Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32101 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32101 Anno 2024
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3343-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOMECOGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura
allegata al controricorso e con domicilio digitale eletto presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata;
-controricorrente –
avverso l’ordinanza n. 23257/2020 della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, depositata il 23/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 9/10/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE (di seguito la Società) propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la revocazione, ex artt. 391bis e 395 n. 4 cod. proc. civ., dell’ordinanza di questa Corte indicata in epigrafe, che aveva respinto il ricorso proposto dalla Società avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo n. 1379/2015, con cui era stata riformata la sentenza n. 438/2014 della Commissione tributaria provinciale di Teramo in accoglimento del ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento con cui il Comune di Crognaleto, per gli anni d’imposta 2009/2010/2011/2012/2013, aveva richiesto – per l’elettrodotto posseduto dalla ricorrente «RAGIONE_SOCIALE» – il pagamento della TOSAP;
il Comune resiste con controricorso; parte ricorrente ha da ultimo depositato memoria difensiva.
CONSIDERATO CHE
va in primo luogo disattesa l’eccezione, sollevata dal Comune, di «improcedibilità del ricorso per revocazione per mancata produzione di copia autentica del provvedimento impugnato», atteso che dall’esame del fascicolo di parte ricorrente emerge che quest’ultima ha ritualmente depositato copia autentica dell’ordinanza oggetto di richiesta di revocazione;
2.1. con unico motivo la ricorrente deduce, ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ., l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il Collegio che aveva escluso l’esistenza della circostanza fattuale, emergente dalla «documentazione agli atti di causa» relativa all’attività della Società «strumentalmente necessaria all’erogazione di un pubblico servizio destinato fisiologicamente alle utenze,
il cui contenuto economico è sottratto alla libera iniziativa economica privata ma rientra nei meccanismi di regolazione di natura pubblicistica; fattispecie che rientr(erebbe)… nell’ambito della previsione dell’art. 63, lett. f), comma 2, del D.L.vo n. 446 del 1997, ossia ‘occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto da aziende di erogazione dei pubblici servizi e da quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi’»;
2.2. la censura è inammissibile;
2.3. va premesso che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità dell’istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte presuppone un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. e dunque un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece incontestabilmente escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa (fra le molte, cfr. Cass. 11 gennaio 2018, n. 442), postulando, l’errore revocatorio, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l’una desumibile dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti processuali, e non concernendo un fatto che sia stato discusso dalle parti e quindi trattato nella pronuncia del giudice;
2.4. il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede, invero, nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (cfr. Cass., S.U., 27 novembre 2019, n. 31032);
2.5. ne consegue che l’errore revocatorio che «ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze
processuali compiuto dal giudice» (cfr. Cass. n. 9527 del 04/04/2019; Cass. n. 27094 del 15/12/2011);
2.6. ciò posto, l’esame degli atti e le stesse affermazioni delle ricorrenti danno conferma del fatto che queste ultime non addebitano, in realtà, a questo Giudice di legittimità alcuna svista su dati di fatto, portati al suo esame, produttiva dell’affermazione o della negazione di elementi decisivi per la soluzione della questione proposta, ma sembrano volere suggerire un apprezzamento delle risultanze processuali diverso da quello adottato, laddove si fa rilevare che erroneamente il Collegio aveva ritenuto che l’attività di trasmissione e dispacciamento di energia elettrica su tutto il territorio nazionale in regime di concessione esclusiva da parte dello Stato, e dunque in qualità di monopolista, da parte della Società, non fosse strumentalmente necessaria all’espletamento di un pubblico servizio;
