Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16370 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16370 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
quali la violazione di legge e l’omessa motivazione, non individuando neppure il pertinente paradigma processuale che non è il 360 primo comma n.4 cod. proc. civ.. Inoltre, la censura è anche manifestamente infondata. Il giudice di appello non ha omesso di motivare né violato la legge, ma si è conformato alla consolidata interpretazione giurisprudenziale ritenendo che il ricorso fosse stato presentato nei termini per il fatto che la contribuente aveva presentato all’Amministrazione un’istanza formalmente qualificata come «istanza di accertamento con adesione (art. 6, terzo comma, del d.lgs. n. 218 del 1997)». Va data continuità alla giurisprudenza della Sezione (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n.27274 del 24/10/2019) secondo la quale in caso di presentazione dell’istanza di accertamento con adesione la mancata comparizione del contribuente alla data fissata per la definizione in via amministrativa della lite, sia essa giustificata o meno, non interrompe la sospensione del termine di 90 giorni per l’impugnazione dell’avviso di accertamento, in quanto detto comportamento non è equiparabile alla formale rinuncia all’istanza né è idoneo a farne venir meno “ab origine” gli effetti. Eguali considerazioni valgono con riferimento al l’interpretazione del contenuto dell’istanza presentata RAGIONE_SOCIALE società, che non può essere derubricata a richiesta di mera autotutela, in quanto diretta ad ottenere uno spatium deliberandi previsto RAGIONE_SOCIALE legge (Cass.
Sez. 5 – , Ordinanza n. 21096 del 24/08/2018) secondo cui il decorso del termine di sospensione di novanta giorni per l’impugnazione dello stesso segue automaticamente alla presentazione dell’istanza di definizione.
7. Con il secondo motivo di ricorso, proposto in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., viene prospettata l’o messa motivazione circa un fatto controverso e decisivo della causa, che ha formato oggetto di discussione tra le parti, in relazione anche all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. La censura evidenzia che l’RAGIONE_SOCIALE aveva eccepito davanti alla CTR, sotto vari profili, l’inammissibilità del ricorso introduttivo e dell’appello per carenza di prova della legittimazione processuale del dott. COGNOME in persona del quale era stato proposto sia il ricorso introduttivo sia l’appello principale. L’ eccezione sarebbe stata rigettata con motivazione solo apparente, mancando sia la valutazione degli elementi addotti dall’RAGIONE_SOCIALE circa l’irritualità dell’intestazione dei predetti atti, sia della irrilevanza della qualifica di amministratore delegato posseduta dal dott. COGNOME, sia della inidoneità della delibera del CDA come da verbale del 21.11.2011 allegata da controparte in giudizio tardivamente perché non prodotta col ricorso introduttivo, sia della portata da attribuire all’ art. 2384 cod. civ.. La questione è stata ulteriormente rielaborata dall’RAGIONE_SOCIALE in sede di memoria illustrativa.
8. Il terzo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., lamenta anche la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, terzo comma, cod. proc. civ., e degli artt. 12 e 18 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 2384 cod. civ. da parte della sentenza d’appello, nella parte concernente l’ammissibilità del ricorso introduttivo e dell’appello principale, perché il ricorso introduttivo non reca l’indicazione nominativa del “legale rappresentante” della società, e perché questa lacuna non potrebbe ritenersi colmata RAGIONE_SOCIALE successiva
indicazione della qualità di amministratore delegato – e non di legale rappresentante – in capo al dott. COGNOME.
I motivi, connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili per più ragioni.
9.1. La formulazione della seconda censura, come eccepito in controricorso, non tiene conto dell ‘art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni RAGIONE_SOCIALE l. 7 agosto 2012, n. 134, che ha riformato il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e si applica nei confronti della sentenza qui impugnata, depositata il 3 giugno 2014. Nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal ‘vecchio’ n.5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014).
