Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27854 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27854 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15106/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO. COGNOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALE) unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO RAGIONE_SOCIALE ROMAGNA n. 340/2024 depositata il 15/04/2024. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/05/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CGT, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello della contribuente, con la conferma della decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso avvero l’avviso di accertamento IMU 2016;
la contribuente società ricorre in cassazione con quattro motivi di ricorso integrati da successiva memoria;
il Comune replica con controricorso, come integrato da memoria, e chiede il rigetto del ricorso in quanto infondato;
la Procura generale della Corte di cassazione, sostituto procuratore generale NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, ribadite in udienza, per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso e di rigetto per gli altri motivi;
Le parti presenti si riportano alle conclusioni dei propri atti.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e deve respingersi con la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, con il raddoppio del contributo unificato.
Con il primo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (art. secondo comma, d. lgs. n. 504 del 1992, art. 36, d. lgs. 58 del 1998) per insussistenza del presupposto impositivo in capo alla ricorrente.
Per la ricorrente solo il fondo comune di investimento deve rispondere del pagamento dell’IMU sugli immobili; la società di RAGIONE_SOCIALE del fondo immobiliare (RAGIONE_SOCIALE) non è soggetto passivo dell’imposta che deve essere pagata dal Fondo immobiliare.
I fondi comuni di investimento sono privi di un’autonoma soggettività giuridica: «I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliare chiusi), disciplinati nel d.lgs. n. 58 del 1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica, ma costituiscono patrimoni separati della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile che ne è oggetto deve essere intestato alla società promotrice o di RAGIONE_SOCIALE la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia» (Cass. Sez. 1, 08/05/2019, n. 12062, Rv. 653911 -01; vedi anche Cass. Sez. 2, 18/03/2025, n. 7201, Rv. 673998 – 01).
Come logica conseguenza la società di RAGIONE_SOCIALE è tenuta a pagare l’Imu: «I fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliari chiusi), disciplinati dal d.lgs. n. 58 del 1998 e succ. mod., non sono soggetti passivi dell’imposta municipale gravante sugli immobili che ne fanno parte, in quanto detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni separati della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio, la quale è tenuta al pagamento dell’IMU» (Cass. Sez. 5, 09/03/2023, n. 7116, Rv. 667341 -01; vedi anche Cass. Sez. 5, 22/12/2024, n. 33895, Rv. 673261 – 01).
1. Anche nell’ipotesi di liquidazione giudiziale del fondo sarebbe tenuta al pagamento la società (vedi Sez. 5, 09/03/2023, n. 7116, Rv. 667341 -01, in termini).
La decisione di questa Corte, Sez. 5, 12/06/2024, n. 16285, Rv. 671514 -01, non sposta il termine del problema in quanto la stessa espressamente riguarda solo l’IVA e non anche i tributi locali: «Bisogna, peraltro, verificare se una soluzione formalistica di tal fatta possa essere utilizzata anche per l’IVA. L’analisi normativa e giurisprudenziale che segue dimostrerà il contrario».
La decisione, quindi, non si pone in contrasto con le altre in materia di tributi locali.
Neanche la ratio della decisione può ritenersi decisiva per mutare orientamento sui tributi locali, in particolare l’IMU.
La società di RAGIONE_SOCIALE risponde nei limiti del patrimonio del fondo. Solo questo è il limite, che nel caso in giudizio non viene neanche prospettato come impedimento al pagamento.
Per l’art. 36, quarto comma, d. lgs. N. 58 del 1998 « Ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la RAGIONE_SOCIALE risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di RAGIONE_SOCIALE del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti».
È la società di RAGIONE_SOCIALE, quindi, che risponde delle obbligazioni (peraltro è intestataria degli immobili e questo già sarebbe sufficiente per l’imu) e non il fondo che non ha personalità giuridica ; responsabilità nei limiti del patrimonio del fondo. Limiti, che, si ribadisce, nel caso in giudizio non sono stati prospettati quale impedimento all’adempimento dell’obbligazione tributaria , per gli anni in oggetto.
Solo un superamento dei limiti del patrimonio del fondo potrebbe giustificare una impossibilità di adempiere.
Un raffronto tra i fondi comuni e i patrimoni separati, destinati ex art. 2447-bis cod. civ. (« Qualora la deliberazione prevista
dall’articolo 2447-ter non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Resta salva, tuttavia, la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito») conferma che i beni del fondo di investimento sono una porzione separata della SGR; la separazione rileva solo in sede esecutiva, ma obbligata è solo la società di RAGIONE_SOCIALE. In particolare, per l’IMU, essendo lei formalmente l’intestataria dell’immobile, come sopra visto.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. (art. 5, d. lgs. n. 504 del 1992), per il valore venale del fondo determinato in maniera non conforme ai criteri di legge.
Il motivo risulta proposto (formalmente per il n. 3, dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.) ma concretamente (ed anche espressamente) per il n. 5, dell’art. 360, cod. proc. civ. in quanto nel motivo si richiama la norma (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e poi si prospetta che «Dette considerazioni sono del tutto state travisate dai giudici di secondo grado, nonostante le sopra riportate circostanze oggetto di discussione tra le parti, siano chiare ed evidenti, e in quanto tali non merite vole dell’omesso esame operato nella sentenza di cui si chiede la riforma».
