Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6053 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 6053  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
REVOCAZIONE
sul ricorso iscritto al n. 7204/2020  del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nato  a  RAGIONE_SOCIALE  il  DATA_NASCITA  e  COGNOME  NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nata a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA, nella loro qualità  di  eredi  di  COGNOME  NOME, deceduto  il  25  dicembre  2011,  rappresentati  e  difesi,  in ragione  di  procura  speciale  e  nomina  poste  a  margine  del ricorso,  dall’AVV_NOTAIO  (codice  fiscale  CODICE_FISCALE).
– RICORRENTI –
il RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), con sede alla INDIRIZZO, in persona del Sindaco pro tempore , NOME COGNOME, autorizzato in forza di deliberazione di Giunta comunale del 27 febbraio 2020, n. 35, rappresentato e difeso, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, unitamente e disgiuntamente, dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– CONTRORICORRENTE – per la revocazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 19196/2019, depositata il 17 luglio 2019, non notificata.
UDITA la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME all’udienza camerale del 3 dicembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con la suindicata sentenza questa Corte -per quanto ora occupa in relazione ai motivi di revocazione -accoglieva il ricorso per cassazione proposto dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 1041/2019 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettava l’originario ricorso proposto da NOME COGNOME volto al riconoscimento dell’esenzione dal pagamento dell’ICI per gli anni di imposta 2004/2007, in ragione della dedotta ruralità dei fabbricati oggetto di imposizione.
Tutto ciò, considerando  fondato il secondo  motivo  di impugnazione («[…] violazione di legge perché l’accatastamento dei fabbricati in D/10 è avvenuto nel 2009 e nel  2010  non  in  forza  del  D.L.  70/2011,  sicché  non  può
attribuirsi  ad  esso  l’efficacia  retroattiva  che  è  connessa  alla domanda  ed  alla  messa  in  atti  prevista  dal  D.L.  70/2011»), assumendo che:
 -[…] l’immobile che sia iscritto in catasto dei fabbricati come ‘rurale’, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del D.L. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’ICI»;
[…] il D.L. 70/2011 ha disciplinato le modalità attraverso cui i contribuenti possono fare attribuire agli immobili la categoria A/6 e D/10, con effetto retroattivo ‘in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”. È però evidente che tale disposizione si riferisce solo alle richieste di classamento presentate con la procedura di cui all’art. 7 del predetto D.L. e non ad altre procedure. In particolare non può riferirsi al caso di specie perché la richiesta di classamento è stata presentata negli anni 2009 e 2010 – e quindi certamente non con le modalità previste da una norma emanata successivamente – i cui effetti non sono assistiti dalla efficacia retroattiva quinquennale prevista dalla citata normativa emanata nel 2011 (cfr. Cass. 12663/2017)» (così nella sentenza impugnata);
 NOME  e  NOME  COGNOME,  nella  menzionata  qualità, proponevano ricorso per revocazione contro la predetta sentenza,  notificandolo  il  17/19/21  febbraio  2020,  sulla  base di  quattro  motivi,  successivamente  depositando,  in  data  11 novembre 2024, memoria ex art. 380bis . 1, c.p.c.
 Il  RAGIONE_SOCIALE  resisteva  con  controricorso notificato il 20 marzo 2020, depositando, in data 5 novembre 2024, memoria ex art. 380bis . 1, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono. E ciò, non senza aver prima ricordato che:
l’errore di fatto previsto dall’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. (oggetto di richiamo nell’art. 391bis c.p.c.), idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore revocatorio, pertanto, deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, che richiama Cass., Sez. T., 15 dicembre 2022, n. 36870 cit., che richiama ex plurimis , Cass., 29 marzo 2022, n. 10040; Cass., Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367; Cass., 11 gennaio 2018, n. 442; Cass., 29 ottobre 2010, n. 22171);
-non costituisce, pertanto, errore revocatorio l’interpretazione o la valutazione degli atti di causa (cfr., tra le tante,  anche  da  ultimo,  Cass.,  Sez.  II,  28  febbraio  2024,  n. 5270)  e  non  costituiscono  vizi  revocatori  eventuali  errori  di giudizio o di valutazione (cfr., ex multis , così, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, cit., che richiama Cass., Sez. I, 13 dicembre 2023, n. 34854);
-l’errore deve poi avere carattere decisivo, nel senso che senza di esso la decisione sarebbe stata di contenuto diverso (cfr., tra le tante, Cass., Sez. II, 30 maggio 2022, n. 17379) e favorevole a chi invoca l’errore , e cadere su di un punto non controverso tra le parti e cioè su di un punto che non ha costituito oggetto di dibattito tra le parti (cfr. così, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, cit., che richiama, ex multis, Cass., Sez. III, 15 marzo 2023, n. 7435).
