Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6034 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6034 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
REVOCAZIONE
sul ricorso iscritto al n. 22727/2020 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nato a Roma il 26 dicembre 1954, difeso da se stesso ai sensi dell’art. 86 c.p.c. ed altresì rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, in forza di procura speciale e nomina poste a margine del ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
l’ RAGIONE_SOCIALEcodice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– CONTRORICORRENTE – per la revocazione dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 30182/2019, depositata il 20 novembre 2019;
UDITA la relazione svolta all’udienza camerale del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la suindicata ordinanza la Corte dichiarava inammissibile il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME contro la sentenza n. 7133/2016 della Commissione tributaria regionale del Lazio (Roma), assumendo che «Con riguardo all’avviso di accertamento -questa Corte ha costantemente affermato che: «In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, che non è un atto processuale ma amministrativo, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso» (cfr. tra le tante Cass nr 24510/2018, 16147/2017). Lo stesso principio vale anche per le doglianze di violazioni di legge che involgono direttamente l’avviso di accertamento (cfr. Cass. 25917/2017). Nella fattispecie in esame il ricorrente non solo non ha provveduto a trascrivere nel ricorso, a corredo dei motivi, come era suo onere ai fini dell’autosufficienza i passi dell’avviso di accertamento nei suoi contenuti ma non ha neanche richiamato una sua eventuale allegazione all’interno
del fascicolo di parte né indicato in quale momento e sede processuale esso sia stato prodotto in giudizio in tal modo impedendo a questa Corte di verificare le dedotte carenze motivazionali e le violazioni di legge».
NOME COGNOME proponeva ricorso per revocazione avverso la suindicata ordinanza, con atto notificato il 22/27 luglio 2020, sulla base di un unico motivo, depositando in data 22 novembre 2024 memoria ex art. 380bis. 1., c.p.c.
L’Agenzia delle Entrate resisteva, notificando in data 9 ottobre 2020 controricorso, con cui chiedeva di dichiarare inammissibile e/o di rigettare l’impugnazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione, il ricorrente ha eccepito, con riferimento all’art. 391 -bis , primo comma, e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., la sussistenza di un errore di fatto nella parte in cui la Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso, opponendo, di contro:
-di aver assolto l’onere di trascrizione del contenuto dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO nella parte in fatto del ricorso, pur non riportandolo in virgolettato, aggiungendo che la sentenza impugnata rendeva perfettamente comprensibili le questioni poste al vaglio di legittimità innanzi alla Suprema Corte senza la necessità di ricercare atti e documenti presenti nei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio;
-«Dal raffronto tra i due documenti depositati dal ricorrente (ovvero ricorso e sentenza impugnata in copia autentica) diveniva perfettamente conoscibile il contenuto dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO e ad ulteriore dimostrazione della corretta rappresentazione da parte
dell’Avv. COGNOME del contenuto dell’avviso di accertamento impugnato si pone il fatto che esso coincide con quello rappresentato nella sentenza impugnata» (v. pagine nn. 13 e 14 del ricorso in esame);
-in ogni caso, il ricorrente aveva presentato l’istanza ex art. 369 c.p.c., volta alla trasmissione del fascicolo d’ufficio;
che la predetta dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, per carenza di specificità ai sensi dell’art. 366, primo comma, num. 6, c.p.c., era quindi « dovuto esclusivamente ad un errore di fatto e/o ad una ‘svista’ di natura percettivo-sensoriale relativa agli atti del giudizio di cassazione» (v. pagina n. 14 del ricorso), che integra i requisiti richiesti dagli artt. 391 bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., « in quanto l’errore di fatto è relativo ad una risultanza interna allo stesso giudizio di legittimità e muove dalla erronea supposizione dell’inesistenza di un fatto processuale (mancata trascrizione nel ricorso per cassazione e negli atti di causa della motivazione dell’avviso di riclassamento catastale), che viene confutata dalla mera lettura degli atti del giudizio» (v. pagina n. 14 del ricorso), richiamando sul punto la pronuncia di questa Corte n. 3107/2019.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni, subito avvertendo che questa Corte ha avuto modo di decidere altro giudizio tra le medesime parti avente ad oggetto le medesime questioni (cfr. ordinanza n. 23995/2024, resa nel giudizio n. 22720/2020 r.g.).
In assenza di argomenti contrari, non dedotti nemmeno nella memoria di cui all’art. 380 -bis .1. c.p.c, va allora ribadito quanto segue.
