Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16027 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16027 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22797/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 16370/2024 depositata il 12/06/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con il ricorso oggetto del presente giudizio, l’Agenzia delle entrate – nella resistenza, a mezzo di articolato controricorso, di RAGIONE_SOCIALE ricorre in revocazione con un unico motivo avverso la sentenza n. 16370 del 2024 resa dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte di cassazione all’esito della pubblica udienza del 14 febbraio 2024 e depositata il 12 giugno 2024, a definizione del giudizio n. 23252 del 2014 R.G. introdotto dalla medesima Agenzia nei confronti di ISE per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 5650/1/2014 depositata il 3 giugno 2014.
1.1. Apprendesi dal ricorso per revocazione che
la presente controversia trae origine da due avvisi di accertamento -n. TEB03T100047/2011, emesso ai fini delle imposte dirette per l’anno di imposta 2006 e n. TEB03T100046/2011, emesso ai fini IVA -impugnati da controparte ed i cui giudizi sono stati definiti, rispettivamente, con le sentenze di codesta Suprema Corte n. 16370/2024 e 16279/2024.
1.2. Specifica il controricorso che
all’esito delle verifiche fiscali svolte nei confronti di COMES, il 17 dicembre 2010, la Guardia di Finanza -Nucleo di polizia tributaria di Sondrio ha notificato alla medesima società processo verbale di constatazione (‘PVC’), rilevando la presunta nullità del contratto di compravendita, a rogito notaio COGNOME, con cui centro commerciale era stato trasferito da COMES a ISE. Il successivo 10 novembre 2011, l’Agenzia delle Entrate -Direzione regionale della Campania -Ufficio
Grandi Contribuenti (l”Agenzia’) ha dunque notificato a ISE due avvisi di accertamento, rispettivamente per i periodi d’imposta 2005 (‘Avviso 2005’) e 2006 (‘Avviso 2006’).
Mentre l’Avviso 2005 riguardava una contestazione in materia IVA, con l’Avviso 2006 veniva accertata una maggiore IRES per euro 39.752.171,00 ed una maggiore IRAP per euro 6.324.209,00, ed altresì irrogata una sanzione unica di euro 46.077.412,00 per infedele dichiarazione e irregolare tenuta della contabilità.
1.3. Il controricorso rende conto dell’impugnazione dell’avviso per l’a.i. 2006 relativo alle ii.dd. – il quale soltanto, presentemente, ne occupa- riferendo che
con sentenza n. 975/17/2013 del 18 dicembre 2013, notificata dall’Agenzia il 29 gennaio 2014, la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli ha rigettato il ricorso introduttivo, rilevando che ‘ai fini IRES, nel caso dedotto, non sussistano i requisiti di effettività, inerenza e correlazione richiesti dall’art. 109 del D.P.R. n. 917/1986 per la deduzione dei componenti negativi dall’imponibile IRES’ .
Avverso tale sentenza, il 3 febbraio 2014, ISE ha proposto appello, cui l’Agenzia resisteva opponendo anche appello incidentale.
Con sentenza n. 5650/1/14 del 3 giugno 2014 , la Commissione Tributaria Regionale di Napoli ha accolto l’appello proposto da ISE, rilevando, da un lato, l’infondatezza delle eccezioni preliminari fatte valere dall’Agenzia, dall’altro, l’illegittimità dell’Avviso 2006.
Avverso la sentenza n. 5650/1/14 della CTR della Campania, l’Agenzia proponeva ricorso per cassazione con sette motivi, resistito dalla contribuente, nell’ambito del già mentovato fascicolo n. 23252 del 2014 R.G.
2.1. La Sezione Tributaria, giusta sentenza n. 16370 del 2024, rigettava il ricorso, anche in riferimento al sesto ed al settimo motivo, con specifico riguardo ai quali osservando:
Il sesto mezzo di impugnazione, ai fini dell’art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 28 della
16 febbraio 1913, n. 89 da parte della sentenza impugnata nella parte in cui non trae le debite conseguenze dai vizi di nullità che inficiano l’atto per notaio COGNOME del 1° novembre 2005, avente ad oggetto la rivendita del Centro Commerciale dalla Comes alla contribuente e che ha comportato la contestata detrazione dell’imposta relativa. L’Agenzia rammenta che la nullità dell’atto può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, oltre ad essere rilevabile d’ufficio dal giudice ai sensi dell’art. 1421 cod. civ. e comporta che la vendita stipulata sarebbe improduttiva di effetti e non potrebbe giustificare la detrazione dell’imposta relativa alla cessione.
Con il settimo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3. cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli artt. 1343 e 1418 cod. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la nullità del contratto per causa illecita ed assume che, in ogni caso, la nullità non avrebbe impedito il diritto alla detrazione.
