Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34872 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34872 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 27452/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 469/2020 depositata il 24/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il P.G. COGNOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso, assorbiti i restanti.
Sentiti l’Avv. NOME COGNOME per parte ricorrente e l’Avv. dello Stato NOME COGNOME per l’ Ufficio controricorrente i quali hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi
FATTI DI CAUSA
Con scrittura privata autenticata veniva data efficacia in Italia, agli effetti dell’art. 2470 c.c., al trasferimento dell’intero capitale sociale di una RAGIONE_SOCIALE italiana, la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), dalla RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) in favore della controllante RAGIONE_SOCIALE (di seguito: RAGIONE_SOCIALE), entrambe di diritto lussemburghese, per un valore di € 1.538.031.000,00 di cui € 1.100.000.000,00 a titolo di distribuzione di riserve disponibili ed € 438.031.000,00 a titolo di distribuzione dividendi; l’atto notarile veniva registrato con applicazione della sola imposta fissa.
Successivamente, in data 30 novembre 2016, la PILSA veniva incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE
In data 7 febbraio 2018 l’Agenzia delle Entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di liquidazione n. 2017/ORA000109, con il quale, ai sensi dell’art. 6 della Tariffa allegata al d.P.R. 131/86, veniva contestata l’omessa applicazione dell’imposta di registro nella misura dello 0,5% sul corrispettivo pattuito e dovuto a seguito della compensazione volontaria effettuata tra le parti nell’ambito dell’operazione di cessione di quote societarie.
4. La C.T.P. di Roma, a seguito dell’impugnazione del detto atto impositivo da parte della contribuente, con la sentenza 6959/20/2019, rigettava il ricorso evidenziando che: – appariva corretta la qualificazione degli atti presentati alla registrazione eff ettuata dall’ufficio ‘facendo esclusivo riferimento alla loro letterale portata’ a tenore dei quali era indubbio che l’operazione di cessione dell’intero capitale sociale della PFI, interamente posseduto dalla cedente PILSA alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE, fosse contestualmente qualificabile come ‘compensazione delle rispettive ragioni di credito e di debito, intercorse fra le stesse’; – quanto ai presupposti della compensazione volontaria ex artt. 1241 e ss. c.c., dall’esame dell’atto di cessione di quote in atti si evinceva che la reale intenzione delle parti era stata esattamente quella di procedere all’assegnazione alla cessionaria e ricorrente RAGIONE_SOCIALE di tutte le quote della società RAGIONE_SOCIALE, possedute dalla società cedente ed a fronte di detto beneficio la società cessionaria aveva rinunciato ad alcuni crediti da essa vantati nei confronti della società cedente, costituiti da utili da distribuire e da riserve in natura, del valore complessivo di € 1.538.031.000,00; – era evidente che l’intento perseguito dalle parti fosse duplice e cioè, da un lato, realizzare una cessione di quote, da assoggettare all’imposta di registro a tassa fissa ai sensi dell’art. 11 della Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 e dall’altro procedere, altresì, a compensazione delle contrapposte ragioni di debito e credito da assoggettare all’ulteriore imposta di registro nella misura dello 0,50 %, ai sensi dell’art. 6 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986′; – era stata la società ricorrente ad errare nell’autoliquidazione dell’imposta di registro dovuta per l’atto di cessione di quote, sicchè l’ulteriore imposta di registro applicata dall’ufficio era da qualificare, pur sempre, come imposta principale, con conseguente legittima applicazione delle sanzioni da parte dell’Agenzia delle entrate.
Proposto appello la C.T.R. del Lazio, con la sentenza n. 469/8/2020, confermava la correttezza della decisione di primo grado sia pure adottando un dispositivo erroneo che dava luogo ad un procedimento di correzione di errore materiale, profilo quest’ul timo che, in questa sede, comunque non rileva.
Avverso detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE società di diritto lussemburghese incorporante la RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati con successiva memoria ex art. 378 c.p.c.