9.2. Inoltre, con riferimento ad entrambi i motivi in disamina, vale il principio di diritto (Cass. Sez. L, Sentenza n. 267 del 11/01/1995; conformi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8722 del 02/09/1998; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8826 del 30/04/2015) secondo il quale la legitimatio ad processum , riferita alla capacità delle parti a stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione, costituisce un presupposto che attiene alla regolare costituzione del rapporto processuale e l’accertamento della sua esistenza o della sua mancanza può essere compiuto in ogni stato e grado del processo, sinanche in sede di legittimità, con il solo limite della formazione del giudicato che preclude la proposizione o la riproposizione della relativa questione. Pertanto, la produzione dell’atto o documento da cui risulti la sussistenza di detta legittimazione, produzione ammissibile anche nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 372, primo comma, cod.
proc. civ., non essendo assoggettata alle preclusioni, anche di ordine cronologico, riguardanti l’acquisizione del materiale probatorio occorrente per decidere la causa nel merito, ha l’effetto di sanare retroattivamente le irregolarità che inficiano i precedenti gradi del giudizio, fermo restando che tale sanatoria non opera quando i giudici di merito abbiano già rilevato la mancanza del presupposto processuale, traendone le debite conseguenze in ordine alla validità dell’atto compiuto in mancanza di esso.
Nel caso in esame non solo non vi è un giudicato interno nel senso dell’assenza di legittimazione ad agire in giudizio conferita al Presidente dal Consiglio di Amministrazione della società, ma esiste un accertamento del giudice in senso diametralmente opposto. Infatti, la CTR ha posto in essere un accertamento motivato a riguardo, nei seguenti termini: «Per quanto attiene alla legitimatio di COGNOME NOME, ratione temporis, a rappresentare la ISE ed a conferire procura speciale per la lite, essa discende RAGIONE_SOCIALE qualità di amministratore delegato, all’uopo destinatario anche di apposita delibera del Consiglio di Amministrazione che dava facoltà ad agire ed a contestare in qualsiasi sede. Inoltre, sulla base della previsione di cui all’alt. 2384 cod. civ., “il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o RAGIONE_SOCIALE deliberazione di nomina è generale”. Alla data emergente dal conferimento della procura il COGNOME appariva ricoprire tale qualità.».
9.3. Nella sentenza impugnata la CTR ha motivato, compiendo precisi accertamenti fattuali circa il conferimento di poteri di rappresentanza generali in capo a chi ha conferito procura ai difensori per introdurre il ricorso in primo grado e l’impugnazione, anche sulla base del verbale del consiglio di amministrazione del 21.11.2011. È formalistica l ‘ulteriore doglianza dell’RAGIONE_SOCIALE secondo la quale tale delibera doveva essere allegata al ricorso introduttivo, non ostandovi la consolidata giurisprudenza di legittimità sopra citata, né la ricorrente ha dimostrato e
neppure allegato che tale carenza e la mancata indicazione nominativa del legale rappresentante della società avesse ragionevolmente determinato un concreto nocumento per la difesa erariale o incertezza assoluta circa l’identificazione della controparte.
9.4. Infine, non è accoglibile l’ulteriore elaborazione contenuta nella memoria illustrativa dell’RAGIONE_SOCIALE, anche ai fini della declaratoria di inammissibilità del controricorso nel giudizio di Cassazione, secondo la quale «il potere di rappresentanza non può trovare la propria fonte nella delega delle attribuzioni del consiglio di amministrazione, poiché il consiglio di amministrazione non è titolare del potere di rappresentanza» e la ricorrente sulla base della delibera del CDA dell’8.7.2014 «segnala in aggiunta il limite posto dal consiglio alla legittima assunzione di impegni, che esclude quelli di valore superiore ad euro 1.000.000», giusta visura alla CCIAA della società allegata alla memoria ex art.378 cod. proc. civ..
