Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1913 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1913 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4299/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
–
contro
ricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 23576/2015 depositata il 18/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la revocazione della sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 23576/2015, che ha dichiarato l’inammissibilità (perché tardivo) del ricorso proposto dalla società (all’epoca in bonis ) RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di un complesso immobiliare sito nel Comune di Marigliano, per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli n. 241/07/2008, depositata il 23/9/2008.
Quest’ultima sentenza aveva parzialmente accolto l’appello del predetto Comune di Marigliano di Marigliano avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 421/03/2006, dichiarando non dovuto il rimborso ICI richiesto (da NOME COGNOME) per il periodo impositivo dal 1993 al 1999, anno di attribuzione della rendita catastale e, viceversa, spettante alla contribuente il rimborso per l’anno 2000, ritenendo legittimo il criterio di determinazione della base imponibile, sulla scorta del valore contabile, fino alla fine dell’anno nel corso del quale viene attribuita la rendita catastale.
La società impugnava la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per due motivi: a) violazione e falsa applicazione, in relazione agli artt. 2909 e 2697 c.c., falsa applicazione dell’art. 22, c. 1 e 3, d.lgs n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. e nullità del procedimento per violazione del contraddittorio in relazione all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ., deducendo l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, stante la mancata produzione della cartolina di ritorno del piego postale con cui sarebbe stato spedito il ricorso in appello, non potendo ritenersi equipollente la menzione del protocollo assegnato all’atto in uscita dal Comune di Marigliano appellante e del numero del piego raccomandato di spedizione contenuta nella dichiarazione
di conformità ex art. 22, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, effettuata sempre dalla parte appellante in calce alla copia del ricorso; b) vizio di motivazione e, nel merito, violazione di legge, avendo la CTR alterato il meccanismo impositivo dell’ICI sostituendo, di fatto, la base imponibile, rappresentata dal valore dell’immobile, con il differente parametro costituito dal costo, assunto quale dato storico e maggiorato di un’aliquota rapportata all’anno di acquisizione, essendo il valore degli immobili desumibile dalla rendita catastale inferiore al costo storico di acquisizione risultante dalla contabilità sociale. Rilevava, inoltre, la società come l’art. 11, comma 1, terzo periodo, d.lgs. n. 504 del 1992, non si applica ai fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, anteriormente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati.
Il Comune si costituiva con controricorso.
Disposta l’acquisizione del fascicolo d’ufficio al fine di accertare la produzione nel giudizio di merito della cartolina di ritorno del piego postale relativamente all’atto di appello, al fine di verificarne la tempestività, il ricorso è stato deciso da questa Corte con la sentenza n. 23576/15 oggetto di revocazione.
CONSIDERATO CHE
Con unico motivo d’impugnazione il RAGIONE_SOCIALE ricorrente chiede la revocazione della suindicata sentenza sul presupposto che l’inammissibilità del ricorso per cassazione (perché tardivamente proposto) sia stata erroneamente dichiarata dalla Corte adita in quanto non si è tenuto conto che, stante la pubblicazione della sentenza dell’impugnata della CTR il 23/9/2008, il termine lungo (annuale) per la proposizione del ricorso per cassazione veniva a scadere il giorno 8/11/2009, applicandosi pacificamente la sospensione feriale del termini dal 1° agosto al 15 settembre (46 giorni), e che, cadendo di domenica, il termine s’intende prorogato al primo giorno successivo non festivo, il 9/11/2009, data in cui era stata richiesta la notifica del ricorso per cassazione a mezzo del servizio postale, notifica che si era poi perfezionata il 10/11/2009. Deduce, ancora, il ricorrente che, in conclusione, il ricorso per cassazione doveva considerarsi tempestivo, essendo la Corte di legittimità incorsa in un duplice errore su
circostanze di fatto, che non hanno formato oggetto di controversia, ossia la durata del periodo di sospensione feriale applicabile ed il carattere festivo dell’ultimo giorno (8/11/2009) computabile.
Il motivo di revocazione è fondato.
L’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, comma 1°, n. 4, cod. proc. civ., il quale consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (tra le tante: Cass. n. 26890/2019; n. 27131/2020; n. 22994/2021; n. 29042/2021; n. 40870/2021; n. 5387/2022).