L’ Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 4 lett. d) della Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. 131/1986 e dell’art. 2470 c.c., per avere l’ufficio applicato l’impos ta proporzionale ad una fattispecie sottoposta a sola imposta fissa, per incompatibilità dell’imposta proporzionale con la natura unitaria dell’atto e con il regime di alternatività IVA nonchè per incoerenza della tassazione proporzionale rispetto al carattere meramente ripetitivo degli accordi esteri dell’atto registrato.
Ha dedotto che erroneamente la C.T.R., pur avendo ammesso trattarsi di assegnazione di quote -inquadrando l’avvenuto trasferimento nell’ambito del rapporto sociale – aveva, poi, disatteso il dettato dell’art. 4 della Tariffa Parte Prima allegata al TUR, c he assoggetta all’imposta di registro in misura fissa le operazioni sul capitale (in denaro e in natura) nell’ambito dei gruppi societari (come richiesto dalle direttive sulla raccolta di capitali). Ha osservato, altresì, che trattandosi di un’assegnazione di partecipazioni, l’operazione rientrava pacificamente nel campo di applicazione dell’IVA (sebbene territorialmente non rilevante in Italia) e la compensazione per il pagamento del corrispettivo -ove mai vi fosse
stata -non assumeva mai rilevanza ai fini dell’imposta di registro, in ossequio al c.d. principio di alternatività IVA-imposta di registro consacrato nell’art. 40 TUR. in quanto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 4), del d.P.R. n. 633/1972, sono esenti da IVA -tra le altre -‘le operazioni relative ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e a quote sociali’ mentre l’art. 40 del TUR, invece, stabilisce che: ‘Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa. Si considerano soggette all’imposta sul valore aggiunto anche le cessioni e le prestazioni tra soggetti partecipanti a un gruppo IVA, le cessioni e le prestazioni per le quali l’imposta non è dovuta a norma degli articoli da 7 a 7septies del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (…)’: pertanto, diversamente, si sarebbe verificata una doppia imposizione generata da due diversi tributi, una prima volta con l’applicazione dell’IVA all’operazione e una seconda volta con l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale derivante dalla compensazione quale modalità di pagamento del corrispettivo, ipotesi vietata dalla normativa IVA europea. Ha assunto, ancora, che la C.T.R. aveva omesso di considerare che l’atto registrato si qualificava espressamente come esecutivo di accordi già presi all’estero (comprovanti la assegnazione di quote che la stessa C.T.R. riconosceva essere avvenuta) e trovava la sua ragion d’e ssere nell’art. 2470 c.c., che impone il deposito dell’atto di trasferimento presso il registro delle imprese, non potendovi, dunque, esservi alcun dubbio che l’effetto traslativo del bene a titolo di distribuzione di riserve e dividendi si era già perfezionato in base al diritto lussemburghese e per effetto delle delibere consiliari, con la conseguenza che, certamente, non poteva sostenersi che dall’atto, posto in essere ex art. 2740 c.c. e dichiaratamente ‘ripetitivo’ della transazione estera, potevano discendere conseguenze giuridiche ulteriori rispetto alla distribuzione mediante assegnazione totalitaria
di partecipazioni italiane, diversamente si sarebbe venuta a creare una sovrastruttura negoziale per farne scaturire effetti compensativi riconducibili a presunte obbligazioni preesistenti.
Con il quarto motivo -da esaminare congiuntamente al primo motivo, in quanto con lo stesso strettamente connesso -la contribuente ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 20 TUR per aver attribuito rilevanza al la novellazione della disposizione de qua in relazione al costante riferimento, nella stessa, agli effetti giuridici desumibili dall’atto registrato, elemento questo privo di rilievo alcuno in quanto l’intrinseca natura, gli effetti concreti dell’atto e la volontà delle parti univocamente portavano a qualificare l’atto come di semplice assegnazione in natura a titolo di distribuzione di riserve e dividendi, non sussistendo alcuna forma di compensazione dal momento che non sussistevano crediti reciproci.
Ad avviso di questa Corte le censure formulate con tali motivi sono da ritenere fondate.
