Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3752 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3752 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
Oggetto: IVA – costi -ine- renza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25508/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (EMAIL domiciliata presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3113/9/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, depositata il 4.4.2016, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, rigettava l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno n. 3329/10/2014 con la quale era stato parzialmente accolto il ricorso introduttivo proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in fallimento avverso un avviso di accertamento per IVA relativo all ‘ annualità 2009 con il quale veniva rettificato il credito dichiarato per “mancata inerenza” e conseguente indetraibilità delle spese sostenute dalla società ricorrente per i lavori di ristrutturazione del fabbricato destinato all’attività d’impresa.
I costi concernevano la ristrutturazione edilizia del fabbricato in Castellabate (SA) destinato allo svolgimento dell’attività di ricettività turistica’ dalla contribuente, dichiarata fallita nel novembre deli 2011. Con l’ avviso di accertamento l’Agenzia disconosceva la detraibilità dell’imposta armonizzata sul rilievo della non inerenza dei lavori all’attività d’impresa dell’appellata in ragione d ell’ avvenuta alienazione a terzi di parte del fabbricato in ristrutturazione e comunque genericità delle fatture e mancata dimostrazione dell’utilizzazione esclusiva dell’immobile e strumentalità rispetto all’impresa .
Il giudice d’appello confermava la decisione di primo grado, la quale aveva accolto il ricorso ad eccezione dell’IVA corrispondente ai costi per i lavori relativi alle unità immobiliari compravendute e dunque non adibite all’attività di impresa. Il giudice riteneva che la società avesse provato, con dati documentali, l’inerenza dei costi e, quindi,
dell’IVA corrispondentemente detratta in relazione ai lavori di ristrutturazione per la creazione di insediamento di attività ricettiva di case vacanza da concedere in locazione temporanea. I lavori oggetto di contratto di appalto ed eseguiti a spese della RAGIONE_SOCIALE erano risultati necessari per adattare l’immobile all’inizio dell’attività di ricettività turistica.
La società con il contratto di locazione prima e di comodato poi aveva avuto la disponibilità dell’intero fabbricato al fine di utilizzarlo come sede della propria attività commerciale.
Infine, alla luce della documentazione versata agli atti dalla contribuente, il giudice riteneva superabili le contestazioni dell’ufficio, in ordine alla genericità della documentazione contabile prodotta dalla contribuente e alla mancanza di idonea documentazione tecnica dell’immobile.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia , affidato ad un unico motivo, mentre la contribuente si è costituita in giudizio con controricorso che illustra con memoria ai sensi dell’ art.380 bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con un unico motivo di ricorso, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art.19, comma 1, d.P.R. n.633/72, dell’art.21, comma 2, lett. g.), d.P.R. 633/72 nonché dell’art. 2697 cod. civ. da parte della sentenza per aver illegittimamente affermato il diritto alla detrazione d ell’ IVA in assenza della dimostrazione da parte della contribuente dell’inerenza dei costi sostenuti con l’esercizio specifico dell’attività d’impresa dichiarata.
Il motivo è inammissibile sia, come eccepito in controricorso, per difetto di specificità, sia perché, attraverso lo schermo della violazione di legge in realtà censura la motivazione espressa dal giudice
in presenza di doppia conforme, ed è sostanzialmente diretto ad ottenere la rivalutazione del materiale probatorio.
2.1. Nell’incipit del ricorso si legge che per l’anno d’imposta 2009 l’Agenzia ha contestato alla società la non corretta contabilizzazione di n. 13 fatture, con correlata indetraibilità IVA e di e n. 5 note di credito con le quali erano state annullate operazioni imponibili.
E’ astrattamente condivisibile la prospettazione secondo cui, in merito ai profili IVA e all’onere probatorio, qualora dalle indicazioni contenute nella fatture non emerga in modo chiaro il collegamento del bene o del servizio reso alla attività economica del soggetto passivo il contribuente è onerato della prova della relazione strumentale, alla stregua del noto principio secondo cui, ai fini della detraibilità, l’articolo 19, comma 1, del d.P.R. 633/1972 richiede, oltre alla qualità di imprenditore dell’acquirente, anche l’inerenza del bene o servizio acquistato all’attività imprenditoriale. I principi, mutatis mutandis, valgono anche per gli storni operati con le note di credito risultando necessaria ai fini fiscali, anche in questo caso, una chiara esplicitazione del collegamento tra l’oggetto delle fatture e delle registrazioni originarie e l’oggetto della registrazione delle variazioni, ovvero la corrispondenza tra i due atti contabili.
