Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27017 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 27017 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6076/2022 R.G. proposto da:
NOME, in qualità di curatore del fallimento n. 101/2018 della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
NOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenteavverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 3680/2021
depositata il 21/07/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito Il P.G., nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito il difensori del Comune che ha insistito per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ impugnava l’avverso l’avviso di accertamento d’ufficio n. 174, protocollo n. NUMERO_DOCUMENTO dell’11 aprile 2018 -relativo all’imposta TASI per l’anno 2014, con cui Roma Capitale contestava il versamento solo parziale dell’imposta in relazione a determinate unità immobiliari, per un importo pari a € 34.993,64 sul rilievo che le unità immobiliari oggetto dell’atto impositivo fossero ormai giuridicamente sottratte alla piena disponibilità della società che ne era destinataria, in quanto sottoposte a provvedimenti di sequestro, acquisizione e ad ordini di demolizione emanati dallo stesso Ente impositore.
2.La CTP di Roma con sentenza n. 1206/13/2020, pronunciata il 10/12/2019 e depositata il 28/01/2020, rigettava il ricorso e compensava le spese di lite.
3.La predetta sentenza veniva così impugnata dalla società contribuente dinnanzi alla C.T.R. del Lazio, che, con sentenza n. 3680/2021, pronunciata il 12/07/2021 e depositata il 21/07/2021, riteneva infondato l’appello proposto dalla società e, per l’effetto, confermava l’avviso di accertamento impugnato condannandola al pagamento delle spese di lite.
4.Avverso la suddetta sentenza la curatela del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione fondandolo su quattro motivi.
Replica con controricorso il Comune di Roma.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
La prima censura, introdotta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deduce ; per avere il decidente trascurato di considerare che l’ordine di demolizione aveva sottratto agli immobili il valore commerciale e l’utilizzabilità, errando là dove si legge, nel tessuto argomentativo della sentenza impugnata, che l’iscrizione in catasto delle unità immobiliari era presupposto sufficiente unitamente alla disponibilità dei beni da parte del proprietario per legittimare la pretesa erariale del Comune. In altri termini, ad avviso della Curatela, in presenza dell’ordine di demolizione, ai fini TASI doveva essere considerata esclusivamente l’area di sedime. Aggiungendo che l’effetto traslativo delle opere abusive e dell’area di sedime si determina ipso iure alla scadenza del termine per ottemperare alla ingiunzione di demolizione.
Con il secondo mezzo di ricorso si deduce , lamentando l’erronea applicazione della normativa in materia, prospettando un’assimilazione dell’opera abusiva assoggettata ad ordine di demolizione al fabbricato in corso d’opera ovvero al fabbricato ricostruito, ristrutturato o restaurato che acquista rilevanza fiscale solo al momento della ultimazione dei lavori. La Curatela invoca l’applicazione dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 a mente del quale la base imponibile è costituita dal valore dell’area la quale è considerata fabbricabile senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera. Questo principio sarebbe assertivamente supportato dal d.lgs. n. 504/1992 (art. 5, comma 6), dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (sentenza n. 24799 del 2014) e da specifiche risoluzioni ministeriali (come la n. 29307 n. 11/DF dell’11 dicembre 2013). Pertanto, la tassazione dovrebbe avvenire sul valore dell’area, come dichiarato dalla contribuente, e non sulla rendita catastale degli immobili ‘ordinari’, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera.
3.Con il terzo strumento di ricorso, non meglio rubricato, si denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la decisione impugnata per errore di diritto originato dalla inadeguata valutazione dell’ingiunzione n. 1628/2012 emesso dal Comune di Roma a seguito della quale il possesso è divenuto precario, essendosi determinato l’effetto ablatorio che si determina ope legis per l’inottemperanza all’ordine di demolizione. Aggiungendo che il proprietario poteva disporre solo del diritto sull’area fabbricabile gravato dall’ordine di demolizione degli immobili abusivi. Ulteriore argomento a sostegno della quantificazione dell’imposta sulla base del solo valore dell’area fabbricabile.
4.Il quarto strumento di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo
per il giudizio e travisamento dei fatti nonché errore manifesto, lamentando l’erronea applicazione delle sanzioni, tenuto conto della incertezza normativa relativa alla interpretazione delle norme tributarie, ai sensi dell’art. 8 d.lgs.s. n. 546/1992.
La prima e la quinta censura sono inammissibili per violazione dell’art. 348-ter ultimo comma, c.p.c. stante il rigetto dell’appello statuito dalla Corte di merito e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo e di secondo grado, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 28.02.2023, n. 5947; Cass. del 20/09/2023, n. 26934; Cass. 12/05/2025, n. 12636).
5.1. In proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
In ogni caso, la censura, rubricata come omesso esame di un fatto decisivo, concernente l’incertezza normativa per avere la Risoluzione n. 395/e/2008 ritenuto che, nella fattispecie esaminata, si trattasse di area edificabile, è comunque infondata.
6.1. La risoluzione concerne la plusvalenza di una cessione di area ritenuta dall’amministrazione in quella particolare fattispecie sottoposta al suo esame – “un’area da considerarsi fabbricabile in quanto utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. L’obiettiva incertezza normativa non può dunque essere inferita da una risoluzione dell’amministrazione finanziaria in risposta ad un preciso quesito del contribuente relativa ad altra imposta e ad una differente fattispecie.