Va premesso che, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, con l’atto in questione è intervenuta, nell’ambito di un rapporto sociale infragruppo, l’assegnazione alla cessionaria e ricorrente RAGIONE_SOCIALE di tutte le quote della società RAGIONE_SOCIALE possedute dalla società cedente RAGIONE_SOCIALE per un valore complessivo di € 1.538.031.000,00 di cui euro di cui € 1.100.000.000,00 a titolo di distribuzione di riserve disponibili ed € 438.031.000,00 a titolo di distribuzione dividendi.
4.1. Secondo la tesi dell’ufficio, fatta propria dalla C.T.R., tale atto avrebbe avuto un duplice effetto: da un lato avrebbe determinato un trasferimento di quote societarie e, sotto altro profilo, avrebbe implicato una compensazione volontaria tra crediti e debiti reciproci delle società, parti del negozio. In particolare la compensazione volontaria, ritenuta tassabile ai sensi dell’art. 6 della Tariffa, è stata ravvisata sul presupposto che due sarebbero stati i rapporti obbligatori formalizzati nell’att o de quo , l’uno consistito nella
distribuzione degli utili e delle riserve disponibili dalla PILSA in favore della PFECH e l’altro costituito dall’obbligazione di pagamento del corrispettivo da parte di PFECH a PILSA in virtù dell’atto di cessione delle quote in discussione, cosicché l’at to avrebbe implicato la definizione delle reciproche e contrapposte pretese e posizioni debitorie tra due soggetti, secondo lo schema di cui agli artt. 1241 e 1252 c.c.
5. In primo luogo deve escludersi che l’operazione in questione sia assoggettabile ad IVA. Sul punto, appare necessario richiamare quanto affermato dalla Corte giust. (causa C-502/17) la quale, ha precisato: … « …… affinché un’operazione di cessione di azioni possa rilevare nell’ambito di applicazione dell’IVA, è necessario che tale operazione, in linea di principio, abbia la sua causa esclusiva diretta nell’attività economica imponibile della società controllante di cui trattasi o che costituisca il prolungamento diretto, permanente e necessario di siffatta attività. L’ipotesi in parola ricorre quando detta operazione è effettuata al fine di destinare il risultato della cessione in parola direttamente all’attività economica imponibile della società controllan te di cui trattasi o all’attività economica esercitata dal gruppo di cui essa è la società controllante. 39. Nel presente caso, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che l’obiettivo della cessione di azioni di cui trattasi nel procedimento principale era di utilizzare il risultato della menzionata cessione per pagare i debiti dovuti alla RAGIONE_SOCIALE, nuova proprietaria del gruppo RAGIONE_SOCIALE. Una siffatta cessione, com’è stato esposto al punto precedente, non può essere considerata né come un’operazio ne che ha la sua causa esclusiva diretta nell’attività economica imponibile della RAGIONE_SOCIALE né come un’operazione che costituisce il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività economica imponibile di tale società. In circostanze del genere, detta cessione non costituisce un’operazione consistente nel trarre redditi aventi carattere di
stabilità da attività che esula dall’ambito della mera vendita di azioni e non rientra, di conseguenza, nell’ambito di applicazione dell’IVA ». 5.2. Questa Corte, con la pronunzia n. 5156/2021, ha sottolineato -con argomentazioni pienamente condivisibili che in questa sede possono essere richiamate – che, con specifico riferimento alla questione se la cessione di partecipazione azionaria possa essere considerata o meno fuori campo IVA, la Corte giust., con la citata pronunzia, ha chiarito che il mero acquisto e la mera detenzione di azioni non costituiscono, di per sé, un’attività economica ai sensi della direttiva 2006/112, che conferisce al soggetto che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo, dato che tali operazioni non comportano lo sfruttamento di un bene volto alla produzione di introiti aventi carattere di stabilità, dal momento che l’unico reddito risultante da dette operazioni è costituito dall’eventuale profitto al momento della vendita delle azioni di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 28 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 ottobre 2018, Ryanair, C249/17, punto 16). La Corte Giust. ha, quindi, affermato che solo i versamenti che costituiscono il corrispettivo di un’operazione o di un’attività economica sono inclusi nell’ambito di applicazione dell’IVA, il che non vale per i versamenti risultanti dalla semplice proprietà di un bene, come i dividendi o altri profitti derivanti dalle azioni (sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 29 e giurisprudenza ivi citata) e che ciò non vale, tuttavia, qualora la partecipazione finanziaria in un’altra società sia accompagnata da un’interferenza diretta o indiretta nella gestione della società in cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni, fatti salvi i diritti che il soggetto che effettua la partecipazione detiene nella sua qualità di azionista o socio, ove siffatta interferenza implichi il compimento di operazioni soggette all’IVA ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2006/112, quali la prestazione di servizi amministrativi, contabili e informatici (v., in tal senso, sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-
