Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9965 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9965 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24413/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende ricorrente-
contro
NOME.NOME. IN FALLIMENTO
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 1849/2021 depositata il 26/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 4 febbraio 2020, COGNOME IN FALLIMENTO presentava ricorso per revocazione della sentenza 9016 del 2019 della CTR della Campania che aveva rigettato l’appello dal fallimento promosso avverso la sentenza 4998 del 2018 con cui la CTP di Caserta aveva a sua volta rigettato il ricorso che il fallimento aveva proposto contro una cartella di pagamento riguardante l’IVA per l’annualità 2006, recuperata a tassazione in quanto utilizzata in detrazione per detta annualità con riferimento ad un credito d’imposta relativo all’annualità 2005 per cui, tuttavia, la dichiarazione doveva considerarsi omessa, essendo stata presentata oltre un anno dalla scadenza (28 febbraio 2017).
Il ricorso per revocazione fondava sulla circostanza che la motivazione espressa dal Giudice dell’appello nella sentenza 9016 del 2019 era totalmente decentrata rispetto al ‘thema’ vertito.
Con la sentenza in epigrafe, la CTR della Campania accoglieva detto ricorso: nella fase rescindente, riteneva sussistere l’errore revocatorio in ragione del fatto che la sintetica motivazione della sentenza d’appello ‘risulta del tutto inconferente rispetto sia ai motivi dell’appello che soprattutto al merito della controversia’, attenendo all”omissione della registrazione nota di variazione non addebita alla cessionaria’, di cui non si controverteva affatto; nella fase rescissoria, riteneva comprovato il credito, senza necessità, per il suo recupero, di procedere con richiesta di rimborso.
Propone ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE con un motivo. Il fallimento resta intimato.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 395 comma 1 n. 4 cpc in relazione all’art. 360
n. 4 c.p.c. Inammissibilità della revocazione’.
1.1. ‘L’errore di fatto non è un errore di giudizio o di apprezzamento degli elementi probatori, né un errore processuale, bensì una vera e propria svista di carattere materiale in cui è incorso l’organo giudicante’. ‘Ne deriva che nel caso concreto la pronuncia del giudice di secondo grado su motivi diversi da quelli proposti dalla società appellante e senza esame della documentazione prodotta dalla parte contribuente a sostegno della fondatezza del diritto di credito costituisce un vizio di motivazione della sentenza resa sull’erroneo presupposto che la questione oggetto del giudizio fosse legata alla ‘mancata registrazione della nota di variazione da parte di un cedente’ mentre avrebbe riguardato il mancato riconoscimento di un credito IVA in realtà esistente e fondato su documentazione contabile prodotta dalla società fallita e non contestata dall’Ufficio, ossia di nullità della sentenza per motivazione apparente, denunciabile solo in sede di legittimità, non avendo nulla a che vedere con la revocazione’.
2. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
2.1. Sulla premessa che ‘con riguardo al sistema RAGIONE_SOCIALE impugnazioni’ come chiarito da Sez. U, n. 8984 del 2018 -la Costituzione non ‘impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza europea
e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia’, l’ambito dell’errore revocatorio è circoscritto, dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., ai soli casi di ‘sviste’ o ‘puri equivoci’, ad eccezione di errori di giudizio, valutazione e rappresentazione (cfr. Sez. U, n. 8984 del 2018, che richiama Corte cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009).
Le ‘sviste’ di cui innanzi si risolvono classicamente in false (non -notasi -rappresentazioni, bensì solo) percezioni della realtà, obbiettivamente ed immediatamente (ossia liquidamente) rilevabili, attinenti all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento (non interno, ma) esterno al processo (Sez. U, n. 23306 del 2016).
Per giurisprudenza costante, invero, ‘l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali’ (Sez. 6 -1, n. 22336 del 2022). Pertanto, ‘l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre
l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa’ (Sez. 6 -2, n. 16439 del 2021).