I due motivi sono connessi perché incentrati sulla contestata nullità del contratto ai fini della detrazione dell’imposta armonizzata e sono inammissibili. Come eccepito in controricorso, sia l’intestazione sia il succinto corpo delle censure sesta e settima recano un univoco riferimento testuale all’imposta armonizzata la quale, sin dall’atto impositivo impugnato, non è oggetto del presente processo: i motivi sono calibrati esclusivamente sul diritto alla detrazione dell’IVA. Dal momento che i motivi non sono congruenti con le riprese ad imposizione alla base del processo, relative alla deduzione dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP), sono inammissibili.
Tornando ora al ricorso per revocazione, dalla lettura dello stesso emerge, come già visto, che la Corte di cassazione conosceva anche della controversia riguardante l’altro avviso, giusta sentenza che vi si riferisce essere contraddistinta dal n. 16279 del 2024.
3.1. Il ricorso si sofferma sul diverso esito di cui alle due sentenze n. 16370 del 2024 e n. 16279 del 2024:
In particolare, con la all’avviso di accertamento relativo all’IVA codesta Suprema Corte, in accoglimento del sesto e
settimo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
Con la sentenza di cui in questa sede si discute -che ha definito il giudizio avverso l’avviso di accertamento n. TEB03T100047/2011, emesso ai fini delle imposte dirette per l’anno di imposta 2006 -invece, il ricorso dell’Agenzia è stato rigettato .
Insistendo nell’accoglimento del ricorso per revocazione, l’Agenzia delle entrate deposita ampia memoria telematica in data 26 marzo 2025, ad ulteriore illustrazione delle proprie ragioni, anche in chiave di replica alle difese avversarie.
Del pari, la contribuente deposita ampia memoria telematica in data 31 marzo 2025, mediante la quale insiste nelle assunte difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo del ricorso per revocazione, l’Agenzia denuncia: ‘Errore di fatto ex artt. 391 bis e 395 c.p.c., per avere la Suprema Corte erroneamente ritenuto che le censure articolate con i motivi sesto e settimo del ricorso in Cassazione fossero riferite all’IVA anziché alle imposte dirette’.
1.1. Il motivo -premessa la disamina di taluni principi giurisprudenziali in tema di revocazione delle pronunce della Suprema Corte di cassazione – riproduce il sesto ed il settimo motivo del ricorso per cassazione dall’Agenzia spiegato nel fascicolo n. 23252 del 2014 R.G.
Indi così prosegue:
Dalla semplice lettura dei citati motivi, emerge con tutta evidenza che, contrariamente a quanto erroneamente affermato dalla S.C. gli stessi non fanno affatto riferimento all’IVA, bensì alle conseguenze, ai fini delle imposte dirette, della accertata nullità ed improduttività di effetti del contratto in punto di inerenza all’attività di impresa (cfr. pagg. 85 -87 del ricorso che si allega).
Infatti, la svista che in questa sede si deduce consiste: a) nella percezione degli articoli indicati nella rubrica di entrambi i motivi e, cioè, gli artt. 28 della legge n. 89/1913 (6° motivo) e 1343 e 1418 c.c. (7° motivo) relativi alla nullità dell’atto notarile avente ad oggetto la stipula del contratto di vendita; b) nella percezione della effettiva doglianza conseguente alla violazione delle suddette norme, e cioè nelle conseguenze derivanti dalla dedotta nullità .
Si tratta di un errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, che presuppone l’esistenza di rappresentazioni divergenti dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dal ricorso per cassazione .
Si tratta di un errore di fatto oggettivamente e immediatamente rilevabile, nel senso che, dal controllo degli atti processuali, emerge ‘ictu oculi’ che la decisione è stata condizionata dall’inesatta percezione del fatto di cui si discute.
Nella fattispecie ricorre anche l’ulteriore presupposto cui viene subordinata l’ammissibilità del ricorso per revocazione, consistente nella decisività dell’errore ai fini della soluzione della controversia.
Pertanto, ove la Suprema Corte non fosse incorsa nel denunciato errore, avrebbe esaminato nel merito le censure prospettate e sarebbe certamente pervenuta a ben diverse conclusioni, analogamente alla coeva e speculare controversia definita con sentenza n. 16279/2024′.
2. Il motivo è inammissibile.
Non lo è per il lamentato, in controricorso, difetto di autosufficienza nel compiutamente riportare le vicende del procedimento amministrativo e del giudizio: invero, il ricorso somministra nel complesso essenziali riferimenti all’uno ed all’altro, che peraltro trovano riscontro nella narrativa di cui al controricorso: riferimenti sicuramente idonei a far comprendere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui il motivo stesso fonda, ragion per cui l’onere di autosufficienza (che non è fine a se stesso ma è asservito all’intelligibilità delle censure) deve ritenersi adempiuto.