Con il primo motivo di ricorso il contribuente ha eccepito, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incors a la Corte per aver fondato la decisione sul contenuto precettivo dell’art. 7 d.l. n. 70/2011, laddove sia in primo grado, che in appello, le difese del RAGIONE_SOCIALE avevano solo riguardato la portata applicativa dell’art. 42 -bis d.l. 159/2007, in rapporto all’art. 9 d.l. n. 557/1993, senza interessare la questione dell’efficacia retroattiva della presentazione della domanda di variazione catastale, profilo questo che non era stato esaminato nemmeno dal Giudice dell’appello, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, laddove la Corte di legittimità aveva considerato una violazione di legge da parte del Giudice regionale a questi, in realtà, non attribuibile.
2.1. Si tratta di doglianza inammissibile.
Va ricordato che il secondo motivo del ricorso per cassazione  aveva  riguardato,  ai  sensi  dell’art. 360,  primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 2bis , d.l. n. 70/2011, 13, comma 14bis , d.l. n.  201/2011,  2,  comma  5ter ,  d.l.  n.  102/2013,  2  d.m.  26 luglio 2012 ed infine dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992.
La  questione  dell’operatività  o  meno  dell’applicazione  del citato  art.  7  d.l.  n.  102/2011  era  stata,  quindi,  oggetto  di controversia, avendo costituito il contenuto precipuo del secondo motivo di ricorso per cassazione ed è sufficiente tale rilievo,  alla  luce  dei  principi  sopra  esposti,  ad  escludere  la sussistenza dell’errore revocatorio.
2.2. Non va, peraltro, sul punto tralasciato di considerare che detta questione era stata espressamente trattata -diversamente da quanto opinato dai ricorrenti – dal Giudice regionale nella parte in cui aveva ritenuto fondato il ricorso del contribuente anche in relazione ai beni non censiti in catasto «[…], in quanto il contribuente ha presentato le domande di variazione catastale nel 2009 e nel 2010 per l’attribuzione delle categorie A/6 e D/10 come stabilito dal comma 2bis dell’art. 7 del DL 70/011 conv. n L. 106/2011 e dal c. 1 del DM 26/07/2012» (così nella parte finale della sentenza n. 1041/9/2017 della Commissione tributaria regionale).
Sennonchè,  la  valutazione  del  Giudice  di  merito  è  stata cassata  da  questa  Corte  con  la  sentenza  impugnata,  con  la quale si è ritenuto, invece, che tali dichiarazioni non potessero riferirsi – per forza di cose – alla procedura prevista dal d.l. n. 70/2011, siccome presentate in tempi anteriori.
Risulta, dunque, palese l’assenza del presupposto fondante la revocazione, emergendo da quanto precede che la
questione  dibattuta,  di  natura  giuridica,  si  era  sviluppata proprio sull’applicazione del regime agevolativo previsto dall’art. 7 d.l. n. 70/2011.
2.3. In realtà, il motivo tradisce le sue reali ragioni nella parte in cui ha lamentato che nelle controdeduzioni presentate nel giudizio per cassazione che ha dato luogo alla sentenza oggetto di revocazione, il contribuente aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione (v. pagina n. 7 del ricorso in esame) per essersi basato su di una lettura errata della sentenza del Giudice regionale, con ciò involgendo, quindi, una questione valutativa, di interpretazione della decisione e non di fatto, su cui la Corte si è espressa con la pronuncia impugnata.