2.2. In espressa considerazione dei superiori insegnamenti, calati nella realtà del processo e della sua materiale rappresentazione attraverso gli atti e documenti inseriti nel fascicolo di causa, la giursprudenza afferma, in linea di principio, la sussistenza di un ‘error facti’, legittimante pertanto la proposizione di un’azione per revocazione, nei casi, tra gli altri, di:
pretermissione di un atto processuale, quale, ad esempio, il controricorso in cassazione (Sez. 5, n. 18145 del 2023);
mancanza accidentale nel fascicolo del ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 9786 del 2023, e Id., n. 29634 del 2019; peraltro, in senso non coincidente, Sez. 1, n. 27508 del 2017);
‘omesso esame RAGIONE_SOCIALE memorie difensive, depositate ai sensi degli artt. 378, 380 bis o 380 bis, n. 1, c.p.c., con allegate sentenze invocate quali giudicati esterni tra le parti su un punto decisivo della controversia’ (Sez. 2, n. 17379 del 2022);
affermata inesistenza di un documento nel fascicolo invece, in effetti, inserito (Sez. 5, n. 1562 del 2021);
erronea indicazione nella decisione di un soggetto
non parte in causa (Sez. 5, n. 24528 del 2019);
omesso esame di un avviso di ricevimento relativo alla notifica dell’atto d’appello (Sez. 6, n. 23173 del 2016),
ma anche di:
erronea percezione del contenuto di uno scritto difensivo (Sez. 5, n. 25752 del 2022);
omessa pronuncia su un motivo di ricorso per cassazione (Sez. 1, n. 26301 del 2018).
2.3. L’elemento comune a tutti i superiori casi, e ad altri analoghi, è costituito dall’emersione di un vero e proprio ‘errore di percezione’ da parte del giudice, ancorché ricadente sulla realtà processuale e, quindi, su un ‘fatto’ propriamente ‘processuale’. Il Giudice, cioè, ha sbagliato perché non si è avveduto, ad esempio, che un tal atto o documento, dato per non depositato, lo era invece stato e dunque era presente nel fascicolo ; ovvero che un ricorso per cassazione, anziché contenere, come ritenuto, un solo motivo, in realtà ne conteneva due, entrambi graficamente esistenti. In altre parole: la realtà fisicodocumentale del fascicolo in sé o dell’atto in esso contenuto diverge dalla percezione che il Giudice, erroneamente, per una mera svista, ne ha tratto.
2.4. Diverso è il caso, come quello che ne occupa, in cui l’errore commesso dal Giudice consiste nell’aver reso una motivazione non affatto pertinente con il ‘thema decidendum’ devolutogli. In questo caso, a differenza di quelli sopra richiamati, il giudice non è incorso in alcun errore propriamente percettivo perché non ha erroneamente dato per assente un atto o documento invece presente nel fascicolo, o viceversa; né ha limitato la disamina ad
un solo motivo di ricorso per cassazione, non accorgendosi dell’altro o degli altri, pur visivamente articolati come tali: gli atti e documenti RAGIONE_SOCIALE parti erano e sono rimasti quelli effettivamente depositati e presenti nel fascicolo e come tali sono stati percepiti dal Giudice, il quale, tuttavia, ha sbagliato in un momento logicamente successivo, quello della redazione della motivazione a supporto della decisione. L’inciampo in cui il medesmo è incorso, dunque, non consiste in un errore (sia consentito di così dire: fisico) di puro e semplice riscontro (visivo) della realtà documentale del fascicolo o di un suo atto o documento, bensì, su un altro e distinto piano, in un errore valutativo (‘in limine’ mediato da un falso intendimento) di detta realtà, che l’ha indotto ad avere una cognizione distorta -non già degli atti e documenti in sé, nella loro consistenza materiale ovvero ‘in limine’ nel loro contenuto grafico (come nel caso dell’omessa considerazione di un motivo di ricorso per cassazione) -bensì della loro efficacia rappresentativa e quindi in definitiva del loro significato.