Sul piano dei principi, va ricordato che è stato ripetutamente precisato che:
l’errore di fatto previsto dall’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. (oggetto di richiamo nell’art. 391bis c.p.c.), idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore revocatorio, pertanto, deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nell’ipotesi dell’errore di giudizio (così Cass., Sez. T., 15 dicembre 2022, n. 36870, che richiama ex plurimis , Cass., 29 marzo 2022, n. 10040; Cass., Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367; Cass., 11 gennaio 2018, n. 442; Cass., 29 ottobre 2010, n. 22171);
l’errore di fatto rilevante deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, atti che la Corte può, e deve, esaminare direttamente, in correlazione ai proposti motivi di ricorso, ovvero alle questioni rilevabili d’ufficio (così Cass., 22 ottobre 2018, n. 26643; Cass., 5 marzo 2015, n. 4456; Cass., 18 febbraio 2014, n. 3820; v., altresì, Corte Cost., 31 gennaio 1991, n. 36), per cui, ai fini della revocazione per errore di fatto, rilevano (anche) i vizi degli atti del procedimento
allorché non se ne sia tenuto conto in conseguenza di un errore percettivo nell’esame degli atti del giudizio di cassazione, dovendosi, per converso, escludere dall’ambito dell’errore percettivo quello di valutazione e di interpretazione degli atti processuali, nonché l’ error iuris nell’applicazione delle corrispondenti disposizioni processuali, seppur oggetto di consolidati orientamenti interpretativi (così Cass., Sez. T., 15 dicembre 2022, n. 36870 cit., che richiama Cass., 21 febbraio 2020, n. 4584; Cass., Sez. U., 11 aprile 2018, n. 8984; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29922); non costituisce, pertanto, errore revocatorio l’interpretazione e la valutazione degli atti di causa (cfr., tra le tante, anche da ultimo, Cass., Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 5270) e non costituiscono vizi revocatori eventuali errori di giudizio o di valutazione (cfr., ex multis , Cass., Sez. I, 13 dicembre 2023, n. 34854);
-l’errore deve poi avere carattere decisivo, nel senso che senza di esso la decisione sarebbe stata di contenuto diverso (cfr., tra le tante, Cass., Sez. II, 30 maggio 2022, n. 17379) e favorevole a chi invoca l’errore e cadere su di un punto non controverso tra le parti e cioè su di un punto che non ha costituito oggetto di dibattito tra le parti (cfr., ex multis, Cass., Sez. III, 15 marzo 2023, n. 7435).
Ciò posto, va osservato che nella specie non può configurarsi il dedotto errore revocatorio, alla luce delle seguenti considerazioni.
4.1. L’istante ha riportato nel ricorso in esame la narrativa in fatto del ricorso per cassazione oggetto dell’impugnata ordinanza, da cui emerge (come del resto dallo stesso ricorso per cassazione) che con esso si era rappresentato che con «l’avviso di accertamento catastale n. NUMERO_DOCUMENTO l’Ufficio aveva comunicato la rideterminazione del classamento
e l’attribuzione di una nuova rendita catastale alle seguenti unità immobiliari: » (v. pagine n. 11 e 12 del presente ricorso e pagine nn. 1 e 2 dell’originaria impugnazione), facendo seguire a tale premessa l’elenco dei beni ivi considerati, singolarmente individuati con le lettere a ), b ), c ), d ), con indicazione della loro ubicazione, il corredo dei relativi dati catastali e la specificazione delle precedenti e nuove classi e rendite catastali attribuite.
4.2. il motivo di ricorso per cassazione concernente il vizio di motivazione dell’avviso impugnato contestava la valutazione del Giudice regionale, il quale aveva escluso tale deficit motivazionale e quindi rigettato l’appello incidentale proposto dal contribuente sul rilievo che « l’avviso contiene i presupposti giuridici rappresentati dal comma 335 della legge 311/2004 e deliberazioni conseguenti che non sono state contestate in ambito amministrativo ed anche i presupposti economici derivanti dalla valutazione dei valori medi di mercato per cui non è necessario che per la riclassificazione le unità immobiliari debbano avere avuto esecuzioni di lavori o di aumento di cubatura essendo sufficiente il valore aggiunto ambientale della micro zona per comportare una variazione catastale» (v. penultima ed ultima pagina della sentenza della Commissione tributaria regionale oggetto del ricorso per cassazione, priva di numerazione).
4.3. A fronte di tale apparato argomentativo il contribuente lamentava, con il motivo di ricorso per cassazione qui rilevante, che il vizio risultava « palese dalla semplice analisi dell’avviso di accertamento impugnato, nel quale sono presenti mere frasi standardizzate o di ‘stile’, senza alcun specifico riferimento alle unità immobiliari oggetto della revisione catastale» (v. pagina n. 8 del ricorso originario), contestando al Giudice regionale di aver fatto « discendere
dalla semplice individuazione delle micro zone da sottoporre a revisione catastale la motivazione intrinseca dei provvedimenti assunti dall’Agenzia delle Entrate» (v. pagina n 9 del ricorso originario), assumendo, invece, che la « suddivisione del territorio in ‘microzone’ e la revisione catastale non esclude la necessità di motivare il provvedimento assunto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente» (v. pagina n 9 del ricorso originario), con specifico riferimento all’unità immobiliare oggetto di revisione.