29/08, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). Risulta, peraltro, dalla giurisprudenza unionale che le operazioni relative ad azioni o partecipazioni in una società rientrano nella sfera di applicazione dell’IVA quando vengono effettuate nell’ambito di un’attività commerciale di negoziazione di titoli, al fine di realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società in cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni, o quando costituiscono il prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile (sentenza del 29 ottobre 2009, SKF, C-29/08, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
5.3. Conseguentemente, solo entro certi limiti, l’attività di acquisizione di partecipazioni azionarie può costituire un’attività economica rilevante ai fini IVA, cioè solo laddove la stessa è svolta per realizzare un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società di cui si è realizzata l’acquisizione di partecipazioni o quando costituisce ‘il prolungamento diretto, permanente e necessario, dell’attività imponibile’. Non risultando che l’attività di cessione delle partecipazioni azionarie in questione possa essere ritenuta “prolungamento diretto permanente e necessario dell’attività imponibile” correlata alla attività di gestione della società cedente può, dunque, affermarsi che l’operazione in questione è estranea alla disciplina IVA, contrariamente a quanto prospettato in ricorso con il primo motivo dalla società contribuente.
Fatti tali premesse occorre precisare che la disciplina del trattamento tributario, ai fini dell’imposta di registro, degli atti societari è affidata alla previsione di quattro articoli del Testo Unico sull’imposta di registro (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). E precisamente: – l’art. 4, che disciplina le operazioni di società ed enti esteri; – l’art. 50, che detta i criteri di individuazione della base imponibile; – l’art. 4 della Tariffa, Parte Prima, che fissa le aliquote di imposta applicabili alle varie fattispecie; – l’art. 9 della Tabella, che sancisce espressamente l’esenzione dall’obbligo della
registrazione per gli atti societari diversi da quelli indicati nell’art. 4 della Tariffa, Parte prima, così regolamentando il principio della tassatività dell’elencazione ivi contenuta. Va ricordato che l’art. 10, comma 1, lett. a), della legge finanziari a per l’anno 2000 (legge 23 dicembre 1999, n. 488) ha completamente ridisegnato il trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di registro, degli atti societari nonché di quelli degli enti diversi dalle società aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole. In particolare, una serie di modifiche apportate alla disposizione tariffaria di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), della legge di registro, ha segnato il passaggio da una tassazione proporzionale con aliquota dell’1% ad un’imposizione in misura fissa per tutti gli atti ivi indicati ed, in tal modo, mentre sono rimaste immutate le imposte dovute per i conferimenti di beni immobili e di unità da diporto, è stata variata l’imposta dovuta per i conferimenti di aziende o complessi aziendali, di denaro e beni mobili nonché per gli aumenti di capitale derivanti dalla conversione di obbligazioni in azioni o passaggio di riserve. La stessa riduzione di imposta (dall’1% alla tassa fissa) è stata prevista per le regolarizzazioni di società di fatto derivanti da comunione ereditaria di azienda, per le operazioni di società o enti esteri individuate dall’art. 4 del d.P.R. n. 131/1986 nonché per gli atti dei gruppi europei di interesse economico. Le predette modifiche hanno comportato la sostituzione dell’art. 50 del citato decreto in seguito alla quale il nuovo sistema impositivo, prevedendo l’imposta in misura fissa per i conferimenti effettuati in contanti o con l’apporto di beni mobili, non necessita più di individuare la base imponibile se non per i conferimenti di immobili o diritti reali immobiliari.
