Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18373 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18373 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 05/07/2024
Oggetto: tributi revocazione di ordinanza della Cassazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24168/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE) , rappresentati e difesi dall’Avvocato AVV_NOTAIO NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale allegata al ricorso, domiciliati presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO, con indirizzo pec
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura
Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in INDIRIZZO
-resistente 11218/2023 della Corte di per la revocazione dell’ordinanza n. Cassazione, depositata in data 28 aprile 2023
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal C onsigliere Relatore NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con l’ordinanza qui impugnata, questa Corte ha accolto il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate e rigettato il ricorso incidentale dei contribuenti RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché ha deciso la causa nel merito, con rigetto dell’originario ricorso dei contribuenti.
Come risulta dalla pronuncia impugnata, i contribuenti hanno originariamente impugnato due avvisi di accertamento (periodi di imposta 2006 e 2007), con cui era stata contestata una condotta abusiva, anche ai fini IVA, consistente nella costituzione della società contribuente, costituita al solo scopo di determinare in capo alla società medesima e al socio COGNOME, dentista, vantaggi fiscali « sia ai fini delle imposte dirette (per la deduzione da parte del COGNOME dei canoni di locazione) che dell’IVA (detrazione da parte della società dei costi di costruzione e da parte del socio professionista dell’IVA pagata sui canoni di locazione) » (Cass., Sez. V, 28 aprile 2024, n. 11218); il ricorso introduttivo era stato rigettato in primo grado ed era stato accolto in grado di appello quanto alle sanzioni.
La pronuncia di questa Corte, qui impugnata, per quanto qui ancora rileva, ha rigettato il ricorso incidentale dei contribuenti in relazione ai diversi aspetti ivi censurati, con riferimento sia alla sanatoria della nullità degli avvisi di accertamento per raggiungimento dello scopo, sia alla instaurazione del contraddittorio
endoprocedimentale , sia in relazione all’obbligo di motivazione da parte dell’Ufficio , sia in relazione alla dedotta inerenza degli acquisti di attrezzature odontoiatriche sul rilievo del contesto cronologico di acquisto delle attrezzature e rivendita delle stesse al COGNOME, dichiarando inammissibile il quarto motivo.
Propongono ricorso per revocazione i contribuenti, affidato a due motivi di revocazione ; l’Ufficio si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di revocazione si deduce, in relazione agli artt. 391bis e 360, n. 5, cod. proc. civ. omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui questa Corte ha ritenuto di fare applicazione del principio della cd. « doppia conforme » di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ. Osservano i ricorrenti che la sentenza di primo grado ha rigettato il ricorso dei contribuenti in quanto l’operazione è stata ritenuta elusiva della disciplina IRPEF dei liberi professionisti , laddove in grado di appello l’accoglimento del ricorso in punto sanzioni è stato fondato sull’inapplicabilità in via analogica all’abuso del diritto delle sanzioni previste dall’art. 37 -bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché sulla condotta abusiva dei ricorrenti ai fini IVA, che hanno consentito il recupero di IVA anche in caso di esercizio di attività IVA esente; da tali elementi, parte ricorrente deduce l’esistenza di motivazioni differenti in primo grado e in appello ai fini dell’erronea applicazione del principio di cui a ll’art. 348 -ter cod. proc. civ.
Con il secondo motivo di revocazione si deduce, in relazione agli artt. 391bis e 360, n. 5, cod. proc. civ. omesso esame di fatto decisivo in tema di violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Osserva parte ricorrente che non sarebbe stato assicurato, nella specie, il rispetto del contraddittorio previsto dall’art. 37 -bis d.P.R. n. 600/1973,
non essendo mai stata formulata una contestazione di abuso del diritto, laddove anche in caso di abuso del diritto il contribuente ha diritto a un contraddittorio rafforzato previsto per operazioni meramente elusive.
Il ricorso per revocazione è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391bis cod. proc. civ., consiste in una svista su dati di fatto che risulti produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi posti a base della decisione (Cass., Sez. U., 7 marzo 2016, n. 4413) e presuppone un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (atti interni).
Detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato dagli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato; b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., Sez. VI, 10 giugno 2021, n. 16439); d) non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza si è pronunciata (Cass., Sez. I, 4 aprile 2019, n. 9527); e) né, infine, deve costituire un mero omesso esame di alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura dal ricorrente (Cass., Sez. U., 27 novembre 2019, n. 31032).
Sussiste, pertanto, errore revocatorio quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, ciò risultando dagli atti
processuali, dai quali deve essere evincibile una diversa rappresentazione del fatto rispetto a quanto emergente dalla sentenza impugnata, purché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di valutazione o di giudizio e, inoltre, quella risultante dagli atti e documenti processuali non sia stata oggetto di contestazioni tra le parti. Questo errore può cadere anche sulla supposta esistenza di un documento la cui inesistenza risulti dagli atti processuali e, al contrario, la sentenza ritenga che tale documento sia stato prodotto in giudizio e sia stato oggetto di valutazione.
Essenziale, peraltro, ai fini della fondatezza dei dedotti errori revocatori è (oltre alla natura percettiva dell’errore e alla assoluta evidenza e immediata rilevabilità) la decisività dell’errore ai fini della decisione compiuto dal giudice di legittimità nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, ossia la rilevanza eziologica del fatto supposto come tale (e in realtà inesistente) rispetto al contenuto e al fondamento della decisione (Cass., Sez. Lav., 3 novembre 2020, n. 24395; Cass., Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 4678).
Fatte tali premesse, appare evidente che nel caso di specie non risulta dedotto alcun errore percettivo, con conseguente inammissibilità della revocazione. I ricorrenti non deducono, difatti, un errore percettivo né nel paradigma normativo (è dedotta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ), né nel corpo di motivi, ma solo (in tesi) errori di giudizio.
In secondo luogo, manca l’indicazione di quali siano gli atti interni del giudizio oggetto di revocazione sui quali sarebbe (in tesi) incentrato l’errore percettivo compiuto dalla pronuncia impugnata.
Più nel dettaglio, con riferimento al primo motivo di ricorso, la censura investe un supposto errore di valutazione circa la sussistenza dei presupposti della cd. «doppia conforme», errore -peraltro -insussistente, alla luce del fatto che in appello la riforma è avvenuta
solo in relazione al trattamento sanzionatorio, laddove in entrambi i gradi del giudizio di merito è stata ritenuta l’esistenza di una condotta elusiva, che in appello ha espressamente riguardato anche l’ IVA.
Analogamente, anche quanto al secondo motivo di ricorso viene dedotto un asserito errore di giudizio (evidentemente riferito all’originario secondo motivo del ricorso incidentale: pag. 9 della pronuncia impugnata, righi 1-7), circa la sussistenza del contraddittorio rafforzato, giudizio che non investe una errata percezione del contenuto degli atti processuali.
Non vi sono, pertanto, errori percettivi compiuti dalla ordinanza di questa Corte qui impugnata. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; nulla per le spese in assenza di difese scritte dell’amministrazione finanziaria; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 26 giugno 2024