa impositiva sulle transazioni fittizie indicate in quella segnalazione, ma ha determinato le maggiori imposte esaminando i ricavi delle vendite e delle prestazioni indicati in bilancio, nonché i costi di produzione sulla base dei dati emergenti, oltre che dal sistema VIES, dai quadri RF, VE e UJ;
il motivo è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende
percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di annullare l’avviso di accertamento, in quanto non era stato allegato uno degli atti richiamati nella motivazione, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia con ciò assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
– con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 7, comma 1, della l. n. 212 del 2000 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere illegittimo l’avviso impugnato solo perché non era stata allegata la segnalazione dell’Ufficio Antifrode, richiamata nella motivazione, in quanto la stessa aveva un mero valore narrativo, avendo costituito l’atto di impulso della verifica fiscale, effettuata poi con una distinta attività istruttoria, condotta con la metodologia di cui all’art. 39, comma 2, lett. d -bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di dati e notizie in possesso dell’Ufficio e riprodotti nella motivazione dell’avviso di accertamento ;
il motivo è fondato;
occorre premettere che, già con riferimento alla disciplina anteriore all’art. 7 della l. n. 212 del 2000, è stato affermato che la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei
casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto; ai fini dell’annullamento il contribuente deve, quindi, provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza (Cass. 10.02.2016, n. 2614);
– anche con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
– pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata
nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16.12.2020, n. 28756; Cass. 15.05.2018, n. 11866);
-nella specie è pacifico che la richiamata segnalazione dell’Ufficio Antifrode non è stata allegata all’avviso di accertamento impugnato , essendone stato richiamato solo uno stralcio nella premessa dell’atto impositivo, come si evince dalla sua trascrizione, riportata nel testo del ricorso per cassazione;
come risulta anche dalla sentenza impugnata, tuttavia, l’Ufficio aveva svolto l’accertamento con il metodo induttivo, ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. lett. d-bis, del d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base degli elementi in suo possesso, tratti dai dati presenti nell’Anagrafe tributaria, sicchè, a fronte di un accertamento che prescindeva dalle risultante della citata segnalazione, la contribuente avrebbe dovuto dimostrare che il contenuto della stessa era necessario per integrare la motivazione dell’avviso di accertamento;
la CTR non si è attenuta ai suindicati principi, avendo ritenuto nullo l’avviso di accertamento impugnato solo per la mancata allegazione della segnalazione dell’Ufficio Antifrode, senza verificare se il contenuto di detta segnalazione fosse necessario ad integrare la motivazione dell’atto impositivo , nonostante la trascrizione di una sua parte nella premessa dell’atto impositivo ;
-con il quarto motivo, deduce la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CTR considerato che l’invito ad esibire la documentazione era stato ritualmente notificato sia alla società, ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, sia al suo liquidatore, COGNOME NOME, ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ., e che la contribuente non aveva mai contestato nè la rituale notificazione al COGNOME né l’idoneità della documentazione prodotta dall’Ufficio al fine di dimostrare la regolarità di detto procedimento notificatorio;
– il motivo è fondato;
-dallo stralcio del ricorso introduttivo, riproposto nell’atto di appello, riportato dall’Agenzia delle entrate, in ossequio al principio di autosufficienza, nel testo del ricorso per cassazione, si evince che la contribuente non aveva mai contestato la ritualità della notificazione dell’invito a produrre la documentazione a COGNOME NOMECOGNOME nella sua qualità di liquidatore e legale rappresentante, limitandosi ad affermare che detto invito ‘ non è mai stato portato a conoscenza dall’Ufficio alla società ricorrente, ovvero, eventualmente, non è stato portato a conoscenza nelle forme ex lege previste ‘;
la CTR non ha rispettato il principio di non contestazione con riferimento alla regolarità della notificazione dell’invito al liquidatore , affermando, genericamente, che ‘la procedura asseritamente ex art. 140 cpc è assolutamente non adeguatamente comprovata dalla disordinata documentazione in atti’ , senza considerare che la contribuente non aveva contestato la prova della regolare notificazione dell’invito a NOME NOMECOGNOME nella sua qualità di legale rappresentante della società contribuente;
con il quinto motivo, deduce la violazione degli artt. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., in quanto la CTR, con argomentazioni immotivate, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento ai fini IVA per la violazione dell’obbligo del contraddittorio preventivo e per la mancata notificazione dell’invito a presentare documentazione;
anche questo motivo è infondato per le stesse ragioni indicate con riferimento al secondo motivo, avendo la sentenza impugnata, motivato al di sopra del “minimo costituzionale” anche con riferimento alla asserita violazione del contraddittorio preventivo e alla mancata notificazione dell’invito ;
con il sesto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in quanto la CTR ha ritenuto violato il principio del contraddittorio endoprocedimentale, sebbene la contribuente non avesse allegato le ragioni che avrebbe potuto far valere se fosse stato garantito il contraddittorio;
– il motivo è fondato;
come è noto, nei casi in cui non vi è stato accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale esclusivamente per i tributi “armonizzati”, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto impositivo, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. Sez. U., n. 24823 del 9.12.2015);
-secondo la giurisprudenza unionale, peraltro, il positivo superamento della c.d. prova di resistenza avviene, quando il contribuente illustra come e in che termini, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (CGUE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13 e C-130/13, punti 78 e 79; CGUE, SC C.F. cit., punto 35);
la CTR non ha fatto buon governo dei suddetti principi, in quanto ha ritenuto violate le garanzie di cui all’art. 12 cit., limitandosi ad affermare genericamente che il mancato contraddittorio aveva privato la contribuente della possibilità di dimostrare la corretta tenuta delle scritture contabili e la liceità delle detrazioni operate, senza verificare se la contribuente avesse illustrato, come era suo onere, per quanto riguarda la ripresa ai fini IVA, specifiche e concrete circostanze tali da integrare la cd. prova di resistenza; tali circostanze, peraltro, non
potevano consistere nella generica affermazione che avrebbe potuto produrre documenti;
in conclusione, dunque, vanno accolti il terzo, il quarto e il sesto motivo, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio, alla competente Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo, il quarto e il sesto motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata, con riferimento ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 dicembre 2024