6.2. Per costante orientamento della Suprema Corte, «in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere -dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione» (così, da ultimo Cass. n. 15144 del 06/06/2025; Cass. n. 2604 del 29/01/2024; Cass. n. 10662 del 04/05/2018: Cass. n. 23845 del 23/11/2016; conf. Cass. n. 4522 del 22/02/2013; Cass. n. 3245 del 11/02/2013; Cass. n. 18434 del 26/10/2012). Sul decalogo non esaustivo degli indici interpretativi da cui desumere l’incertezza normativa si veda, ex plurimus, Cass. n. 21936 del 2 agosto 2024;Cass. 1/02/2019, n, 3108.
6.3. Nel caso in esame, parte ricorrente non ha neppure indicato le norme la cui incertezza l’hanno indotta a non dichiarare gli immobili
ed omettere il versamento della relativa imposta, designando esclusivamente, quale unico indice da cui inferire una generica incertezza normativa, la risposta data dall’Agenzia all’interpello, proposto ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000, in relazione alla cessione di fabbricati e terreni rientranti in un piano di recupero ai fini dell’accertamento delle plusvalenze ex art.67, comma 1, del TUIR, nonché l’incertezza discendente da una interpretazione non univoca delle disposizioni tributarie non meglio individuate.
6.4. In disparte l’eterogeneità dell’imposta e della fattispecie oggetto della risposta dell’ente finanziario, come ribadito da questa Corte, la risposta all’interpello fornita dall’Agenzia è vincolante solo ed esclusivamente nei confronti del soggetto che ha presentato l’istanza (Cass. 9719/2018) e non ha, quindi, un valore generale, non producendo effetti nei confronti di tutti gli altri contribuenti, né in casi analoghi relativi a soggetti diversi da chi ha proposto l’interpello (Cass. n. 8740/2021).
7. Il secondo mezzo di ricorso non ha pregio.
7.1.Come ripetutamente precisato dalla Corte, per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi, ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del r.d.l. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673). L’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio urbano costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione
dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924).
7.2. In particolare, questa Corte ha sottolineato che per considerare dei fabbricati inagibili/inabitabili, di fatto non utilizzati, si deve tener conto dei requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e quindi nello specifico gli immobili devono presentare un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023; Cass. n. 29966 del 19/11/2019). L’inagibilità (che consente la riduzione d’imposta) è correlata alla temporanea impossibilità di utilizzo dell’immobile e non va intesa come qualità giuridica superabile con il rilascio del certificato di abitabilità (secondo Cass. n. 5372/2009 «…il rilascio del certificato di abitabilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, del citato decreto, che si riferisce esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati»; conf. Cass. n. 12936/2019; Cass. n. 1955/2024).
7.3.D’altra parte, la riduzione dell’ ICI o dell’ IMU per la mancanza del certificato di abitabilità dei fabbricati, non trova fondamento in quanto tale certificazione non attesta alcuna agibilità, bensì l’idoneità igienico -sanitario tale da consentirne l’uso; l’imposta è, quindi, dovuta per il solo fatto che si sia provveduto
all’accatastamento, restando estranea alla sfera attinente al rapporto tributario tutto quanto afferisce alla effettiva abitabilità del bene stesso ovvero alle sue caratteristiche urbanistiche o igienicosanitarie.
7.4. Non possono, dunque, assimilarsi gli immobili affetti da difformità edilizia a quelli inagibili, come adombrato dalla società, esigendo, su tal inedito presupposto, una tassazione ridotta nella misura del 50%, in quanto la legge non richiede fra i presupposti dell’imposta la regolarità urbanistica dell’immobile né l’abitabilità dello stesso (Cass., 26 giugno 2025; Cass., 18/01/2024, n. 1955; Cass. 22.04.2024, n. 363; Cass. n. 21644; 3 maggio 2019, n. 11646 cit.; Cass., Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 5 marzo 2009, n. 5372; Cass., 15 aprile 2005, n. 7905), né la dedotta difformità urbanistica è equiparata dalla normativa di settore agli immobili inagibili.
8.Il terzo strumento di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
8.1. Osserva il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 c.p.c. (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Cass. 30/07/2024, n. 21346); siffatto onere, peraltro, sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei
ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte. Tali principi hanno ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali hanno affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007; Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008; Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011).
8.2.Rimane, in ogni caso, pur sempre fermo che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non sia interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022.
8.3.Nella violazione di tali principi deve ritenersi incorso il ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente
disatteso la valenza del provvedimento amministrativo di demolizione (ingiunzione n. 1628/2012) concernente cespiti di proprietà della società, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti la loro incidenza sull’imposta applicata, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti. Inoltre, l’esposizione deli fatti risulta essere sommamente generica ed assertiva, trascurando la curatela di indicare quali e quanti immobili identificati catastalmente di proprietà della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sono stati soggetti a tassazione ed incisi dalla citata ingiunzione, occorrendo, invece, che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ..
9.In definitiva, vanno dichiarati inammissibili il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso per cassazione, respinto il secondo.
Le spese del presente giudizio seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara l’inammissibilità del primo, del terzo e dell’ultimo motivo di ricorso, respinto il secondo mezzo.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune di Roma che liquida in euro 3.500,00 per compensi, 200,00 euro per esborsi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge;
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di cassazione del 17.09. 2025.
Il Consigliere rel.
NOME COGNOME
Il PRESIDENTE
NOME COGNOME