6.1. Tale modifica normativa, implicante l’abolizione di ogni forma di imposizione proporzionale sulle operazioni societarie, compresi i conferimenti e le assegnazioni ad essi speculari, è l’effetto delle direttive europee sulla raccolta di capitali (vedi direttiva n. 2008/7/CE), cui lo Stato italiano si è adeguato pienamente a partire
alla citata legge, ridisegnando la disciplina nazionale di cui alle disposizioni richiamate con il chiaro obiettivo di favorire il rilancio degli investimenti ed il raggruppamento di imprese, ipotesi all’evidenza realizzatasi nella fattispecie in esame.
6.2. Il regime d’imposizione agli effetti delle imposte indirette della vicenda giuridica come sopra individuata è, quindi, interessato appieno dalla menzionata direttiva 2008/7/CE e dalla precedente direttiva 69/335/CEE. Invero, l’articolo 1 della direttiva 2008/7/CE disciplina l’applicazione delle imposte indirette, fra gli altri, pure nei casi di: “a) conferimenti di capitale a società di capitali”. Inoltre, le lett. a) e c) dell’articolo 4, par. 1, della direttiva 69/335/CEE e l’articolo 3 della direttiva 2008/7/CE includono nell’elenco delle operazioni ad esse soggette, fra l’altro, anche “la costituzione di una società di capitali”, nonché “l’aumento di capitale di una società di capitali mediante conferimento di beni di qualsiasi natura”. L’articolo 5 della direttiva 2008/7/CE stabilisce che “Gli Stati membri non assoggettano le società di capitali ad alcuna forma di imposta indiretta per le operazioni seguenti: a) conferimenti di capitale”. L’art. 5 sancisce, con norma inderogabile, che gli Stati membri non assoggettano ad alcuna forma di imposta indiretta sia i conferimenti di capitale, ossia le operazioni di cui al citato art. 3, sia le operazioni di ristrutturazione di cui all’art. 4 della medesima direttiva.
6.3. Dalla esposta evoluzione della normativa europea in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali, dunque, si evince chiaramente il favore della normativa unionale a ridurre quanto più possibile detta imposizione, in quanto considerata di ostacolo alla realizzazione degli obiettivi primari dell’Unione europea e, in particolare, come sopra detto al raggruppamento e allo sviluppo delle imprese, che invece sono fondamentali per il rilancio degli investimenti.
6.4. A tale proposito il legislatore ha dovuto conciliare l’esigenza di tassare tali trasferimenti con il rispetto dei vincoli dell’U.E. che
impediscono di duplicare la tassazione sui conferimenti iniziali in società ed enti con quella di evitare che, in assenza di una nuova ricchezza, la gravosa imposta proporzionale limiti il ricorso all’operazione vanificandone la ratio civilistica di strumento di continuità dei patrimoni destinati all’esercizio di attività economiche. Si è voluto impedire, dunque, che una tassazione proporzionale in aggiunta a quella giustificata dall’interesse alla data certa limiti il ricorso allo strumento trasformativo.
6.5. Appare opportuno richiamare l’interpretazione della citata direttiva fornita dalla Corte giust. che, con la sentenza del 9 ottobre 2014 relativa alla causa C-299/13, NOME COGNOME ha avuto modo di evidenziare come: « Occorre ricordare, in limine, come risulta dal preambolo della direttiva 69/335, che la direttiva 2008/7 ha sostituito a far data dal 1° gennaio 2009, che essa tende a promuovere la libera circolazione dei capitali, considerata essenziale per creare un’uni one economica con caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno. Il perseguimento di tale obiettivo presuppone, per quanto riguarda la tassazione della raccolta di capitali, la soppressione delle imposte intanto in vigore negli Stati membri e l’applicazione, al loro posto, di un’imposta riscossa una sola volta nel mercato comune e di pari livello in tutti gli Stati membri (v. sentenza RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-569/07, EU:C:2009:594, punto 28). A tal riguardo, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/7 vieta qualsiasi forma di imposta indiretta segnatamente sui conferimenti di capitale. Inoltre, il paragrafo 2, lettere a) e b), dello stesso articolo vieta agli Stati membri di assoggettare ad imposta indiretta, sotto qualsiasi forma, da un lato, la creazione, l’emissione, l’ammissione in borsa, la messa in circolazione o la negoziazione di azioni, di quote sociali o titoli della stessa natura, nonché di certificati di tali titoli, quale che sia il loro emittente, e, dall’altro, i pres titi, comprese le rendite, contratti sotto forma di emissione di obbligazioni o di altri titoli negoziabili, quale