Il motivo sfugge altresì all’eccezione di inammissibilità, pure formulata in controricorso, secondo cui, esposte le motivazione a fondamento dell’anelata pronuncia rescindente, ometterebbe tuttavia di formulare le necessarie richieste rescissorie: invero, il motivo, nell’argomentare, ‘in fine’, la decisività del vizio revocatorio, osserva, come visto, che, ‘ove la Suprema Corte non fosse incorsa nel denunciato errore, avrebbe esaminato nel merito le censure prospettate e sarebbe certamente pervenuta a ben diverse conclusioni, analogamente alla coeva e speculare controversia definita con sentenza n. 16279/2024’; ora, a differenza di quanto opinato in controricorso, siffatta formulazione finale del motivo rende ragione della richiesta rescissoria collegata al ricorso per cassazione di cui al fascicolo n. 23252 del 2014 R.G., giacché auspica, in conformità a quanto deciso dalla sentenza n. 16279 del 2024, l’accoglimento del sesto e del settimo motivo di detto ricorso, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza d’appello a mezzo dello stesso impugnata.
Ciò nondimeno, come anticipavasi, il motivo è (comunque) inammissibile perché, già dal punto di vista linguistico, ed oltremodo dal punto di vista concettuale, non allega alcun errore revocatorio, viepiù decisivo e non oggetto di discussione.
Mette conto di sunteggiare lo stato della giurisprudenza sulla revocabilità delle pronunce della Suprema Corte di cassazione.
5.1. Sulla premessa che il combinato disposto degli artt. 391 -bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione (‘né, con riguardo al sistema delle impugnazioni’, come chiarito, ad esempio, da Sez. U, n. 8984 del 2018, ‘la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte
le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia’), Sez. U, n. 23306 del 2016, ha espressamente rammentato come, per diritto e giudizio di diritto, debba aversi riguardo unicamente alla sfera di applicazione delle norme, ‘sub specie’, in sintesi, da un lato, dell’individuazione ed interpretazione della norme applicabili e, dall’altro, della sussunzione in esse dei fatti storici, siccome accertati.
Esclusa la ricorribilità in revocazione avverso pronunce di legittimità per errori riguardanti il diritto ed il giudizio di diritto, l’ambito dell’errore revocatorio si riduce, conseguentemente, ai soli casi di ‘sviste’ o ‘puri equivoci’, ad eccezione di errori di valutazione, che invece impingerebbero, essi pure, proprio sulla tipica attività ‘in iure’ della Suprema Corte (cfr. Sez. U, n. 8984 del 2018, che richiama Corte cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009).
Le ‘sviste’ di cui innanzi si risolvono classicamente in false (non già rappresentazioni, bensì) percezioni della realtà, obbiettivamente ed immediatamente (ossia liquidamente) rilevabili, attinenti all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento (non interno, ma) esterno al processo (Sez. U, n. 23306 del 2016).
L’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o -men che mai -di indagini o procedimenti ermeneutici (già Sez. U, n. 561 del 2000, cui ‘adde’, per tutte, Sez. U, n. 4413 del 2016).
Ai fini della revocazione, cioè, rileva solo il contrasto tra la rappresentazione di un fatto univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto posta a base della decisione del giudice, oltretutto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra. È per tale ragione che l’errore revocatorio è rappresentato da un errore percettivo risultante ‘ictu oculi’ dagli atti processuali e tale da aver indotto la stessa Corte di cassazione a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Sez. U, n. 26022 del 2008).
In ciò si apprezza anche il necessario requisito della decisività dell’errore, nel senso che, ove il giudice se ne fosse avveduto, avrebbe reso una decisione diversa.
È poi essenziale che la questione, asseritamente frutto di errore, non sia stata oggetto di discussione tra le parti, giacché, in tal caso, si verterebbe eventualmente di errore valutativo e non percettivo. Invero, ‘il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle
risultanze processuali compiuto dal giudice’ (Cass. n. 23306 del 2016).
6. Alla luce di tali premesse, venendo più specificamente al caso di specie, nella giurisprudenza di legittimità, già s’è avuto modo di statuire che non può ritenersi inficiata da errore di fatto la pronuncia della S.C. della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso, ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione ed interpretazione e quindi un’attività valutativa e non percettiva dell’oggetto di ricorso (Cass. n. 10466 del 2011; Cass. n. 7488 del 2011; Cass., Sez. U, n. 20013 del 2024).
Invero, ‘in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione’ (Cass. n. 10040 del 2022, in un caso in cui la S.C. ha escluso la rilevanza dell’erroneo accertamento dell’esistenza di un giudicato interno).