2.5. Siffatto errore, allora, è un tipico e, come subito si vedrà, finanche radicale ed insanabile, ‘error in procedendo’, che rende la sentenza assolutamente nulla, ossia ‘ab imis’ inidonea a produrre qualsivoglia effetto, e persino insuscettiva di passare in giudicato, poiché costituente, in realtà, sia consentito di così brevemente dire, una ‘non -sentenza’.
2.6. Il vizio che una tale sentenza esibisce è anzitutto motivazionale; ma si tratta di un vizio così profondo e pervasivo, per la totale incoerenza della motivazione con l’oggetto stesso del giudizio, da avvincere, nella sorte del travolgimento per sostanziale inesistenza, anche la decisione.
2.7. Ed invero, procedendo per gradi, mai s’è dubitato che ‘in presenza di una radicale estraneità della fattispecie alla motivazione (verosimilmente mutuata per ‘copia -incolla’ da altra
sentenza relativa ad altra controversia tra diverse parti) non è possibile ricostruire né interpretare l’effettivo convincimento del ; e non è pertanto possibile neppure espletare il dovuto controllo critico della ragione (in effetti non individuabile) che avrebbe indotto la decisione’: sicché, ‘vertendosi, in definitiva, di un caso paradigmatico di assenza di motivazione (non sul piano meramente grafico, ma su quello contenutistico minimo di rilevanza costituzionale), la sentenza d essere cassata (art. 360, co. 1^, n. 4, cod. proc. civ.)’ [ Sez. 5, n. 20506 del 2022, in motiv., p. 5).
La riprova, in un caso del genere, della totale ‘ assenza di motivazione’ si ha sol che si consideri che la sentenza cardinale sui vizi motivazionali, ossia Sez. U, n. 8053 del 2014, nell’affermare, come noto, che ‘è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali’, individua giust’appunto i casi della ‘motivazione apparente’ o ‘perplessa’ od ‘obiettivamente incomprensibile’.
2.8. Ed anzi -come anticipavasi -il vizio di motivazione non è il solo a configurarsi, perché, per la sua pervasività, esso avvince la stessa estrinsecazione decisoria rassegnata nel dispositivo; ragion per cui, in argomento, traguardando l’orizzonte motivazionale ed i connessi limiti di impugnabilità, si afferma (cfr. Sez. 6-2, n. 2766 del 04/07/2019, in motiv., p. 3) che l’ipotesi del provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio che sia stato emesso nei confronti RAGIONE_SOCIALE parti del giudizio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti configura – secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 6162/2014, Cass. 30067/2011, Cass. 15002/2015) – una ipotesi di inesistenza, o nullità
assoluta, ulteriore rispetto all’ipotesi espressamente prevista dall’art. 161, comma 2, c.p.c., inesistenza che è ravvisabile tutte le volte che la sentenza manchi “di quel minimo di elementi o di presupposti che sono necessari per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato”, inesistenza che “va rilevata anche d’ufficio e può essere fatta valere, anche al di fuori dell’impugnazione nello stesso processo, con un’autonoma azione di accertamento, non soggetta a termini di prescrizione o di decadenza, ovvero con un’eccezione ed altresì in sede di opposizione all’esecuzione” (così, ex multis, Cass. 2292/2001).
2.9. La conclusione processuale del ragionamento è espressa (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 40883 del 2021) dalla seguente massima ormai tralaticia:
L’inesistenza giuridica, o nullità radicale, di un provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio emesso nei confronti RAGIONE_SOCIALE parti del giudizio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti, comporta, per l’incompiuto esercizio della giurisdizione, che il giudice cui è apparentemente da attribuire la sentenza inesistente possa procedere alla sua rinnovazione, emanando un atto valido conclusivo del giudizio.