Il collegio osserva infatti da un lato che l ‘organo amministrativo di un ente è titolare del potere gestorio che si manifesta nella scelta delle attività da intraprendere al fine di raggiungere gli obiettivi per il quale l’ente è stato costituito e al suo presidente, investito dei poteri di impulso, coordinamento e guida dell’organo amministrativo compete la legale rappresentanza dell’ente, la legitimatio ad processum.
Dall’altro, è evidente che l’accertamento della CTR circa i poteri conferiti con delibera del CDA oggetto del motivo di ricorso si basa su una delibera anteriore a quella dell’8.7.2014 quale emerge RAGIONE_SOCIALE visura alla CCIAA del 24.11.2014 allegata alla memoria ex art.378 cod. proc. civ.. La questione è perciò sul piano cronologico astrattamente rilevante solo ai fini dell’eventuale inammissibiltà del controricorso. Inoltre, nel concreto, il limite invocato dall’RAGIONE_SOCIALE nella sua interpretazione della delibera non si estende alla costituzione nel presente processo di cassazione tramite controricorso, dal momento che la delibera conferisce
delega all’amministratore per «tutte le attribuzioni del CDA ad eccezione delle seguenti: a) gli impegni di qualsiasi tipo e sotto qualsiasi forma, di importo superiore ad euro 1.000.000», e la costituzione nel presente giudizio non risulta che di per sé abbia comportato alcun impegno in tal senso, ad esempio perché l’emolumento pattuito con i difensori travalica tale limite, né l’esito del giudizio è scontato con conseguente assenza di impegno a riguardo.
10. Con il quarto motivo, ex art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ. si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 92 e 109 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per contraddittorietà tra la parte in cui la CTR afferma «la impugnata sentenza ha adeguatamente illustrato la cointeressenza tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ha esaminato le modalità delle transazioni e della regolamentazione finanziaria, ha approfondito le vicende interne della società; e pertanto è correttamente pervenuta a ravvisare circostanze gravi precise e concordanti nel senso di una reale insussistenza di un reale scopo imprenditoriale alla base delle ripetute cessioni e retrocessioni» e il successivo annullamento dell’avviso di accertamento. La doglianza si riferisce alla complessiva argomentazione della CTR relativa alla ritenuta infondatezza della pronuncia di primo grado cui la C.T.R. dedica, formalmente secondo l’RAGIONE_SOCIALE, i punti da 5 a 11 della motivazione.
11. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità. La censura non individua il pertinente paradigma processuale rilevante, poiché il profilo del «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» nella motivazione avrebbe dovuto essere censurato ex art. 360, primo comma, n. 4. cod. proc. civ. o comunque doveva essere oggetto di una censura motivazionale (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053), e non per violazione di legge. Inoltre, la doglianza è inammissibile anche perché generica e non specifica, censurando come contraddittoria una motivazione molto ampia ai punti 5-11 della sentenza, che si dipana per 9 pagine e contiene numerosi e distinti apprezzamenti fattuali da parte
del giudice, capi suscettibili di essere oggetto di autonome doglianze. Tale prospettazione è inammissibile per consolidata interpretazione giurisprudenziale (già Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110) dal momento che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione.
12. Con la quinta censura, in rapporto all’ art. 360, primo comma, n. 5. cod. proc. civ., la ricorrente prospetta l’ omesso esame circa fatti controversi e decisivi della causa, che hanno formato oggetto di discussione tra le parti. Ad avviso dell’RAGIONE_SOCIALE ricorrente, i fatti determinanti della causa ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, risultano completamente omessi nella motivazione della sentenza impugnata e sono: a) il fatto che, ai fini IVA, non vi sia stata alcuna generazione di valore aggiunto a seguito delle varie transazioni; b) la circostanza che, con riferimento al periodo di possesso dell’immobile da parte della contribuente (dall’1/11/2005 al 6/10/2006), essa non avrebbe provato in quale concreto processo produttivo l’immobile in questione sia stato impiegato; c) sul piano fiscale, le successive cessioni e retrocessioni hanno determinato un danno all’Erario in termini di costi dedotti e di IVA detratta; d) il riconoscimento del diritto alla detrazione non è condizionato dall’effettuazione dei versamenti dell’imposta; e) a causa della sequela di cessioni e retrocessioni sia la società RAGIONE_SOCIALE che la società RAGIONE_SOCIALE sono state sottoposte a commissariamento giudiziale.