che sia il loro emittente, e tutte le formalità ad essi relative. Del pari, nella sentenza Commissione/Belgio (EU:C:2004:450, punto 32), la Corte ha dichiarato che, benché l’articolo 11, lettera a), della direttiva 69/335, formulato in termini identici all’articolo 5, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/7, non menzioni espressamente il primo acquisto di azioni o il rilascio di titoli al portatore, ciò nondimeno autorizzare l’applicazione di un’imposta sul primo acquisto di un titolo di nuova emissione o sul rilascio di titoli al portatore all’atto della consegna materiale, che ha luogo nel contesto della loro emissione, equivarrebbe in realtà a tassare l’emissione stessa di un tale titolo in quanto parte di un’operazione globale per la raccolta di capitali. Risulta pertanto dalla giurisprudenza della Corte relat iva alle disposizioni dell’articolo 11 della direttiva 69/335, e in particolare dalle sentenze FECSA e ACESA (EU:C:1998:508), nonché Commissione/Belgio (EU:C:2004:450), che, conformemente agli obiettivi di detta direttiva, il divieto di assoggettare ad imposta le operazioni di raccolta capitali si applica ugualmente ad operazioni la cui tassazione non è vietata espressamente, nei limiti in cui questa tassazione significhi assoggettare ad imposta un’operazione che è parte di un’operazione globale per la racc olta di capitali. Tale interpretazione è trasponibile all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/7, il quale riprende, in termini identici, l’articolo 11 della direttiva 69/335». Risulta, quindi, chiara l’affermazione della possibilità di interpretare in modo estensivo le formule impiegate nella Direttiva 2008/7/CE, come desumibile anche dalla sentenza della Corte di giustizia, nella causa C-357/13 del 22 aprile 2015, RAGIONE_SOCIALE
Tanto rilevato occorre osservare, vertendosi in ipotesi assegnazione alla cessionaria e ricorrente RAGIONE_SOCIALE di quote societarie, che secondo le indicazioni dell’Agenzia delle entrate (vedi Circolare n. 18/E del 29 maggio 2013), in termini generali, per assegnazione al socio si intende la vicenda attributiva, in favore del medesimo, di
beni o diritti facenti parte del patrimonio societario sia in concomitanza del fatto estintivo del rapporto, sia in occasione di un fatto volontario o collegato ad esigenze di distribuzione, recesso, liquidazione della società. In tutti i casi elencati è tuttavia irrilevante, al fine di configurarsi l’evento ‘assegnazione’, il fatto che il socio riceva denaro o beni.
8. Orbene, proprio muovendo dal dettato dell’art. 20 del d.P.R. 131/86 richiamato dai giudici di merito (sia pure per arrivare a conclusioni non condivisibili) -disposizione che attribuisce prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici che l ‘atto portato alla registrazione è idoneo a produrre indipendentemente dal titolo, dalla forma apparente e da elementi extratestuali -appare evidente che l’atto in questione, inequivocabilmente, ha implicato una assegnazione in favore del socio di una partecipazione totalitaria quale forma di distribuzione di utili e di riserve disponibili in natura, trattandosi, quindi, di negozio giuridico unitario – ad esecuzione immediata -con obbligazioni delle parti strettamente e simultaneamente correlate.
8.1. Dal momento che l’istituto della compensazione postula l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti non può configurarsi alcuna compensazione volontaria non potendo, pertanto, operare il disposto di cui all’art. 1241 c.c. allorché, come nel caso di specie, non sussista la predetta autonomia di rapporti per avere origine i rispettivi crediti nell’ambito di un’unica relazione negoziale ancorché complessa.