Resta fermo, tuttavia, che l’inesistenza giuridica o nullità radicale di cui si opina, come puntualizzato da Sez. 6-L, n. 9910 del 2021 (che ‘ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto, dopo il decorso dei termini di decadenza per l’impugnativa, al fine di ottenere la declaratoria di nullità della sentenza di appello, derivata dalla nullità radicale della sentenza di primo grado, asseritamente priva della sottoscrizione del giudice’),
essere fatt valere o mediante un’autonoma azione di accertamento negativo (“actio nullitatis”) esperibile in ogni tempo, oppure attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione dinanzi al giudice sovraordinato (secondo i casi, appello o ricorso per cassazione), i quali, tuttavia, come rimedi alternativi all'”actio nullitatis”, devono essere esperiti secondo le regole loro proprie, e, quindi, tempestivamente, nel rispetto dei
termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.
2.10. Ora, in contrario rispetto a quanto innanzi, non pare si possano trarre argomenti decisivi da Sez. 5, n. 7617 del 2018, che, nell’annullare ‘ la decisione impugnata che aveva statuito sul condono ‘tombale’ presentato da un professionista, anziché sul condono ‘clemenziale’ presentato dalla società ricorrente’, esprime il principio a termini del quale, in tema di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., richiamato nel processo tributario dall’art. 64 del D.Lgs. n. 546 del 1992, deve ritenersi affetta da errore di fatto la pronuncia che, in modo evidente e immediatamente rilevabile, si fondi su una svista percettiva di carattere decisivo sull’intero oggetto del contendere.
2.10.1. Anzitutto, siffatto principio deve coordinarsi con la motivazione dell’ordinanza da cui è tratto, a termini della quale (par. 2.4, p. 4), se il fatto sul quale può cadere l’errore revocatorio ben può consistere nel contenuto degli atti processuali e tale errore è configurabile in caso di omessa percezione dell’esistenza di un motivo di ricorso, graficamente ignorato , ‘a fortiori’ deve ritenersi che sia affetta da errore revocatorio la pronuncia, come quella in esame, che risulti frutto, in modo assolutamente evidente e immediatamente rilevabile, di una svista percettiva sull’intero oggetto del contendere, con esclusione di qualsivoglia profilo di natura interpretativa.
2.10.2. Sicché massima e motivazione dell’ordinanza sono esplicite nel riferirsi ad una ‘svista percettiva’, che non immuta la propria natura di falsa ‘percezione’ della realtà processuale per il sol fatto di cadere -anziché (per riprendere le parle della motivazione) sull” esistenza di un motivo di ricorso, graficamente ignorato’ sulla rappresentazione grafica, negli atti di parte, del ‘thema decidendum’.
Tirando le somme di quanto detto sin qui, deve, in sintesi, essere enunciato il seguente principio di diritto:
Il provvedimento giurisdizionale avente contenuto decisorio emesso nei confronti RAGIONE_SOCIALE parti del giudizio, ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa concernente altri soggetti, non è affetto da ‘error facti’ rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., ma da radicale nullità, che può essere dedotta o mediante gli ordinari mezzi di impugnazione (tra cui, in caso di sentenza d’appello, il ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. per totale assenza di motivazione) ovvero mediante un’autonoma azione di accertamento negativo (“actio nullitatis”) esperibile in ogni tempo.
Tornando al caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE non si è attenuta al superiore principio.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, decidendosi sul ricorso per revocazione originariamente proposto ex art. 382, comma 3, secondo periodo, cod. proc. civ., lo stesso deve essere dichiarato inammissibile.
5.1. Di conseguenza, devono essere compensate le spese dei gradi di merito. Quelle di legittimità, invece, seguono il criterio della soccombenza, venendo liquidate, secondo tariffa, come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo su ricorso, dichiara inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio.
Compensa le spese in relazione ai gradi di merito.
Condanna COGNOME IN FALLIMENTO a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 3.000, oltre esborsi per euro 200 e spese prenotate a debito.
Così deciso a Roma, lì 28 febbraio 2024.