Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20081 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20081 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME SALVATORE
Data pubblicazione: 22/07/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 7329 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del suo curatore, rappresentato e difeso dal AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, è domiciliata
-controricorrente-
per la cassazione RAGIONE_SOCIALE sentenze della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, n. 154/2018 e 171/2019;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME nella pubblica udienza del 13 marzo;
udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO per la parte ricorrente; udita l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
La curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione impugnò
una cartella di pagamento finalizzata al recupero di importi Irpeg, IVA e per ritenute alla fonte, risultanti in esito a controllo ex artt. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54bis d.P.R. n. 633 del 1972, operato dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sulle dichiarazioni dei redditi e IVA del 2002 e sulle dichiarazioni di sostituto d’imposta presentate dalla società RAGIONE_SOCIALE per il 2002 e per il 2003.
La CTP di Bologna accolse il ricorso, annullando la cartella.
La CTR dell’Emilia Romagna respinse l’appello erariale.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26292 del 20 dicembre 2016 accolse il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE, cassando con rinvio la decisione impugnata, escludendo l’adombrata violazione dell’art. 6 L. n. 212 del 2000.
A seguito di riassunzione dinanzi al giudice del rinvio, quest’ultimo, con sentenza n. 154 del 2018, confermava la legittimità della pretesa fiscale veicolata mediante la cartella di pagamento, in relazione all’IVA e alle ritenute alla fonte.
La curatela impugnava il ricorso per revocazione, lamentando un errore di fatto della CTR, id est la sussistenza del credito IVA vantato dalla RAGIONE_SOCIALE verso la controllata RAGIONE_SOCIALE. Il ricorso veniva dichiarato inammissibile dalla CTR con sentenza n. 171 del 2019.
Il ricorso per cassazione della curatela è affidato a sei motivi. Resiste con controricorso la contribuente. La curatela ha depositato successiva memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si adombra, avuto riguardo all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., in relazione alla sentenza della CTR dell’Emilia -Romagna n. 154/2018, il vizio di violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, per non avere la CTR deciso su tutte le domande proposte dalla curatela fallimentare e, in particolare, sul riconoscimento del credito
vantato dalla controllata RAGIONE_SOCIALE e riportato dalla CTO nella dichiarazione annuale IVA del 2022.
Il motivo è infondato.
La CTR ha espressamente evidenziato l’insussistenza di dichiarazioni idonee a far constare ‘ crediti derivanti dalle incorporate ‘, soggiungendo, peraltro, che ‘ il rilievo, pertanto, va disatteso ‘.
Il motivo non coglie nel segno alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il vizio di omessa pronuncia -configurabile allorché manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto -non ricorre nel caso in cui, seppure difetti una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto, o il suo assorbimento in altre statuizioni, con la conseguenza che tale vizio deve essere escluso in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (Cass. n. 4079 del 2005; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 1360 del 2016).
Con il secondo motivo di ricorso, avuto riguardo all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., si contesta -sempre con riferimento alla sentenza n. 154/2018 -la violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR reso una motivazione apparente omettendo ‘ di esaminare la documentazione prodotta dal RAGIONE_SOCIALE‘ .
Con il terzo motivo di ricorso, ancora con riferimento alla sentenza n. 154/2018, si censura la violazione sotto altro profilo degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., per avere la CTR ‘ genericamente respinto le censure mosse dal RAGIONE_SOCIALE in ordine all’illegittimità dei carichi iscritti a ruolo per ritenute alla fonte ‘, rendendo una motivazione apparente.
I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria per intima
connessione, entrambi afferendo il ventilato profilo dell’apparenza della motivazione.
Le censure appaiono infondate e vanno respinte.
In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819 del 2020).
Già in precedenza il giudice nomofilattico aveva avuto modo di osservare che l’obbligo di motivazione è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 22598 del 2018).
Nella specie, tuttavia, la CTR, in sede di rinvio, ha fatto legittimo esercizio del proprio, riservato, sindacato di merito, reputando non suffragata la prova dei crediti asseritamente vantati dall’odierna ricorrente, anche alla luce RAGIONE_SOCIALE incongruenze e degli errori riportati nel moRAGIONE_SOCIALE di NUMERO_DOCUMENTO.
La ratio decidendi ben si coglie nel tessuto pur asciutto della motivazione della sentenza, la quale stigmatizza l’inidoneità del quadro probatorio fornito a dimostrare crediti o pagamenti in grado di impattare sulla debenza e sull’entità RAGIONE_SOCIALE pretese erariali.
Pertanto, le censure finiscono per colpire le valutazioni compiute dal giudice e frutto del libero convincimento di cui è
istituzionalmente depositario. Ed allora, le censure tralignano all’evidenza dal paradigma dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., per sfociare nella sostanziale richiesta a questa Corte di una preclusa riedizione dell’apprezzamento sul merito RAGIONE_SOCIALE pretese fiscali, alla luce dei fatti di causa e dei documenti che a dire della contribuente ne suggerirebbero (o ne avrebbero suggerito) una differente lettura.
