Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7279 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6038/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CASTELLANZA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 18500/2017 depositata il 26/07/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificato dal Comune di Castellanza relativo alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani per gli anni dal 2006 al 2010 sostenendo che la tassa non era dovuta in relazione all’area scoperta adibita a parcheggio del centro commerciale utilizzata per la sosta dei clienti e la manovra degli automezzi.
La Commissione tributaria provinciale di Varese rigettava il ricorso. Proposto appello da parte della società contribuente, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 165/2013, lo accoglieva precisando che non vi era prova alcuna che l’area scoperta di cui si discuteva fosse un’area operativa in via autonoma, essendo essa, invece, un’area accessoria a quella ove la società contribuente esercitava la sua attività di vendita dei prodotti e che tale superficie, adibita a parcheggio per i clienti e ad area di manovra per i veicoli che trasportavano le merci, non era tassabile in quanto accessoria ad altra area già oggetto di tassazione.
Il Comune di Castellanza proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi deducendo: – con il primo motivo violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 62, commi 1 e 2, d.lgs. 507/93 non avendo i giudici di appello considerato che la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle sole aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree verdi e che, conseguentemente, doveva ritenersi assoggettato a tassazione lo spazio pertinenziale dell’esercizio commerciale coperto da apposita tettoia adibito a parcheggio del supermercato ed ad area per la movimentazione dei veicoli che
trasportavano le merci in arrivo; – con il secondo motivo violazione di legge ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 62, comma 2, del d.lgs. n. 507/93 in quanto i giudici di appello, invertendo la regola sull’onere della prova, avevano affermato che doveva essere il Comune a provare l’idoneità di tali aree a produrre rifiuti ed avevano ritenuto, in particolare, che non vi era prova che l’area scoperta di cui si discuteva fosse un’area operativa in via autonoma laddove, invece, avrebbero dovuto ritenere che l’onere della prova della non idoneità delle aree a produrre rifiuti era posto in capo al detentore che avrebbe deve presentare apposita dichiarazione o idonea documentazione; – con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., inadeguatezza della motivazione, poiché, nonostante la vicenda vertesse sulla natura accessoria dell’area di parcheggio e sulla sua attitudine a produrre rifiuti, i giudici d’appello avevano liquidato la questione affermando apoditticamente che si trattava di area accessoria perché adibita a parcheggio senza motivare sull’eccezione del mancato assolvimento dell’onere della prova, che incombeva sul contribuente, in ordine alla non attitudine a produrre rifiuti.
Questa Corte, con ordinanza n. 18500/2017, nel rilevare la fondatezza di tutti e tre i motivi, ritenuti fra loro connessi, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigettava il ricorso originario della società contribuente, compensando le spese dell’intero giudizio.
Contro detta ordinanza propone ricorso per revocazione la RAGIONE_SOCIALE affidato a due motivi, illustrato con successive memorie.
Il Comune di Castellanza ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo parte contribuente deduce un primo errore revocatorio connesso all’omesso rilievo dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione del Comune di Castellanza
per vizio di procura ed assenza di delibera autorizzativa da parte dell’organo competente.
Tale censura è inammissibile.
2.1. Occorre premettere che il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (vedi Cass., S.U., n. 31032/2019). Ne consegue che l’errore revocatorio «non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi» (Cass., n. 2236/2022).
Ai fini della revocazione la decisione della Corte dovrà, dunque, essere frutto di una svista, di una errata percezione del fatto (processuale o sostanziale), il fatto dovrà essere decisivo (in sua assenza, la decisione potrebbe essere diversa), evidente ed obiettivo, tale da non richiedere per essere considerato, lo sviluppo di particolari indagini ermeneutiche. L’errore dovrà, quindi, emergere oggettivamente, immediatamente ed incontestabilmente, dal raffronto tra la rappresentazione del fatto, risultante dagli atti e documenti di causa e quella percepita dal giudice alla loro lettura, e non riguardare l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (non si tratterebbe in tal caso di errore percettivo, ma di giudizio) ed allo stesso modo il fatto non dovrà essere controverso. E’, poi, il caso di precisare che l’errore deve riguardare gli atti interni del giudizio di cassazione, quelli cioè che la Corte esamina direttamente con una propria ed aut onoma indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio. I profili caratterizzanti
l’esame del ‘fatto decisivo’ vanno considerati con particolare rigore, per evitare che, attraverso il procedimento di revisione, si instauri una sorta di ‘ulteriore’ grado di giudizio. Pertanto la viziata percezione, la supposizione errata della sussistenza o insussistenza del fatto, dovrà necessariamente essere espressa e mai implicita, posto che in tal caso sussisterebbe piuttosto un vizio di motivazione (Cass., n. 14610/21; Cass., n. 11691/23) . In tal senso, ove l’errore del giudice di legittimità non sia frutto di una errata supposizione, direttamente desumibile dagli atti e documenti di causa, circa la sussistenza di un fatto decisivo e non contestato, ma di una omessa percezione di tale fatto, essa non potrà integrare gli estremi dell’errore revocatori o.