Questa Corte, per quanto d’interesse, ha affermato che l’errore sul computo del termine per la proposizione della impugnazione integra un errore revocatorio, rilevante ai sensi dell’art. 395, comma 1°, n. 4, cod. proc. civ., in quanto riguarda un fatto interno alla causa che si risolve in una falsa percezione di quanto rappresentato dalle parti, costituendo il rilievo del dies ad quem e l’applicazione del calendario comune – adempimenti indispensabili per valutare la tempestività dell’impugnazione – elementi facilmente riscontrabili dalla lettura degli atti da parte del giudice (tra le tante: Cass. n. 23445/2014; n. 4565/2018; n. 4387/2019; n. 4964/2021; n. 21739/2021; n. 22994/2021; n. 31728/2022).
Secondo la decisione oggetto dell’istanza di revocazione: «La sentenza ( della CTR della Campania ) impugnata è stata depositata in cancelleria in data 23.9.2008 ed il ricorso per cassazione è stato spedito a mezzo posta in data 9.11.2012, come emerge dalla relata di notifica dell’originale del ricorso notificato in data 10.11.2012. Il ricorso va proposto, entro l’ordinario termine di sessanta giorni dalla comunicazione o – se anteriore – dalla notificazione di
essa (o, comunque, entro il termine previsto dall’art. 327 cod. proc. civ. e quindi entro un anno – maggiorato della sospensione feriale, se applicabile – dal suo deposito, se trattasi di giudizio intrapreso in primo grado prima del 4.7.09, come nella fattispecie, o, per quelli intrapresi dopo, entro sei mesi dal deposito, maggiorati della sospensione feriale se applicabile). Tenendo contro della sospensione feriale dei termini, il termine ultimo per proporre il ricorso per cassazione era il 7.11.2009 quindi, il ricorso notificato il 9 novembre 2009 deve essere considerato tardivo e, quindi, inammissibile.»
Evidenzia il RAGIONE_SOCIALE ricorrente che il periodo di sospensione applicabile era quello di 46 giorni, dal 1° agosto al 15 settembre (l’art. 16 del d.l. n. 132 del 2014 conv. con l. n. 162 del 2014, ha ridotto, a partire dal 2015, la sospensione dei termini processuali dal 1° al 31 agosto), per cui appare inconfutabile che il termine lungo di cui all’art. 327 cod.proc.civ. è stato puntualmente osservato in quanto esso si computa, in considerazione della sospensione dei termini processuali prevista dalla l. n. 742 del 1969, art. 1, senza considerare i (46) giorni compresi tra il 1° agosto ed il 15 settembre dell’anno della pubblicazione della sentenza impugnata, per cui il medesimo è venuto a scadere non già il 7/11/2009, ma proprio l’8/11/2009, cadente di domenica, con la conseguenza che detto termine deve intendersi prorogato al primo giorno seguente non festivo (cioè lunedì 9/11/2009), nel quale è stata pacificamente richiesta la notificazione.
Difatti, il termine per la notificazione del ricorso per cassazione che cada di domenica è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, ai sensi dell’art. 155, terzo comma cod. proc. civ. (Cass. n. 17754/2009).
Ne discende che il ricorso per cassazione della società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 241/2008 della CTR della Campania è stato tempestivamente proposto e, dunque, va accolto il ricorso per revocazione.
Esaurita la fase rescindente, con la revocazione della sentenza impugnata, il Collegio è chiamato a decidere, in fase rescissoria (art. 402, comma 1°, cod. proc. civ.), sull’originario ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Con il primo motivo l’allora ricorrente società ( in bonis ) deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2697 cod.civ., ovvero dell’art.
22, commi 1 e 3, d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 4, cod.proc.civ., nonché nullità del processo per violazione del contraddittorio, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’atto di gravame proposto dal Comune di Marigliano fosse stato ricevuto da essa appellata società RAGIONE_SOCIALE, in data 28/1/2008, circostanza non verificabile, con conseguente consunzione del mezzo di gravame e passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Evidenzia, altresì, parte ricorrente l’insufficienza della sola menzione del protocollo assegnato all’atto in uscita dal Comune e del numero del piego raccomandato contenuta nella dichiarazione di conformità ex art. 22, comma 3, d.lgs. n. 546 del 1992, effettuata dall’appellante in calce alla copia del ricorso e, in ogni caso, che neppure risulta prodotta in giudizio la copia dichiarata conforme – dell’appello spedito alla contribuente, accompagnata dalla cartolina di ricevimento, con conseguente ulteriore profilo di inammissibilità dell’impugnazione medesima.