In relazione a tale motivo di ricorso per cassazione, la valutazione della Corte oggetto di impugnazione ha, nella sostanza, ritenuto che la sola elencazione nel ricorso dei beni oggetto di revisione e dei dati catastali contestati e l’assenza di ogni riepilogo del contenuto dell’avviso circa le «mere frasi standardizzate o di ‘stile’» ivi asseritamente adottate, che costituivano il nucleo essenziale della contestazione, non consentissero di prendere contezza del predetto deficit motivazionale, vale a dire della lamentata motivazione apparente dell’avviso, dovendo esigersi, ai fini dell’autosufficienza del motivo, che dette locuzioni fossero trascritte; da tale implicita, quanto ben percepibile, valutazione è derivata, dunque, la declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza.
Contrariamente, quindi, a quanto sostenuto dal ricorrente e diversamente dalla fattispecie esaminata da questa Corte con la pronuncia citata dall’istante (n. 3107/2019), il ricorso per cassazione non riportava testualmente, né riassumeva nella ricostruzione dei fatti di causa e nel motivo di impugnazione la motivazione dell’avviso opposto nel suo apparato argomentativo asseritamente viziato dall’utilizzo di una motivazione di fatto apparente (tramite le dedotte «mere frasi standardizzate o di ‘stile’»), né
tantomeno vi è traccia della sua allegazione al ricorso per cassazione.
La richiesta di cui all’art. 366 c.p.c. formulata dall’istante non poteva all’evidenza – supplire al vizio del requisito formale e contenutistico posto dall’art. 366 c.p.c., volto a porre la Corte nella condizione di comprendere le ragioni della contestazione sulla base della sola lettura del ricorso, così come non ha pregio il riferimento al contenuto della sentenza della Commissione regionale, ove si consideri che essa non solo si limitava a ritenere che l’avviso conteneva i presupposti giuridici (art. 1, comma 335, della legge n. 311/2004 e delibere conseguenti) ed economici (valutazione dei valori medi di mercato), ma soprattutto perchè forniva una valutazione di adeguatezza della relativa motivazione, la quale costituiva proprio l’oggetto della censura proposta con il ricorso per cassazione, il che postulava l’esigenza che di detto avviso venisse offerto un resoconto compiuto per verificare se la valutazione del Giudice d’appello fosse stata o meno corretta.
Non sussiste, quindi, il dedotto errore, ma una valutazione espressa dalla Corte sul contenuto degli atti di parte, che non può essere contestata come vizio revocatorio (cfr., tra le tante, Cass., Sez., IV, 12 ottobre 2022, n. 29750, che richiama Cass., sez. VI-L, 27 aprile 2018, n. 10184; Cass., sez. III, 29 marzo 2022, n. 10040; Cass., Sez. VI-T, 31 agosto 2017, n. 20635, punto 2).
Il ricorso maschera, in realtà, il tentativo di rimettere in discussione il giudizio compiuto da questa Corte sul predetto requisito del ricorso per cassazione, come reso palese nella memoria ex art. 380bis .1. c.p.c. nella parte in cui il ricorrente ha sostenuto che « un ricorso per cassazione per essere
‘autosufficiente’ non debba contenere ‘tutto’, ma tutto ciò che serva in relazione ai motivi di ricorso nel rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza espositiva degli atti processuali, canoni, questi che si contrappongono alla lettura rigorosa del principio di autosufficienza quale pedissequa e prolissa riproduzione di atti processuali integrali all’interno dell’atto di impugnazione» (v. pagina n. 2 della suddetta memoria), segnalando l’esigenza di superare il rigore formalistico dell’autosufficienza, come precisato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Detta prospettiva è diretta a rappresentare una diversa interpretazione del requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione, che, per quanto sopra detto, non è riconducibile ad un errore revocatorio; da qui, l’inammissibilità del ricorso, appena aggiungendo, per mera completezza di analisi, che la valutazione operata dalla Corte resiste, nel delineato contesto, anche tenendo conto della declinazione più elastica del principio di autosufficienza del ricorso nel senso indicato dalla Corte EDU con la sentenza del 28 ottobre 2021 (Succi ed altri c. Italia), ritenendolo cioè rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi avvenga, alternativamente, riassumendone il contenuto rilevante o trascrivendone i passaggi essenziali (cfr., tra le tante, Cass. Sez. I, 19 aprile 2022, n. 12481), adempimenti questi che, per quanto sopra esposto, non risultano essere stati rispettati.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
Sussistono, infine, i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente di una somma pari a quella
eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso;
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese del presente grado giudizio, che liquida in favore dell’Agenza delle Entrate nella somma di 3.800,00 € per competenze ed all’importo che risulterà dai registri di cancelleria prenotato a debito;
Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte del ricorrente di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 dicembre