Con la seconda censura l’istante ha dedotto, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte per aver accolto il secondo motivo di ricorso presentato dal RAGIONE_SOCIALE basandosi sull’assunto che il contribuente non aveva presentato la domanda di variazione ex art. d.l. n. 70/2011, senza però prendere atto che lo stesso non aveva alcun interesse ad inoltrare detta domanda «[…] a motivo del fatto che i fabbricati in contestazione risultavano già accatastati in categoria D/10 già prima dell’entrata in vigore del DL 70/2011» (v. pagina n. 16 del ricorso).
3.1. Anche tale doglianza risulta inammissibile.
Anch’essa,  invero,  si  pone  contro  la  valutazione  giuridica compiuta dalla Corte, che è stata risolta, in diritto, considerando  come  solo  la  dichiarazione  prevista  da  tale procedura, e non quella presentata dal contribuente, potesse spiegare  effetti  per  il  quinquennio  antecedente,  non  essendo
concepibile ipotizzare la produzione degli invocati effetti retroattivi  sulla  base  di  dichiarazioni  presentate  prima  che  il relativo modello procedurale fosse normativamente contemplato.
Insistere ora sul rilievo secondo cui non vi era interesse a presentare la domanda ex art. 7 d.l. n. 70/2011, in quanto i beni erano già accatastati in categoria D/10 sin dall’anno 2009, altro non significa che opporsi alla valutazione della Corte sulla questione giuridica dell’efficacia retroattiva della sola dichiarazione presentata ai sensi del citato decreto legge, emesso dopo l’accatastamento dei beni da parte dell’istante nell’anno 2009, e quindi non riferibile alla procedura già definita dal contribuente, valevole soltanto dalla relativa annotazione e non per i cinque anni anteriori.
Con la terza doglianza il ricorrente ha denunciato, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe caduta la Corte per aver fondato la decisione sulla circostanza della mancata presentazione della dichiarazione di variazione, «[…] senza però prendere atto che l’efficacia retroattiva della domanda è limitata ai cinque anni anteriori «[…] cosicché quanto meno per gli anni 2004-2005, anch’essi in contestazione, la mancata presentazione della domanda giammai avrebbe potuto incidere sul riconoscimento della ruralità e per gli effetti sulla debenza dell’ICI» (v. pagina n. 17 del ricorso).
4.1. La contestazione risulta carente di ogni interesse alla sua proposizione e non è, comunque, pertinente ad un errore revocatorio.
Va  premesso  che  il  Giudice  regionale  aveva  affermato  in parte motiva, senza contestazioni di sorta da parte dei
ricorrenti, che «[…] i fabbricati dei contribuenti vanno assoggettati all’imposta ICI per l’anno 2004 e 2005 a prescindere dall’inoltro della richiesta per il riconoscimento della ruralità a norma del DL. n. 70/2011 dato che l’efficacia retroattiva prevista dalla norma stessa non si estende a tali periodi di imposta (corte di cass. 6 luglio 2016. N. 13761)», ritenendo, quindi, «il ricorso del contribuente […] fondato limitatamente agli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 […]» (benchè l’avviso concernesse solo gli anni 2004/2007, come risulta dall’intestazione della sentenza e dalla seconda riga della parte narrativa della sentenza del Giudice regionale).
La stessa difesa dei ricorrenti ha richiamato nel ricorso in esame il suindicato passaggio della sentenza della Commissione regionale, considerando «opportunamente evidenziato»  (v.  pagina  n.  18  del  ricorso  in  rassegna)  dal Giudice  regionale  il  rilievo  della  non  incidenza  della  mancata presentazione della citata dichiarazione ai fini del «[…] riconoscimento  della  ruralità  e  per  gli  effetti  sulla  debenza dell’ICI»  (v.  pagine  nn.  17  e  18  del  ricorso)  per  gli  anni 2004/2005.
