Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20778 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20778 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 7678/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’ avvocato NOME COGNOME, elettivamente domiciliato presso la cancelleria della Corte di cassazione, come da procura speciale allegata al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 4462/11/2019, depositata il 18.07.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
COGNOME NOME proponeva appello avverso la sentenza della CTP di Roma n. 18262/2016, che aveva rigettato il ricorso dal medesimo proposto, in qualità di amministratore di fatto, avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per IRES, IRAP e IVA, in relazione a ll’anno 200 8, a seguito della ripresa a tassazione di costi non documentati e costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti;
l ‘RAGIONE_SOCIALE proponeva , a sua volta, appello avverso la sentenza della CTP di Roma n. 9490/2017, che aveva accolto il ricorso proposto da AVV_NOTAIO avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, emesso nei confronti del medesimo, per IR PEF, in relazione all’anno 2008, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE;
la CTR del Lazio, riuniti gli appelli, accoglieva quello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e rigettava quello proposto dal contribuente, osservando, per quanto ancora qui rileva, che:
-l’Amministrazione finanziaria non era decaduta dal potere di accertamento, dato che l’atto impositivo risultava notificato in data 30.12.2013;
non poteva dubitarsi del ruolo del COGNOME come amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, desumibile dal fatto che egli deteneva tutta la documentazione fiscale della RAGIONE_SOCIALE, nonché dal contenuto di diversi documenti riguardanti la RAGIONE_SOCIALE (come fatture, documenti bancari e commerciali, fax), dalle dichiarazioni dell’amministratore di diritto , dei clienti e dei fornitori;
dalla predetta documentazione si evinceva, inoltre, che il ricorrente era anche il reale ed esclusivo beneficiario di tutte le operazioni eseguite per conto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, costituita
artificiosamente, per fini illeciti, nell’interesse esclusivo del COGNOME, per cui quest’ultimo doveva rispondere dei debiti tributari accertati nei confronti della RAGIONE_SOCIALE;
era stato provato, inoltre, che alcuni costi non erano documentati e altri riguardavano operazioni inesistenti, trattandosi di fatture emesse dalle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, entrambe inoperanti, prive di sede e gestite di fatto dallo stesso COGNOME che era a conoscenza, quindi, della falsità RAGIONE_SOCIALE fatture;
-l’assoluzione del COGNOME in sede penale non spiegava alcun automatico effetto nel giudizio tributario, stante l’autonomia dei due giudizi;
una volta accertato che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era una fictio e che il reale gestore e beneficiario della sua attività era il COGNOME, il maggiore reddito d’impresa accertato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ‘spiegava effetti’ sulla maggiore IRPEF dovuta dal COGNOME;
il contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso , illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR ritenuto erroneamente che l’avviso di accertamento prodromico alla cartella di pagamento fosse stato tempestivamente notificato al contribuente , senza rilevare che l’unico timbro avente carattere legale era quello a secco, apposto dall’Ufficio postale sulla busta in basso al centro, riportante la data del 3.01.2014;
il motivo è inammissibile;
premesso che il contribuente aveva proposto ricorso avverso avvisi di accertamento e non avverso cartelle di pagamento, questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina l’inammissibilità del motivo (Cass. n. 5185 del 2017; n. 30378 del 2018; n. 906 del 2019);
il ricorrente ha omesso di trascrivere il contenuto della notificazione di cui è stata denunciata la tardiva esecuzione e degli altri documenti necessari per comprendere la censura, avendo la CTR accertato che gli avvisi di accertamento erano stati notificati entro la scadenza del termina ordinario previsto per l’accertamento ;
con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, 331 cod. proc. pen. e d.lgs. n. 74 del 2000, per non avere la CTR rilevato che la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento non era applicabile all’IRAP e per non avere fatto riferimento, nella motivazione dell’atto impositivo, alla denuncia trasmessa all’autorità giudiziaria ;
il motivo è infondato, essendo stato accertato che gli atti impositivi erano stati notificati entro la scadenza del termine ordinario di accertamento;
con il terzo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 cod. proc. civ. e omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per non avere la CTR motivato in ordine agli elementi emersi nel procedimento penale nel quale il COGNOME era stato assolto, non prendendo in considerazione il quadro indiziario complessivo, al fine di accertare se le operazioni commerciali oggetto
della fornitura fossero state effettivamente poste in essere, anche al fine di stabilire la reale entità della contestata evasione.
