Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31869 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31869 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2258/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 17464/2023 depositata il 19/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Banca IFIS spa, con atto notificato il 18.1.2024, ha proposto ricorso per la revocazione dell’ordinanza n. 17464/2023 di questa Corte.
Secondo quanto risulta dalla predetta ordinanza, l a Banca IFIS RAGIONE_SOCIALE aveva presentato istanza di rimborso del credito fiscale maturato per IRES ceduto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione giudiziaria, dichiarata fallita in data 3 dicembre 1996 il cui fallimento era stato chiuso con provvedimento del 26 febbraio 2010.
Formatosi il silenzio rifiuto da parte dell’Ufficio, la società contribuente presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Bologna, che lo rigettava mentre con sentenza n. 2692/2018 la Commissione Tributaria Regionale (CTR) dell’Emilia Romagna respingeva l’appello.
La Commissione negava il rimborso ritenendo ammissibile l’eccezione di compensazione dell’Agenzia delle entrate e irrilevante la mancata notifica della cartella di pagamento, su cui tali controcrediti si fondavano, ritenendo prova idonea e sufficiente l’estratto di ruolo.
La società aveva proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, fondato su tre motivi, mentre l’Amministrazione finanziaria aveva proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo di doglianza.
Con l’ordinanza n. 17464/2023, questa Corte aveva rigettato il ricorso della contribuente, ritenendo assorbito il motivo di ricorso incidentale.
Con il ricorso per revocazione la ricorrente lamenta che la Corte sia incorsa in errore revocatorio nella decisione del terzo motivo di ricorso.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
La ricorrente deposita memoria.
CONSIDERATO CHE
Va precisato che il terzo motivo di ricorso si incentrava sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 26 del
d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.: la società ricorrente si doleva del fatto che, in mancanza di prova della notifica delle cartelle di pagamento poste in compensazione, la CTR avesse considerato l’estratto di ruolo sufficiente a dar prova delle entità e natura del credito vantato dall’amministrazione.
2. La Corte, con la sopra citata ordinanza, ha ritenuto il motivo infondato « alla luce della giurisprudenza di questa Corte resa nella massima espressione nomofilattica, secondo la quale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 33408 del 11/11/2021) ai fini dell’ammissibilità della domanda d’insinuazione proposta dall’agente della riscossione e della verifica in sede fallimentare del diritto al concorso del credito tributario o di quello previdenziale, con principio che può estendersi alla lite di rimborso del credito vantato da società fallita nei confronti dell’Erario, non occorre che la pretesa tributaria, anche quando sia fondata su atti impositivi, inclusi l’avviso di accertamento o quello di addebito contemplati dagli artt. 29 e 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., in l. n. 122 del 2010, debba esser provata da atti che siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo; a fronte di tale produzione, spetterà al contribuente dar prova della esistenza di fatti estintivi o modificativi della pretesa ».
3. Secondo la ricorrente questa decisione è stata il frutto di un errore, poiché « il credito erariale asseritamente provato tramite mere risultanze dell’anagrafe tributaria e poi opposto in compensazione non è un carico di ruolo fatto valere in sede di ricorso per insinuazione al passivo fallimentare ma un carico ordinario da far valere esclusivamente tramite il procedimento vincolato di riscossione » (pag. 2 del ricorso per revocazione). Ancora, si osserva: « Il carico di ruolo asseritamente vantato dall’Ufficio non fu oggetto o fatto valere (e nemmeno poté mai) all’interno del processo fallimentare per il tramite di insinuazione al passivo (tempestiva ex art. 93 L. Fall. e nemmeno tardiva ex art.
101 L. Fall.) in quanto derivante da un controllo ex art. 36-bis del DPR n. 600/1973 effettuato dall’Ufficio a procedura oramai da anni chiusa. Da tale errore di fatto discende il fraintendimento dalla Corte » (pag. 9 del ricorso per revocazione).
Si tratta, secondo la ricorrente, di un vero e proprio errore percettivo « ricaduto su un fatto non controverso e decisivo per il giudizio, ossia la natura del credito opposto in compensazione dell’Ufficio: non un credito concorsuale (di cui l’Erario avesse chiesto l’insinuazione al passivo) ma un ordinario credito opposto apoditticamente per fondare la sospensione del rimborso ex art. 23 D.Lgs. 472/1997 ».
Il ricorso è inammissibile.
5.1. Come noto, l’ammissibilità dell’istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte presuppone un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, c.p.c. e, dunque, un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece incontestabilmente escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione ( ex multis , Cass. n. 442 del 2018). L’errore revocatorio postula il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l’una desumibile dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti processuali, e non concerne un fatto che sia stato discusso dalle parti e quindi trattato nella pronuncia del giudice. Il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di
quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (Cass., sez. un. n. 31032 del 2019). Ne consegue che l’errore revocatorio « non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi » (Cass., n. 2236 del 2022, punto 3).
5.2. La ricorrente denuncia come errore percettivo un ‘ attività di interpretazione giuridica svolta dalla Corte, che ha tratto da un pronunciamento delle Sezioni Unite un più generale principio, applicato al caso sottoposto al suo esame. La stessa critica della ricorrente si svolge essenzialmente sul piano giuridico -interpretativo: la parte si duole del l’estensione d ella regola di fonte nomofilattica – riguardante la prova a corredo dell’insinuazione al passivo fallimentare di un credito tributario -ad un ‘ ipotesi in cui non vi era stata né poteva esservi insinuazione fallimentare, perché non si trattava di credito concorsuale, segnalando gli « effetti ‘dirompenti’ sul sistema della riscossione » di tale soluzione interpretativa.
5.3. In definitiva, si prospetta non un errore percettivo, di mero fatto, ma un errore di diritto, fondato su una valutazione giuridica che, in questo caso, è stata svolta con piena cognizione di causa: era ben chiaro che quello eccepito in compensazione dall’Ufficio era un credito post fallimento e non concorsuale. Infatti, la Corte, tra l’altro, osserva che «-con riguardo alla corretta applicazione dell’art. 56 l. fall.re, il motivo risulta inammissibile in quanto urta contro l’accertamento di fatto della CTR felsinea secondo la quale ‘i titoli per debiti di imposta” in forza delle risultanze dell’estratto di
ruolo ‘risultano invece maturati infra procedura negli anni 2001, 2002, 2003’; – tale accertamento, che colloca l’insorgenza dei debiti tributari opposti in compensazione tra la data della sentenza dichiarativa di fallimento, resa il 3 dicembre 1996, e la data del provvedimento di chiusura del medesimo fallimento, verificatasi il 26 febbraio 2010, evidentemente è non più censurabile in questa sede di legittimità » .
Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
p.q.m.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento a favore dell’Agenzia delle entrate della somma di euro 12.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Roma 12/9/2024
Il Presidente
NOME COGNOME