8.2 Si tratta, dunque, di un atto societario che, sul piano impositivo, è assoggettato, secondo il combinato disposto dell’art. 4 lettera a) n. 5) e lettera d) della Tariffa Parte Prima, allegata al d.p.r. 131/1986, all’imposta fissa e non già quella proporzionale perché si traduce in una circolazione di azioni con l’obiettivo di finanziare la società, dovendosi escludere la sussistenza, accanto a tale effetto voluto dalle parti, di una compensazione volontaria ed in generale la
configurabilità di una disposizione patrimoniale suscettibile di integrare un definitivo trasferimento di ricchezza.
9. Occorre, peraltro, rilevare che, quanto alle riserve, è la medesima l’Agenzia ad affermare (punto 13) che le stesse, ossia il sovrapprezzo, sono strumento di finanziamento della società perché costituiscono ‘un ulteriore versamento di capitale effettuat o dall’azionista/acquirente (PFECH) rispetto a quello rappresentato dal valore nominale della partecipazione’; in sostanza PILSA crea la riserva per finanziare PFECH e PFECH fruisce del finanziamento. Al riguardo va sottolineato che questa Corte con la pronunzia n. 9523/01 ha, condivisibilmente, chiarito che poiché l’azione è anche la misura della partecipazione economica di ciascun socio al netto patrimoniale, se il patrimonio della società si è incrementato per l’accumulo di riserve, chi paga il sovrappre zzo contribuisce all’incremento del patrimonio. Vi è, quindi, aumento del capitale o patrimonio previsto dalla lettera a) dell’art. 4, compiuto mediante l’assegnazione di cui alla lettera d) dello stesso articolo (per l’affermazione del principio per cui un aumento di capitale sociale correlato ai conferimenti dei soci sottoposto, soggiace a tassazione fissa, vedi Cass. n. 23015/2024).
10. Sul piano del diritto unionale, vanno richiamati i principi fissati da Corte giust. (causa C-573/16, punti 30-32) ove viene affermato: ‘ 30. A tal proposito, va constatato che l’articolo 4 della direttiva 2008/7 riguarda le operazioni di ristrutturazione e non pare pertinente nell’ambito del procedimento principale. Devono allora essere oggetto di interpretazione gli articoli 10 e 11 della direttiva 69/335 nonché l’articolo 5 della direttiva 2008/7, che vietano, in particolare, qualsiasi forma di imposta indiretta sui conferimenti di capitale nonché sulla creazione, emissione, ammissione in borsa, messa in circolazione o negoziazione di azioni, di quote sociali o di altri titoli della stessa natura. 31. Discende chiaramente dalla giurisprudenza della Corte che, tenuto conto degli obiettivi perseguiti
da dette direttive, gli articoli 10 e 11 della direttiva 69/335 nonché l’articolo 5 della direttiva 2008/7 devono essere oggetto di un’interpretazione estensiva, per evitare che i divieti previsti da tali disposizioni siano privati di effetto utile (v., in tal senso, sentenze del 15 luglio 2004, Commissione/Belgio, C-415/02, EU:C:2004:450, punto 33; del 28 giugno 2007, NOME RAGIONE_SOCIALE, C-466/03, EU:C:2007:385, punto 39, nonché del 1 o ottobre 2009, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE C-569/07, EU:C:2009:594, punto 34). 32. La Corte ha quindi dichiarato che, conformemente agli obiettivi dell’articolo 11 della direttiva 69/335 e dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/7, il divieto di assoggettare ad imposta le operazioni di raccolta di capitali si applica ugualmente ad operazioni la cui tassazione non è vietata espressamente, nei limiti in cui questa tassazione significhi assoggettare ad imposta un’operazione che è parte di un’o perazione globale per quanto riguarda la raccolta di capitali (v., in tal senso, sentenza del 9 ottobre 2014, Gielen, C-299/13, EU:C:2014:2266, punto 24 e giurisprudenza ivi citata)». Quanto ai dividendi, la Corte giust. (nella causa C-49/91, punto 12) ha, poi, precisato: « 12 Tuttavia un trasferimento di utili non può essere trattato come un conferimento quando la società che riceve le somme trasferite detenga delle quote della società che le versa tali somme e, a questo titolo, abbia il diritto di riscuotere gli utili relativi a dette quote; una siffatta operazione deve infatti essere equiparata a una distribuzione di dividendi che, per natura, non può essere assoggettata all’ imposta sui conferimenti».