13. Il motivo è inammissibile. Con riferimento al punto d) il Collegio constata che non è indicato un fatto il cui esame sia stato omesso, ma
un’interpretazione giuridica della normativa sull’imposta armonizzata. Inoltre, con riferimento alle restanti circostanze, va rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richieste RAGIONE_SOCIALE legge vanno desunte dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente da solo), sebbene preceduto RAGIONE_SOCIALE considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che RAGIONE_SOCIALE valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Il giudice ha compiuto tale valutazione attraverso una serie articolata di accertamenti fattuali da pag.3 a pag.11 della sentenza impugnata, con precisi ancoraggi nel quadro istruttorio raccolto nel processo che hanno portato ad escludere la deducibibilità RAGIONE_SOCIALE base imponibile dell’IVA 20% per euro 24.092.224,00 gravante sul contratto rogato dal AVV_NOTAIO il 1.11.2005 e relativa fattura n. 1 del 2.11.2005 emessa da RAGIONE_SOCIALE in relazione al ritrasferimento del centro commerciale alla contribuente.
Inoltre, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti. Nella fattispecie il fatto storico è indubbiamente stato considerato dal giudice, sia quanto alla contestata «carenza di razionalità economico-commerciale nella vendita in
questione (…)» (cfr. p.3 sentenza), sia al fatto che «A seguito di azione giudiziaria dei soci di minoranza RAGIONE_SOCIALE, il tribunale civile nominò un amministratore giudiziario (…)» (cfr. p.4 sentenza). Egualmente, è stato valutato anche il fatto che l’operazione «non avrebbe comportato creazione di ricchezza reale», mentre inconducente è il profilo relativo al danno erariale.
14. Il sesto mezzo di impugnazione, ai fini dell’ art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 28 della l. 16 febbraio 1913, n. 89 da parte della sentenza impugnata nella parte in cui non trae le debite conseguenze dai vizi di nullità che inficiano l’atto per AVV_NOTAIO del 1° novembre 2005, avente ad oggetto la rivendita del RAGIONE_SOCIALE alla contribuente e che ha comportato la contestata detrazione dell’imposta relativa. L ‘RAGIONE_SOCIALE rammenta che la nullità dell’atto può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, oltre ad essere rilevabile d’ufficio dal giudice ai sensi dell’art. 1421 cod. civ. e comporta che la vendita stipulata sarebbe improduttiva di effetti e non potrebbe giustificare la detrazione dell’imposta relativa alla cessione.
15. Con il settimo motivo, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli artt. 1343 e 1418 cod. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la nullità del contratto per causa illecita ed assume che, in ogni caso, la nullità non avrebbe impedito il diritto alla detrazione.
16. I due motivi sono connessi perché incentrati sulla contestata nullità del contratto ai fini della detrazione dell’imposta armonizzata e sono inammissibili. Come eccepito in controricorso, sia l’intestazione sia il succinto corpo delle censure sesta e settima recano un univoco riferimento testuale all’imposta armonizzata la quale, sin dall’atto impositivo impugnato, non è oggetto del presente processo: i motivi sono
calibrati esclusivamente sul diritto alla detrazione dell’ IVA. Dal momento che i motivi non sono congruenti con le riprese ad imposizione alla base del processo, relative alla deduzione RAGIONE_SOCIALE base imponibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP), sono inammissibili.
17. Il ricorso dev’essere perciò complessivamente rigettato, e le spese di lite vengono compensate in ragione del consolidamento della giurisprudenza sulle questioni controverse successivamente alla proposizione del ricorso.
18. Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito, non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.
Così deciso in Roma in data 14 febbraio 2024