2.2. Tuttavia, in concreto, in merito a ll’inerenza dei costi all’attività di impresa la CTR ha svolto una articolata motivazione compiendo approfondite valutazioni del quadro istruttorio, nei seguenti termini: «In sintesi l’Ente pubblico lamenta che le 13 fatture contabilizzate ed utilizzate in detrazione violerebbero i dettami dell’art. 21 del DPR 633/72, nonché le istruzioni contenute nella Circolare 45/E del 2005, in quanto peccherebbero di eccessiva genericità non consentendo di individuare con esattezza presso quali unità immobiliari sono avvenuti i lavori di ristrutturazione.
La società inoltre ha contabilizzato n. 5 note di credito con le quali sono state annullate operazioni imponibili quantificate in euro
162.500.00 ed IVA di euro 32.500.00; a tal proposito si -osserva che le note di credito nn. 2-3-4-5 non recherebbero il riferimento all’operazione principale come previsto dall’art. 26 del d.P.R. 633/72, ma la semplice descrizione nota a storno parziale fatturazioni precedenti, di conseguenza non sarebbe stata fornita documentazione attestante il perché del venir meno delle operazioni fatturate in precedenza.
Non sarebbe stato poi documentato il collegamento tra l’oggetto delle fatture e delle registrazioni originarie e l’oggetto della registrazione delle variazioni e pertanto non risulterebbe, in maniera inequivocabile, la corrispondenza tra i due atti contabili.
Con riferimento ai diversi immobili, per i quali la società in esame ha sostenuto ingenti costi di ristrutturazione e che risultano promessi in vendita, secondo l’appellante la società non avrebbe fornito, pur avendone l’onere, alcuna prova di inerenza all’esercizio d’impresa ovvero di utilizzazione esclusiva e di strumentalità rispetto all’impresa.
In merito ai lavori di ristrutturazione edilizia, il fabbricato sito in Santa Maria di Castellabate risultava essere stato sottoposto ad importanti lavori edili, senza che venissero mai esibiti gli elaborati tecnici a firma del progettista di COGNOME Mario da cui sì potesse rilevare il valore delle singole opere; al riguardo, in sede di adesione per l’anno 2007 e 2008 veniva esibito un solo computo metrico inerente il piano n. 4 dell’immobile per l’importo pari ad euro 47.092,80, mentre non venivano esibiti gli altri computi metrici ma soltanto schede inerenti gli stati di avanzamento lavori prive di qualsivoglia riferimento alle unità immobiliari interessate.
Il Collegio ritiene che la società RAGIONE_SOCIALE ha provato, con dati documentali, l’inerenza dei costi e, quindi dell’iva corrispondentemente detratta in relazione ai lavori di ristrutturazione per la
creazione di insediamento di attività ricettiva di case vacanza da concedere in locazione temporanea.
I lavori oggetto di contratto di appalto ed eseguiti a spese della RAGIONE_SOCIALE erano risultati necessari per adattare l’immobile all’inizio dell’attività di ricettività turistica.
La RAGIONE_SOCIALE con il contratto di locazione prima e di comodato poi aveva avuto la disponibilità dell’intero fabbricato al fine di utilizzarlo come sede della propria attività commerciale. Dal contratto di comodato gratuito prodotto agli atti, nel momento in cui non vengono menzionati né il numero delle unità immobiliari né il numero dei piani, si evince che l’oggetto è costituito dall’intero fabbricato da destinare all’attività d’impresa che si andava ad intraprendere, indentificato nel cespite sito in Castellabate, INDIRIZZO INDIRIZZO, tra INDIRIZZO e INDIRIZZO distinto in Catasto al foglio 20, mappali nn. 8 e 303.
È pacifico che anche il contratto di appalto stipulato con la ditta “RAGIONE_SOCIALE ha avuto ad oggetto i lavori di completamento dell’intero immobile; così come l’oggetto del permesso a costruire n. 2076 del 7.01.2003 risulta essere le opere di ristrutturazione edilizia dell’intero fabbricato “de quo”.