Occorre ribadire che la revocazione della pronuncia di cassazione è certamente consentita per vizi del procedimento di cui non si sia tenuto conto per un errore di fatto, ovvero per un errore percettivo che può riguardare anche l’esame degli atti dello stesso processo di cassazione (vedi Cass. 24/2006). Affinché sia ammissibile il ricorso per revocazione è, tuttavia, necessario che la valutazione di non corretta instaurazione del rapporto processuale, che è quanto corrisponde al caso di specie, sia inficiata non da un errore di diritto, per avere considerato rituale un ricorso in effetti irrituale, ma da un errore di fatto, rilevante quale errore percettivo per avere il giudice supposto esistente un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e viceversa, secondo quanto chiaramente espresso dall’art. 395 n. 4 cod. proc. civ. In tale quadro è stato affermato che nel caso in cui venga denunciato il non essersi avveduta la Corte di cassazione della nullità della notificazione del ricorso perché effettuata presso l’Avvocatura distrettuale e non presso l’Avvocatura generale dello Stato, ciò che viene in rilievo è non già la percezione di un fatto inesistente, affermato come esistente, ma unicamente il mancato apprezzamento in termini di nullità della notificazione del ricorso e, dunque, nella sostanza la denuncia di un errore di giudizio (Cass. n.
25654/2013). Si è poi ritenuto inammissibile il ricorso per revocazione proposto sull’assunto che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto validi l’avviso di fissazione dell’udienza dinanzi a sé e la relativa notificazione, trattandosi di prospettato errore di diritto e non di fatto (Cass. n. 24/2006, cit.). Si è, pure, affermato che non integra un errore di fatto ex art. 395, n. 4, cod. proc. civ. l’omesso rilievo di un vizio concernente la ritualità della notificazione dell’atto di impugnazione sotto il profilo del luogo in cui è stata eseguita (Cass. n. 26278/2016). Ancora è stata ritenuta, ad esempio, inammissibile la domanda di revocazione della sentenza emessa a conclusione di giudizio in cui l’avviso di udienza sia stato notificato presso la cancelleria, e non all’avvocato domiciliatario, trasferito altrove, quando risulti che questi non aveva comunicato in cancelleria il mutamento di indirizzo dello studio, non assumendo alcun rilievo la conoscenza del nuovo indirizzo, che l’ufficiale giudiziario abbia potuto acquisire in qualsiasi modo (Cass. n. 17593/2005). Determinante ai fini dell’esistenza dell’errore revocatorio è, dunque, che vi sia stata un’attività percettiva da parte del giudice, la quale si sia tradotta nel supporre esistente un fatto la cui esistenza sia incontrovertibilmente esclusa dagli atti. L’omesso esame di una circostanza processuale non corrisponde alla falsa percezione perché, mentre quest’ultima comporta l’erronea supposizione, esso resta un fatto che non si traduce in alcuna attività ed a cui la legge collega unicamente l’effetto del vizio motivazionale o della violazione processuale. Coerentemente, si è affermato che “l’implicita declaratoria di rituale instaurazione del contraddittorio che questa Corte deve effettuare ex officio – scaturente dall’avere la sentenza …. impugnata ritenuto i lavoratori “intimati” … senza rilevare la pretesa nullità della notificazione del ricorso per cassazione, non costituisce errore di percezione tale da configurare un vizio revocatorio il quale postula che la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa e
non sia frutto di valutazione o di giudizio, risultando dagli atti e documenti senza che sia contestata dalle parti e senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche” (vedi Cass. n. 4235/2019). E’, per contro, affetta da errore di fatto revocatorio la decisione della Corte di cassazione che si fondi sull’asserita mancanza della notifica del ricorso per cassazione ove questa invece risulti dagli atti (Cass. n. 14420/2015). Costituisce, pure, una ipotesi di errore revocatorio l’erronea individuazione della data di notifica dell’atto (Cass. n. 2712/2019).
