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Estinzione del giudizio: la Cassazione decide

Un ente di servizi alla persona e un comune, dopo aver presentato ricorso e controricorso in Cassazione avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale, hanno raggiunto un accordo. Sulla base della loro richiesta congiunta, la Suprema Corte ha dichiarato l’estinzione del giudizio, compensando le spese legali tra le parti. È stato inoltre chiarito che, in caso di estinzione per accordo, non è dovuto il versamento di un ulteriore contributo unificato.

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Estinzione del giudizio in Cassazione: Analisi dell’Ordinanza n. 34162/2024

L’estinzione del giudizio rappresenta una delle modalità con cui un processo può concludersi prima di giungere a una sentenza di merito. Ciò accade quando le parti, attraverso un accordo o una rinuncia, decidono di porre fine alla lite. L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio di questa dinamica, anche nel grado più alto della giurisdizione, confermando principi importanti in materia di spese legali e contributo unificato.

I fatti del caso: Dalla controversia alla conciliazione

La vicenda processuale ha origine da una controversia tra un Ente di Servizi alla Persona e un Comune. L’Ente aveva impugnato una sentenza della Commissione Tributaria Regionale, presentando ricorso per Cassazione. Il Comune, a sua volta, si era costituito in giudizio presentando un controricorso e un ricorso incidentale. Tuttavia, prima che la Corte potesse decidere nel merito, le parti hanno raggiunto una conciliazione, risolvendo la loro disputa in via stragiudiziale. Conseguentemente, hanno depositato un atto di rinuncia congiunto, chiedendo alla Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio e di compensare integralmente le spese legali.

La decisione della Corte sull’estinzione del giudizio

La Suprema Corte, presa visione della rinuncia sottoscritta da entrambe le parti, ha accolto la richiesta. Ai sensi dell’articolo 391 del codice di procedura civile, quando le parti rinunciano al ricorso, il processo si estingue. La Corte non entra nel merito della questione, ma si limita a prendere atto della volontà delle parti di porre fine al contenzioso. In linea con la richiesta formulata nell’atto di conciliazione, i giudici hanno disposto la compensazione integrale delle spese dell’intero giudizio, lasciando che ogni parte sostenesse i propri costi legali.

Contributo unificato: perché non è dovuto il raddoppio

Un punto di particolare interesse affrontato dall’ordinanza riguarda il cosiddetto “doppio contributo unificato”. L’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002 prevede che la parte che ha proposto un’impugnazione poi respinta, dichiarata inammissibile o improcedibile, sia tenuta a versare un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato iniziale. La Corte ha ribadito un principio consolidato: questa norma ha natura eccezionale e sanzionatoria. Pertanto, non può essere applicata per analogia a casi non espressamente previsti, come l’estinzione del giudizio per rinuncia o accordo. La sua funzione è punire l’abuso del processo, non disincentivare la risoluzione concordata delle liti. Di conseguenza, nessuna delle parti è stata condannata al pagamento di tale somma aggiuntiva.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte sono lineari e si fondano su due pilastri. Il primo è il rispetto della volontà delle parti: la conciliazione e la successiva rinuncia sono atti dispositivi che sottraggono al giudice il potere di decidere la controversia, imponendogli di dichiarare semplicemente la fine del processo. Il secondo pilastro è l’interpretazione restrittiva della norma sul raddoppio del contributo unificato. La giurisprudenza citata nell’ordinanza (Cass. n. 23175/2015, n. 10140/2020, n. 19071/2018) conferma che la misura ha carattere punitivo e si applica solo in caso di esito negativo dell’impugnazione per una pronuncia del giudice. Non può, quindi, estendersi a un’ipotesi di estinzione consensuale, che rappresenta anzi un esito virtuoso e deflattivo del contenzioso.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma che la via della conciliazione è sempre percorribile, anche quando il processo è giunto al suo ultimo grado. Per le parti, ciò significa avere la possibilità di chiudere una lite in modo certo e controllato, evitando i rischi e i costi di un giudizio. Dal punto di vista giuridico, la decisione rafforza un importante principio di civiltà giuridica: le sanzioni processuali, come il raddoppio del contributo unificato, si applicano solo nei casi tassativamente previsti e non possono penalizzare le parti che scelgono di risolvere le proprie controversie attraverso un accordo.

Cosa succede a un processo in Cassazione se le parti raggiungono un accordo?
Il processo si conclude senza una decisione nel merito. La Corte, su richiesta congiunta delle parti, dichiara l’estinzione del giudizio per rinuncia.

In caso di estinzione del giudizio per accordo, chi paga le spese legali?
Le parti possono decidere autonomamente come ripartire le spese nel loro accordo. Nel caso specifico, hanno chiesto e ottenuto dalla Corte la compensazione delle spese, il che significa che ogni parte ha sostenuto i propri costi legali.

Si deve pagare l’importo aggiuntivo del contributo unificato se il ricorso viene ritirato a seguito di un accordo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che i presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato non sussistono, poiché si tratta di una misura sanzionatoria applicabile solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non in caso di estinzione concordata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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