Solo successivamente alla stipula del contratto d’appalto, nel corso dell’anno 2008. erano stati alienati tre appartamenti mansardati ubicati al quarto piano della struttura immobiliare (come dimostrato dagli atti di vendita presenti nel fascicolo).
Quindi, quando nel giugno dell’anno 2009 la RAGIONE_SOCIALE aveva iniziato la propria attività d’impresa utilizzava la totalità delle unità immobiliari a disposizione, ad eccezione dei tre appartamenti del quarto piano che in precedenza erano stati venduti.
In sintesi, la struttura aziendale si componeva di otto appartamenti da affittare per i soggiorni turistici.
In ordine alla eccessiva genericità del contenuto descrittivo delle fatture emesse dalla ditta appaltatrice e dalla mancanza di documentazione tecnica che potesse consentire tale imputazione delle spese sostenute, si osserva che, come sostenuto in sede di controdeduzioni dalla società, le fatture in questione riportano il riferimento al contratto d’appalto e agli atti d’autorizzazione concessi per l’eseguimento delle opere di ristrutturazione, mentre non vi è il riferimento ai lavori eseguiti nei singoli appartamenti in quanto: le opere di completamento appaltate alla ditta RAGIONE_SOCIALE avevano ad oggetto l’intero fabbricato e non porzioni dello stesso; i lavori sono stati fatturati sulla base degli stati di avanzamento dei lavori (presenti nel fascicolo de quo) che, stante la natura delle opere da eseguire, non hanno comportato una modalità di esecuzione cronologicamente o sistematicamente separata per le singole unità immobiliare, ma uno svolgimento delle opere di ristrutturazione per tipologia di lavoro (quali ad esempio i lavori di impiantistica in tutti gli appartamenti e nelle parti comuni, la pavimentazione, lavori di suddivisione interna e rifiniture) riferite a tutte le unità -immobiliari del fabbricato, quindi gli stati di avanzamento dei lavori e le successive fatture oggetto di contestazione venivano emesse a seguito del completamento di tali lavori senza alcun riferimento alle singole unità immobiliari.
In merito alla mancanza di documentazione tecnica dalla quale si potesse rilevare il valore delle singole opere, il Collegio rileva che dalla documentazione prodotta dalla società, in particolare dagli stati di avanzamento, si evincono in modo chiaro ed inconfutabile sia le opere di ristrutturazione gradualmente effettuate e sia il valore degli interventi edilizi di volta in volta realizzati.
Tra la documentazione messa a disposizione di questa Commissione, vi è poi il documento denominato stato di avanzamento lavori n.20 bis che ha ad oggetto la descrizione e la quantificazione delle opere
eseguite sugli appartamenti denominati A B e C del piano quarto mansardato che sono stati venduti nel corso dell’anno 2008. In particolare, le spese in esso riportate ammontano a: appartamento A (venduto con atto del 25.06.2008) spese complessive pari ad euro 19.7355,46 di cui euro 16.446,22 per imponibile ed euro 3.289,24 per Iva; appartamento B (venduto con atto del 28.07.2008) spese complessive pari ad euro 17.628255 di cui euro 14.690,46 per imponibile ed euro 2.938,09 per Iva; appartamento C (venduto con atto del 24.06.2008) spese complessive pari ad euro 9.729,22 di cui euro 8.107,68 per imponibile ed euro 1.621.54.
Tale documento consente di quantificare per diminutio le spese inerenti l’attività d’impresa.».
2.3. A fronte di tale articolata motivazione che valuta il quadro probatorio con argomentazioni logiche la ricorrente non riproduce neppure le fatture e le note di credito in questione, né l’avviso di accertamento, non mettendo la Corte nelle condizioni di apprezzare la decisività della censura.
Inoltre, sotto lo schermo della violazione di legge, il mezzo di impugnazione censura l’apprezzamento della prova da parte del giudice d’appello attraverso l’ articolata motivazione.
Il motivo, sostanzialmente motivazionale, è così anche inammissibile per doppia conforme con riferimento al reale paradigma processuale sotteso al motivo, che introduce un vizio motivazionale, alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5
dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in favore in Euro 5.900 per compensi, oltre 200 Euro per spese borsuali, Spese generali 15%, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.12.2024