2.2. Muovendo da tali principi deve ritenersi che il motivo di revocazione in esame non denuncia, in realtà, l’esistenza di una vera e propria erronea supposizione che sarebbe stata compiuta dalla Corte e che si sarebbe manifestata nella motivazione, ma la mera circostanza del mancato rilievo della eccepita inammissibilità del ricorso per un vizio della procura ad litem collegato alla carenza di requisiti formali (in quanto rilasciata su foglio autonomo in data anteriore al ricorso e priva di riferimento alla sentenza impugnata ed alla controparte) e alla assenza di una preventiva delibera della Giunta.
Orbene quanto al primo aspetto (assenza di valida procura) va osservato che, in disparte ogni ulteriore considerazione, tale profilo è del tutto irrilevante atteso che gli asseriti vizi prettamente formali sono del tutto insussistenti dovendosi richiamare quanto al rilascio della procura SU n. 2075/24, secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 365 e 83, comma 3, c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto a cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non si a successivo alla notificazione del ricorso stesso’ con la precisazione che nel caso in esame, la procura, risalente al 28
febbraio 2014, è successiva alla sentenza impugnata, che è del 2013 ed è precedente alla notificazione del ricorso, promossa ad aprile 2014.
In ordine all’ulteriore profilo va osservato che la parte ribadisce il fatto processuale della irritualità del ricorso senza denunciare una specifica supposizione che sia stata espressione di un errore di percezione degli atti processuali. Del resto nella specie, nella ordinanza in esame, non vi è alcun riferimento al fatto in questione e non è dato, dunque, ricostruire, al riguardo, l’iter logico della pronuncia, trattandosi all’evidenza, di un vizio di motivazione, improponibile con il procedimento di revocazione.
Risulta, quindi, di tutta evidenza che nel caso in questione l’ipotesi dedotta non si traduce in una mera svista quanto alla ritenuta ammissibilità del ricorso proposto da soggetto non legittimato. Ne costituisce, del resto, una riprova univoca la circostanza che parte ricorrente, al fine di comprovare l’asserito errore percettivo, ha ritenuto necessario depositare nel presente giudizio con memoria in data 9 ottobre 2018 un ulteriore documento vale a dire la ‘ delibera della Giunta Comunale di Castellanza n. 68 del 11.4. 2018 che nell’autorizzare il Sindaco a stare in giudizio nella vertenza tra le parti relativa all’accertamento TARSU 2011 -12 pendente al n. 165.18 dinanzi alla CTP di Varese spiega che la delibera della Giunta Comunale è necessaria per legitt imare l’instaurazione di un giudizio da parte del Comune ‘: a fronte della ritenuta ammissibilità del ricorso per cassazione (con implicito rigetto delle eccezioni sollevate con il controricorso) la medesima ricorrente invoca dei ‘nuovi’ documenti di ‘spiegazione’ , a comprova che il vizio lamentato non si è tradotto nell’erronea supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto, bensì in un vizio di motivazione o nella violazione di una norma processuale. Ne discende, dunque, l’ inammissibilità del motivo.
Con il secondo motivo la società contribuente lamenta un ulteriore errore percettivo in cui sarebbe incorsa questa Corte in relazione alla supposta inesistenza di una denunzia delle superfici in questione, omettendo di considerare che, in realtà, la stessa era stata indicata e prodotta.
3.1. Anche tal motivo è inammissibile.
Giova precisare e ribadire che in tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, primo comma n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte. (Sez. U, Ordinanza n. 20013/2024).
Nel caso in esame manca certamente la decisività, innanzitutto, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità in materia, in tema di debenza del tributo in relazione all’area scoperta adibita a parcheggio del centro commerciale utilizzata per la sosta dei clienti e la manovra degli automezzi, trattandosi di area, comunque, tassabile, come chiarito da questa Corte con la pronunzia n. 19551/2024 in controversia -relativa ad altra annualità – vertente fra le medesime parti e riguardante la stessa area.
Nella impugnata ordinanza la questione della omessa presentazione della denunzia è stata, del resto, rilevata ‘ ad abundantiam ‘: e, infatti, questa Corte, nel precisare che trattavasi di area certamente tassabile ai fini TARSU sulla scorta della normativa vigente, ha
soggiunto che la contribuente ‘…. non ha neppure dedotto di avere presentato denunzia relativa alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione’, da ciò discendendo la palese irrilevanza ai fini che occupano della questione dedotta.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore del Comune di Castellanza, nella somma di euro 6.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data