La C.T.R., pervero, pur avendo ammesso trattarsi di assegnazione di quote, inquadrando nell’ambito del rapporto sociale l’avvenuto trasferimento, ha, poi, disatteso il dettato dell’art. 4 della Tariffa parte prima allegata al TUR, che assoggetta all’im posta di registro in misura fissa le operazioni sul capitale (in denaro e in natura) nell’ambito dei gruppi societari. Risulta chiaro che i termini
dell’operazione, come accertati dalla sentenza impugnata (ovvero il trasferimento delle quote sociali come forma di distribuzione di dividendi e riserve), risultano totalmente incompatibili con l’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzio nale dello 0,5%, prevista per le compensazioni volontarie dall’art. 6 della stessa tariffa.
11.1. Invero l’operazione è avvenuta su presupposti diversi da quelli prospettati dal giudice di appello perché l’operazione unitaria venuta a giuridica esistenza -inidonea a dare luogo a reciproche posizioni di credito (e debito) suscettibili di rinuncia -è la distribuzione in natura ad effetto simultaneo immediato con contestuale e correlato trasferimento al socio di un bene identificato nelle partecipazioni, al valore esattamente corrispondente a quello degli utili e delle riserve. 11.2. Una diversa ‘lettura’ dell’atto (quale duplice negozio delle parti) -appare contraria all’intrinseca volontà dei contraenti trasfusa nell’atto in questione ontologicamente finalizzato, come già chiarito, a realizzare, nell’ambito di un rapporto so cietario, una distribuzione di riserve e dividendi a mezzo trasferimento di quote societarie, laddove proprio la configurazione di una ulteriore operazione intercorsa tra le due società, accessoria rispetto a quella principale» – inquadrabile quale ipotesi di compensazione volontaria – finirebbe per determinare una diversa qualificazione dell’atto, estranea alla
volontà negoziale.
Ciò considerato va rilevato che, per effetto dell’ accoglimento dei suindicati motivi, rimangono assorbiti gli altri, e segnatamente:
12.1. il secondo motivo in forza del quale parte ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 1243 c.c. nonché dell’art. 6 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131/1986 (‘TUR’) per avere i giudici di merito erroneamente applicato la disposizione sulla tassazione della compensazione, pur avendo accertato una fattispecie priva dei requisiti della compensazione e, comunque,
ignorando che trattavasi di ipotesi di compensazione legale. operante in automatico per l’esistenza di contrapposte ragioni che si estinguono, compensazione legale che secondo i pacifici orientamenti dell’Agenzia delle Entrate non dava luogo ad una autonoma tassazione;
12.2. il terzo motivo con il quale è stata dedotta, in via subordinata rispetto a tale ultimo motivo, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 1241, 1243 c.c. e 6 Tariffa Parte Prima TUR sotto altro profilo, vale a dire per aver i giudici di appello erroneamente applicato la disposizione sulla tassazione della compensazione a fattispecie di compensazione impropria;
12.3. il quinto motivo con cui la società contribuente ha lamentato, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’ art. 112 c.p.c. per avere la sentenza qualificato l’imposta come principale, diversamente da quanto dedotto dall’Agenzia delle entrate nell’atto impugnato e negli scritti difensivi;
12.4. il sesto motivo con il quale parte ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 42 TUR e dell’art. 3 -ter d.lgs. n. 463/1997 per avere i giudici di appello omesso la ricostruzione della disciplina giuridica dell’imposta principale che è dovuta dal notaio e non comporta applicazione di sanzioni;
12.5. il settimo motivo con cui è stata dedotta, ai sensi dell’art.360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 42 TUR e dell’art. 3 -ter d.lgs. n. 463/1997 non essendo stata qualificata l’imposta richiesta come suppletiva, ritenendo non verificabile un errore dell’ufficio nel sistema dell’autoliquidazione.
13. In conclusione in accoglimento del primo e del quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso originario.
14. La peculiarità e novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso originario. Spese integralmente compensate.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data 26 settembre 2024
Il Consigliere relatore La Presidente
(NOME COGNOME (NOME COGNOME