2.7. questa Corte, nell’ordinanza impugnata, richiamando l’art. 63 del D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, ha invero affermato quanto segue: « … dal tenore letterale della norma, emerge che la determinazione forfettaria del canone dovuto per le occupazioni permanenti, realizzate con cavi, condutture, impianti o con qualsiasi altro manufatto è subordinata alla ricorrenza di puntuali presupposti, di carattere soggettivo ed oggettivo: in particolare, da un lato, l’agevolazione presuppone, dal punto di vista soggettivo, che il soggetto occupante le aree pubbliche svolga attività di erogazione dei pubblici servizi ovvero attività strumentali ai servizi medesimi; dall’altro, dal punto di vista oggettivo, poi l’attività di erogazione ovvero quella strumentale deve essere in atto, atteso che il canone deve essere commisurato al numero delle utenze (ciò anche con riferimento alle occupazioni del territorio provinciale). L’indicata previsione rende evidente che l’agevolazione in parola si ricollega alla peculiarità dell’attività che viene svolta attraverso l’occupazione di aree pubbliche (erogazione di servizi pubblici o attività strumentale a questi ultimi) e -soprattutto- alla utilità che così è assicurata direttamente ai cittadini (utenti), in quanto, solo in tal modo, trova ragionevole giustificazione il sacrificio imposto al potere impositivo dell’amministrazione locale (ed alle sue entrate finanziarie). Il legislatore ha così effettuato, direttamente a livello normativo, una
comparazione e una non irragionevole composizione degli interessi pubblici in gioco (quello dell’ente locale, comune o provinciale, di ricavare un’entrata dall’utilizzazione dei suoi beni pubblici e quello dei cittadini all’utilità derivante dall’erogazione di servizi pubblici), sottraendo la relativa valutazione all’ente impositore, considerandola una questione di interesse generale e non meramente localizzabile. Da ciò si desume, in maniera chiara, che la misura agevolativa della determinazione forfettaria, ex lett. f), comma 2, dell’art. 63 del D. Lgs. n. n. 446 del 1997, secondo il suo stesso tenore letterale, può trovare applicazione solo per l’attività di erogazione di energia effettuata in favore direttamente dei cittadini. Conforta tale conclusione (oltre che lo stesso tenore letterale) anche la ratio della citata lett. f), del comma 2, dell’art. 63 del D. Lgs. n. 446 del 1997, che dal punto di vista logico, ancor prima che giuridico, giustifica la diversità di tariffa e l’applicazione del regime agevolativo, nella circostanza che l’erogazione del servizio pubblico avvenga direttamente in favore dei cittadini utenti. Né può ammettersi un’interpretazione estensiva della ricordata norma agevolativa: infatti, anche a voler prescindere dalla pur decisiva considerazione dell’inequivoco tenore letterale, già rilevato, e dalla sua delineata ratio (non ragionevolmente individuabile anche nella diversa ipotesi di produzione e trasporto di energia), dal punto di vista sistematico essa ha natura speciale, recando una deroga alle regole (criteri) generali di determinazione della tariffa dovuta, cosa che ne impone una lettura ed interpretazione rigorosamente conforme al suo tenore letterale, senza ulteriori possibilità di applicazioni analogiche o di interpretazioni estensive. (C.d.S. n. 01788/2013). In definitiva, poiché, secondo il legislatore, solo l’attività di erogazione in atto di servizi pubblici a favore di cittadini giustifica il regime agevolativo di cui si discute, la decisione della CTR non merita censure»;
2.8. è di palmare evidenza, dunque, che la pronunzia sulla deduzione della ricorrente circa l’applicazione del regime agevolativo forfettario Tosap di cui all’art. 63 del D.Lgs. 446/1997 in relazione all’attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, svolta dalla Società, risulta effettivamente e specificamente intervenuta, e si è di fronte all’invocazione di un’errata considerazione e interpretazione delle prove e delle allegazioni
delle parti e, quindi, di un errore di giudizio in cui sarebbe incorsa questa Corte nell’ordinanza in oggetto, come tale non prospettabile in sede di revocazione ex artt. 391 bis e 395 cod. proc. civ.;
2.9. nella specie, l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata per revocazione, rivolta all’esclusione della natura di servizio pubblico dell’attività svolta dalla Società, vale a risolvere un punto controverso della causa e non investe una circostanza pacifica, incontrovertibile nella sua esistenza, ma attiene alla valutazione degli atti sottoposti al controllo della Corte e che essa ha correttamente percepito, così che non viene in rilievo un errore denunciabile come revocatorio quando i fatti segnalati abbiano formato, come nella fattispecie, oggetto di esatta rappresentazione e poi di discussa valutazione (cfr. Cass. S.U. n. 8528 del 02/08/1993; conf. Cass. n. 442 del 11/01/2018; Cass. n. 23173 del 14/11/2016);
il proposto ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza con liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da