con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. nella l. n. 326 del 2003, e 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere la CTR rilevato che l’Ufficio non aveva fornito elementi idonei a dimostrare che il contribuente fosse il reale possessore del reddito della RAGIONE_SOCIALE, che questa fosse stata costituita artificiosamente, nell’esclusivo interesse del ricorrente e per non avere considerato la definitiva assoluzione del contribuente in sede penale;
-i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono inammissibili;
sul punto occorre premettere che l’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 dispone che: ‘In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona’ ;
la norma si riferisce a qualsiasi ipotesi di interposizione, sia fittizia che reale, ed anche ad un uso improprio di un legittimo strumento giuridico ( ex multis , Cass. n. 11055 del 27/04/2021; Cass. n. 17128 del 28/06/2018; Cass. n. 5408 del 03/03/2017);
-per soddisfare l’onere probatorio gravante sull’Ufficio non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 22/05/2019; Cass. n. 4168 del 21/02/2018;
Cass. n. 17833 del 19/07/2017; Cass. n. 25129 del 7/12/2016; Cass. S.U. n. 9961 del 13/11/1996);
– come è stato recentemente affermato da questa Corte, l’oggetto della prova incombente sull’Amministrazione finanziaria non attiene agli elementi costitutivi dell’interposizione ma solo come precisa la norma -che ‘egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona ‘: la funzione della norma, dunque, è quella di evitare che il contribuente (effettivo possessore) si sottragga al prelievo occultando all’Amministrazione finanziaria la propria identità di contribuente, ricorrente ad interposizioni negoziali tali da attribuire a terzi il possesso del reddito. In altri termini, il possesso del reddito «per interposta persona» costituisce il fatto ignoto oggetto della prova logica a carico dell’Ufficio, quale elemento che lega il reddito prodotto dal soggetto interposto al titolare effettivo: la rilevanza dell’effettivo possesso del reddito rispetto alla sua titolarità formale sancisce la prevalenza della sostanza (possesso del reddito) sulla forma (titolarità del reddito) e della realtà sull’apparenza, dovendosi individuare non la natura fittizia o ingannevole della titolarità del reddito, bensì l’effettività dell’esercizio del possesso del reddito a prescindere dalla sua formale titolarità (Cass. n. 23231 del 25/07/2022 e n. 1358 del 17/01/2023);
-la norma si applica anche al reddito d’impresa e anche all’ipotesi in cui l’interposto sia una RAGIONE_SOCIALE di capitali, salva la necessaria specifica verifica della relazione di fatto tra contribuente e reddito per operare la traslazione del reddito d’impresa prodotto all’effettivo titolare; in particolare, il ruolo di amministratore di fatto, per assumere incidenza, deve ‘ assumere una particolare pregnanza al fine di integrare la presunzione del possesso del reddito perché deve essere tale da comportare la traslazione del reddito realizzato dall’ente collettivo percettore interposto nel suo complesso (e, quindi, anche
ai fini Irap e Iva) al soggetto persona fisica interponente come se fosse stato prodotto da quest’ultima (Cass. n. 5276 del 17/02/2022);
-è stato, tuttavia, precisato che, in tal caso, la posizione dell’interponente non è quella di mero gestore dell’ente collettivo condizione che, in quanto tale, sarebbe significativa ai fini reddituali solo nelle RAGIONE_SOCIALE di persone interposte e, in caso di socio, a fondamento del maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef -ma di soggetto che disponga uti dominus RAGIONE_SOCIALE risorse del soggetto interposto, sicchè la prova che incombe sull’Amministrazione finanziaria ha ad oggetto il totale asservimento della RAGIONE_SOCIALE interposta all’interponente, tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla RAGIONE_SOCIALE (Cass. n. 23231 del 2022 cit.);
-qualora l’Amministrazione fornisca tale prova, con conseguente traslazione del reddito d’impresa nel suo complesso prodotto dal contribuente interposto e RAGIONE_SOCIALE relative imposte, graverà sul l’interponente la prova contraria finalizzata a dimostrare l’assenza di interposizione ovvero la mancata percezione dei redditi del soggetto interposto (Cass. n. 29228 del 20/10/2021; Cass. n. 5276 del 2022, cit. );
ciò posto, la CTR si è attenuta ai suindicati principi, avendo accertato, sulla base di plurimi e gravi elementi presuntivi, non solo che il COGNOME era l’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, ma anche che detta RAGIONE_SOCIALE era stata dal COGNOME creata ‘artificiosamente, a fini illeciti’ e ‘nel suo esclusivo interesse’, al fine di trarne un esclusivo vantaggio personale;
le suindicate censure mirano, quindi, ad ottenere, sotto l’apparente censura della violazione di legge, una nuova valutazione RAGIONE_SOCIALE
risultanze processuali, contrapponendo all’apprezzamento operato dal giudice di merito quello ritenuto più corretto dalla parte e sviluppando argomenti di mero fatto che non possono essere scrutinati in sede di legittimità;
i predetti motivi sono inammissibili anche per difetto di specificità ed autosufficienza, per quanto riguarda, in particolare, la asserita omessa valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze del procedimento penale e del suo esito, in quanto non indicano se e quando la sentenza penale sia stata depositata nei giudizi di merito e non specificano neppure gli estremi di detta decisione;
-il giudice di appello si è in ogni caso attenuto al principio dell’autonomia del processo tributario rispetto a quello penale , sulla base della normativa ratione temporis applicabile, indicando le ragioni per le quali ha ritenuto fondata la pretesa fiscale e la riconducibilità della stessa all’odierno ricorrente, secondo i parametri stabiliti in ambito tributario (p. 3 e 4 della sentenza);
il quarto motivo è poi inammissibile con riferimento alla questione dell’applicabilità dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, in quanto si tratta di questione nuova;
ed invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 9 agosto 2018, n. 20694; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712) e qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico
atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel ‘ thema decidendum’ del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass., 13 giugno 2018, n. 15430);
con il quinto motivo, lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 127 del TUIR e 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, per non avere la CTR correttamente applicato la disposizione di legge che pone il divieto di accertare due volte a carico dei soggetti la stessa imposta sulla base del medesimo presupposto, essendo il secondo atto impositivo illegittimo;
il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato il contenuto degli avvisi di accertamento nelle parti necessarie per comprendere la censura e per dimostrare di averla proposta fin dal ricorso introduttivo;
il ricorrente si è limitato, peraltro, ad eccepire la violazione del principio di doppia imposizione, senza nemmeno indicare quale fosse il medesimo presupposto d’imposta e senza considerare che gli atti impositivi impugnati riguardano imposte diverse;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna COGNOME NOME al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 10.700,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 30 aprile 2024