Ma, se così è e se, dunque, la mancata presentazione della domanda  non  avrebbe,  in  ogni  caso,  potuto  incidere  sulla debenza dell’ICI pei i predetti anni 2004/2005, resta indimostrato quale interesse muova ora l’istante alla proposizione  del  motivo  in  esame,  non  potendo  ricavarne  da esso alcuna utilità.
Così com’è palese la non ipotizzabilità di un errore di fatto revocatorio,  avendo  la  Corte  considerato,  a  monte  e  con valutazione giuridica di natura assorbente, l’inefficacia retroattiva di una dichiarazione resa negli anni 2009/2010 (e dunque, ove reputata retroattiva, capace di ricomprendere gli
anni 2004/2005), siccome non riconducibile al modello procedurale di cui al d.l. n. 70/2011.
Con l’ultima ragione di contestazione il contribuente ha riferito alla Corte, sempre ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe caduta per aver cassato la sentenza senza rinvio, senza considerare che la pretesa ICI aveva riguardato due fabbricati il cui carattere rurale non era in discussione, in ragione del fatto che erano stati iscritti in catasto con categoria catastale D/10 sin dall’anno 2000 e 2004, come riconosciuto dallo stesso RAGIONE_SOCIALE e risultante dagli atti interni del giudizio.
5.1. Anche tale contestazione non può ricevere seguito.
Non risulta affatto la circostanza secondo la quale due dei fabbricati, censiti in categoria D/10 sin dall’anno 2300 e 2004, erano  da  considerarsi  rurali  in  termini  non  contestati  dal RAGIONE_SOCIALE.
Nel  ricorso  per  cassazione,  infatti,  il  RAGIONE_SOCIALE  dava  conto che  il  giudizio  riguardava,  nella  sostanza,  sette  fabbricati  in relazione alle annualità 2006/2007, sei dei quali «[..] successivamente  (nel  2009-2010)  classati  in  categoria  D/10 […]» (v. pagine nn. 7 ed 8 del ricorso per cassazione) ed uno di essi in A/4.
L’epoca del classamento dei beni indicati a pagina 2 del ricorso per cassazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE (il primo, censito al folio 101, p.lla 551, Cat. D/10, località Castelline, annualità 2004/2007, data di accatastamento 16/8/2004; il secondo, censito al folio 100, p.lla 42, sub. 1, Cat. D/10, località Scopeto, annualità 2004/2007, data di accatastamento 14/7/2000) è stata, quindi, oggetto di esplicita controversia, essendo stati successivamente considerati anch’esso come
classato negli anni 2009/2010 e quindi coinvolti (non importa ora  se  a  torto  o  ragione)  nel  dibattito  processuale,  il  che esclude l’ipotesi del vizio revocatorio.
 Le  spese  del  presente  grado  di  giudizio  seguono  la soccombenza.
Non  solo. La palese inammissibilità dei motivi di revocazione evidenzia un utilizzo inappropriato dello strumento processuale  e,  dunque,  un  suo  abuso  nell’elaborazione  di ragioni  consentanee  ad  un  inammissibile  quarto  grado  di giudizio, volto a sovvertire la valutazione compiuta dalla Corte, il  che vale a giustificare la condanna al pagamento, in favore del  RAGIONE_SOCIALE,  di  una  somma  equitativamente  determinata,  ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.
Tale somma va determinata in misura pari ad una frazione delle spese di lite, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass. Sez. U, 28 ottobre 2022, n. 32001; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. T., 29 novembre 2023, n. 33284).
Va, infine, dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art  13,  comma  1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento  da  parte  del  ricorrente,  di  una  somma  pari  a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, in favore del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nella misura di 3.000,00 € per competenze, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed accessori ed al pagamento della somma di 200,00 € per esborsi, nonché, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, sempre in favore del predetto RAGIONE_SOCIALE, della somma di 1.000,00 € equitativamente determinata, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater ,  d.P.R.  n.  115/2002,  per  il  versamento  da  parte  del ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 dicembre