In presenza di una doppia conforme di merito risulta inammissibile il ricorso ex art. 360, primo comma, N. 5 cod. proc. civ.: «Nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Sez. 3 – , Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023, Rv. 667202 – 01).
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta violazione di legge rilevante ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 e 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., art. 118, disp. Att. Cod. proc. civ. e art. 36, d. lgs. 546 del 1992).
Il motivo risulta ammissibile in quanto non può ritenersi una pronuncia implicita (come prospettato nelle controdeduzioni) o pronuncia assorbita, nella motivazione, su altri aspetti. Il tema delle sanzioni era stato specificamente sollevato nell’appello. La sentenza di appello nulla dice sui motivi di appello, nonostante la decisione di primo grado aveva motivato sul rigetto del motivo sulle sanzioni.
La contribuente effettuava un parziale pagamento (la somma richiesta, infatti, è, pacificamente, per una differenza di imposta).
La sanzione del 100 % dell’imposta evasa risulta conforme a legge.
L’art. 14, come modificato dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, nella parte che qui rileva, ponendo una evidente graduazione delle sanzioni sulla base della gravità delle violazioni, prevede: «1. Per l’omessa presentazione della dichiarazione o denuncia si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento del tributo dovuto, con un minimo di lire centomila.” 2. Se la dichiarazione o la denuncia sono infedeli si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della maggiore imposta dovuta. 3. Se l’omissione o l’errore attengono ad elementi non incidenti sull’ammontare dell’imposta, si applica la sanzione amministrativa da lire centomila a lire cinquecentomila. La stessa sanzione si applica per le violazioni concernenti la mancata esibizione o trasmissione di atti e documenti, ovvero per la mancata restituzione di questionari nei sessanta giorni dalla richiesta o per la loro mancata compilazione o compilazione incompleta o infedele».
Ciò premesso, questa Corte, con valutazione da cui non vi è ragione di discostarsi, ha chiarito che: – «L’inosservanza dello
specifico obbligo di facere (“dichiarare”; “denunciare”) nel termine fissato, imposto dalla norma, evidenzia una condotta inadempiente del comportamento attivo richiesto, quindi un comportamento omissivo del soggetto passivo, e connota la violazione di quell’obbligo sanzionata dal successivo art. 14»; «Dalla lettura sistematica dei vari commi si evince che la ratio di tale graduazione è quella di prevedere la massima sanzione, in misura uguale o pari al doppio dell’imposta evasa, in presenza di una omessa dichiarazione cui si colleghi l’omesso versamento integrale del dovuto; la sanzione intermedia, in misura pari alla metà o uguale all’importo evaso, in caso di dichiarazione infedele che abbia inciso sulla determinazione e quindi sul versamento in difetto dell’imposta; la sanzione minima, in misura forfettaria tra un minimo e un massimo, nel caso in cui “l’omissione o l’errore” non abbiano inciso sulla determinazione dell’imposta, che si presuppone dunque versata nella misura dovuta» (così Cass., Sez. V., 9 giugno 2021, n. 16056; vedi anche Sez. 5, n. 35900 del 2023 ). Dunque, l’applicazione della massima sanzione (in misura uguale o pari al doppio dell’imposta evasa) opera in presenza di una omessa dichiarazione cui si colleghi l’omesso versamento integrale dell’imposta dovuta.
Alla stregua di tale principio, l’applicazione di una sanzione pari al 100% della somma non dichiarata, non si è posta in violazione della suindicata previsione normativa, il che giustifica il rigetto del motivo di ricorso. Infatti, il pagamento non è stato integrale, ma parziale; l’applicazione del minimo edittale deve ritenersi, quindi, conforme a legge.
5. Con il quinto motivo la ricorrente prospetta una violazione di legge rilevante ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (omessa pronuncia e violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, art. 112 e 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., art. 118, disp. Att. Cod. proc. civ. e art. 36, d. lgs. 546
del 1992) in relazione all’omessa pronuncia sulla questione della motivazione dell’avviso di accertamento.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato. La ricorrente prospetta la questione in maniera generica e teorica, senza trascrivere il contenuto dell’avviso di accertamento e prospettare la lesione dei suoi diritti di difesa.
«Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante “per relationem” ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento» (Cass. Sez. 5, 19/04/2013, n. 9536, Rv. 626383 – 01).
Inoltre, nel giudizio di appello quello che rileva è la motivazione della sentenza di primo grado, che deve essere contestata con i motivi di appello, e non l’avviso di accertamento.
La decisione di primo grado espressamente argomenta sulla motivazione dell’avviso di accertamento e l’appello, al pari del ricorso in cassazione, non contiene motivi specifici nei riguardi della motivazione della sentenza. La ricorrente ripropone in maniera teorica la questione: «Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice , senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio
espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un non motivo , come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.» (Sez. 1 – , Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018, Rv. 650919 – 01).
…
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27/05/2025. Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME NOME COGNOME NOME COGNOME