Assume, di contro, il Comune di Marigliano che il ricorso in appello è stato tempestivamente notificato «alla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, procuratore costituito per la società RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di primo grado innanzi alla RAGIONE_SOCIALET.P. di Napoli, come da avviso di spedizione della racc. depositata agli atti. Comunque risulta agli atti la menzione del protocollo assegnato all’atto in uscita da(l) Comune medesimo e del numero del piego raccomandato, contenuto nella dichiarazione di conformità ex art. 22/3 D.Lvo 546/92.»
Con il secondo motivo, in via gradata, deduce insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5 e n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 5, commi 1 e 3, d.lgs. 504 del 1992, 7, d.l. n. 333 del 1992, conv. con l. n. 359 del 1992, 11, d.lgs. n. 504 del 1992, perché la CTR ha stravolto il meccanismo il meccanismo impositivo dell’ICI, sostituendo la base imponibile rappresentata dal valore dell’immobile (Cat. D) ‘a destinazione speciale’, con il differente parametro costituito dal costo di acquisizione/produzione, assunto quale dato storico e maggiorato di un’aliquota incrementale rapportata all’anno di acquisizione del bene. Deduce, altresì, la contribuente di avere interesse a che la base imponibile sia determinata sulla scorta del valore (catastale) degli
immobili direttamente stimato dall’UTE in quanto minore rispetto a quello desunto dal costo storico di acquisizione/produzione (contabile) e che i tempi di attribuzione della rendita catastale non devono andare a discapito del contribuente, che non può essere lasciato in una condizione d’incertezza rispetto all’esatto adempimento dell’obbligo tributario.
La prima censura è fondata.
Il RAGIONE_SOCIALE ribadisce che la cartolina postale di ritorno non è stata prodotta (pag. 3 seconda memoria illustrativa) e, per quanto è dato ricavare dall’esame dell’acquisito fascicolo d’ufficio, il documento in questione non si rinviene.
Nella sentenza della CTR Campania, al riguardo, si legge che «con atto consegnato a mezzo posta il 17/1/08, ricevuto il 28/1/2008, il Comune di Marigliano ha proposto appello… A causa della duplice costituzione venivano incardinati per lo stesso appello, due procedimenti, portanti rispettivamente… poi riuniti e decisi all’udienza discussione del 7 luglio 2008 … L’appellata società non si è costituita….»
Nel caso in esame, quindi, non opera la sanatoria ex art. 156 cod.proc.civ. per raggiungimento dello scopo e, tuttavia, la CTR non dice come abbia verificato la effettiva ricezione (28/1/2008) dell’atto di gravame, circostanza contestata e non è altrimenti riscontrabile in atti.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che è inammissibile il ricorso, o l’appello, che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, ove il ricorrente, o l’appellante, al momento della costituzione, non abbia depositato la ricevuta di spedizione del plico, o l’elenco delle raccomandate recante la data ed il timbro dell’ufficio postale, o l’avviso di ricevimento nel quale la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario, potendosi altresì valutare, alla stregua dell’originale, il ‘duplicato’ dell’avviso di ricevimento (Cass. n. 31879/2022; n. 14574/2018; n. 1957472019).
Difetta la produzione di tali documenti e, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ente impositore, non possono ritenersi equipollenti i dati riportati nell’atto di appello (numero di protocollo in uscita, dichiarazione di conformità
del difensore), mentre va rimarcata la circostanza che nel ricorso in appello tra i documenti offerti in comunicazione viene indicata solo «la copia della ricevuta di spedizione della raccomandata del ricorso notificato alla parte.»
In conclusione, l’appello del Comune di Marigliano doveva essere dichiarato inammissibile, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza n. 421/03/2006 della CTP di Napoli, che aveva accolto l’originario ricorso della contribuente e compensate le spese di lite.
L’accoglimento della prima censura determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso per cassazione.
Le spese del giudizio di cassazione e di revocazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo (Cass. n. 975/2019).
PQM
La Corte, accoglie in sede rescindente il ricorso per revocazione della sentenza n. 23576/15 della Corte di Cassazione e ne dispone la revocazione. In sede rescissoria, decidendo sul ricorso per cassazione (RGN 24907/2009) proposto da RAGIONE_SOCIALE, accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza della CTR della Campania n. 241/07/200, e dichiara inammissibile l’appello del Comune di Marigliano.
Condanna il predetto Comune al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE ricorrente, delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 7.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024.