Con il quarto motivo di ricorso, avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c. e alla sentenza n. 171 del 2018,9 si contesta l’apparenza della motivazione, la quale non lascia cogliere la ratio decidendi.
Con il quinto motivo di ricorso, avuto riguardo all’art. 360, n. 4, c.p.c. e alla sentenza n. 171 del 2019, si contesta la violazione degli artt. 115, 394, 395 e 400 c.p.c., per avere la CTR ritenuto erroneamente ammissibili le difese svolte dalla Direzione per la prima volta solo in sede di revocazione sull’asserita insussistenza del credito vantato dalla controllata RAGIONE_SOCIALE e riportato dalla CTO nel prospetto RAGIONE_SOCIALE liquidazioni periodiche IVA 2022.
Con il sesto motivo di ricorso, sempre con riferimento alla sentenza n. 171 del 2019, si adombra la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., e dell’art. 115, comma 1, c.p.c., per essere basata la sentenza revocanda basata sulla supposizione di un fatto (l’insussistenza del credito vantato dalla controllata RAGIONE_SOCIALE) la cui verità era esclusa dalla documentazione in atti, non avendo tra l’altro la Direzione mai contestato neppure in sede di rinvio la sussistenza del credito.
I motivi quarto, quinto e sesto sono avvinti da un nesso evidente che ne implica la trattazione congiunta. Essi infatti contestano a vario titolo la decisione d’inammissibilità del ricorso per revocazione, insistendo sull’asserita sussistenza di un errore di fatto suscettibile di giustificare la revocazione negata.
Le censure non colgono nel segno e vanno disattese.
La CTR ha evidenziato l’insussistenza, sulla scorta RAGIONE_SOCIALE
dichiarazioni allegate dalla contribuente, di crediti, soffermandosi sulla valutazione del materiale istruttorio e reputandolo inidoneo a dimostrare i crediti di cui la contribuente assume di essere titolare.
Ciò lascia ben cogliere la ratio decidendi coincidente con l’inadeguatezza RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni a porre in apice i crediti su cui parte ricorrente erige la propria difesa. Nell’indicare l’inidoneità probatoria RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni la CTR ha mostrato di valutare gli atti e i documenti di causa e alla stregua di essi di escludere la sussistenza dei crediti. Nel ribaltare la prospettiva la ricorrente evidenzia che il giudice avrebbe supposto l’inesistenza di un credito ancorché la dichiarazione IVA lo facesse emergere. In sostanza, tuttavia, la ricorrente imputa al giudice di merito un cattivo apprezzamento del materiale documentale pretendendo di vestirlo da errore di fatto; attribuisce, in altri termini, una svista a chi ha compiuto un giudizio. In tal guisa, la ricorrente censura, non un’attività percettiva di fatti, ma un’attività valutativa di atti, rigorosamente rimessa al sindacato riservato del giudice di merito.
Pertanto, mette punto rilevare l’inammissibilità, in linea di principio, RAGIONE_SOCIALE censure che dietro la parvenza dell’allegazione di un errore di fatto rilevabile ” ictu oculi ” e in maniera incontrovertibile alla luce RAGIONE_SOCIALE risultanze di causa, finiscono per contestare l’interpretazione che il provvedimento impugnato, sulla scorta di un’esatta percezione dei fatti, abbia dato di essi alla luce del compendio documentale vagliato.
Infatti, in tema di revocazione non rappresenta un vizio riconducibile entro l’alveo dell’errore revocatorio ex art. 395, n. 4), c.p.c. la prospettazione di una errata valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni fiscali, poiché l’errore, ove sussistente, non costituirebbe un errore di fatto, ma un errore di giudizio, conseguente a una errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali.
La parte non può dolersi, mediante il veicolo del ricorso per
revocazione, del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali sulle risultanze documentali, quindi in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio. Nel caso di specie, l’esistenza o inesistenza dei crediti vantati dalla parte ricorrente non rileva quale errore revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., trattandosi di un fatto su cui il giudice si è espressamente pronunciato.
Questa Corte ha affermato, d’altronde, a più riprese che la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022; Cass. n. 20635 del 2017).
Le doglianze contenute nei motivi quinto e sesto sono inammissibili anche nella parte in cui evocano un contrasto della decisione con l’art. 115 c.p.c. Basta al riguardo ricordare l’affermazione di questa Corte a tenore della quale ‘ Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice di merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1 , n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto che va censurato nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’ (Cass. n. 27947 del 2021). D’altronde, questa stessa Corte ha evidenziato che ‘ per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione
della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli ‘ (Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese, regolate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2024.