Recentemente, il Massimo Consesso di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 5792 del 2024), in termini icastici, osserva:
a chiave di volta della disposizione è il sostantivo «supposizione», riferita ad «un fatto». Il giudice di merito, ma dall’introduzione dell’articolo 391 bis c.p.c. anche la Corte di cassazione, non conosce del fatto, non giudica sul fatto, lo suppone, e lo suppone contro una cartesiana evidenza bidirezionale, trattandosi di un fatto che è incontrastabilmente escluso o positivamente stabilito. La falsa
supposizione non è frutto di una scelta deliberata, ragionata, è una falsa rappresentazione della realtà da ascrivere ad un abbaglio dei sensi, a disattenzione, distrazione, in buona sostanza ad una svista, la quale ricorre – si è autorevolmente osservato con formula tanto poco curiale quanto appropriata a fotografare ciò che in concreto accade nell’operare del giudice – quando il giudice prende «fischi per fiaschi e … verità per buggerate». In breve, una svista del giudice nella consultazione degli atti del processo. Si tratta, in particolare, di una svista non dissimile da quella in cui il giudice incorre in caso di errore materiale emendabile ai sensi dell’articolo 287 c.p.c., ma con la differenza che l’errore materiale è un errore esclusivamente testuale .
Viceversa, l’errore revocatorio è un errore non testuale, che si rivela attraverso la messa a confronto di due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, da un lato quella risultante dalla decisione del giudice, dall’altro quella, contrastante, tale da smentire la rappresentazione offerta dal giudice, che emerge univocamente dagli atti e documenti acquisiti al processo .
È quindi esclusa la rilevanza dell’errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell’errore di giudizio, quando sul fatto il giudice si sia pronunciato, giacché l’errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio. Come si è già detto, la distinzione tra momento percettivo e momento valutativo non potrebbe essere intaccata neppure da considerazioni provenienti dalle neuroscienze o dall’epistemologia, giacché ciò che rileva è la logica del processo giurisdizionale, per la quale se c’è controversia c’è giudizio, e se c’è giudizio non c’è errore percettivo .
Ulteriormente, sempre il NOME COGNOME (Sez. U, n. 15876 del 2024) chiosa:
Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni
processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio .
‘A fortiori’, in definitiva, anche una risposta al motivo di ricorso per cassazione ritenuta errata, perché fondata su una interpretazione del motivo non corrispondente alla sua reale portata, esula dalla nozione di errore revocatorio.
Ciò è quanto si verifica nel caso di specie, posto che il motivo di ricorso per revocazione imputa alla S.C. un’erronea ricostruzione, e dunque interpretazione, del sesto e del settimo motivo del ricorso per cassazione nel fascicolo n. 23252 del 2014 R.G., in quanto pretesamente non vertenti -come ritenuto dalla S.C. -(solo) sull’IVA, bensì -come sostenuto dall’Agenzia ricorrente anche mediante il parallelismo istituito tra la sentenza n. 16370 del 2024, quivi ricorsa per revocazione, e la sentenza n. 16279 del 2024 -sulle ii.dd.
Quel che dunque il motivo recrimina, non è un ‘error facti’, ‘sub specie’ di un mero errore percettivo, ma, ‘in limine’, un errore valutativo, riguardante l’individuazione dell’oggetto delle censure rassegnate nel sesto e nel settimo motivo.
7.1. La riprova si ha in ciò che la SRAGIONE_SOCIALE, proprio a stretto tenore della sentenza n. 16370 del 2024, s’è espressamente posta la questione preliminare dell’individuazione di tale oggetto, sciogliendola nel senso che le censure, facendo ‘univoco riferimento testuale all’imposta armonizzata’, erano decentrate rispetto alle riprese dell’avviso impugnato, relativo, esclusivamente, alle ii.dd.
Scrive infatti la S.C. che ‘i motivi sono calibrati esclusivamente sul diritto alla detrazione dell’IVA’, per l’effetto esplicitando, Essa medesima, un complessivo apprezzamento del loro contenuto attraverso un’operazione ricostruttiva esitata, infine, in una riduzione del fuoco delle censure ad un perimetro di senso (siccome plasticamente evocata dalla ‘calibratura’ dei motivi).
L’eventuale erroneità di tale operazione, tuttavia, non impinge sulla lettura dei motivi, in guisa di pura e semplice svista nella presa di conoscenza della dimensione grafica delle parole, ma involge il momento logicamente successivo dell’elaborazione del loro significato, onde trarne l’enucleazione di consistenza e bersaglio delle censure.
7.2. In aggiunta a quanto precede, deve altresì rilevarsi, a decisivamente corroborare il già indicato esito d’inammissibilità del motivo, che la questione, con riferimento alla quale la S.C., nell’ottica dell’Agenzia ricorrente, sarebbe caduta in errore, era stata pacificamente oggetto di contraddittorio nel giudizio ‘a quo’. Ne offre contezza proprio la sentenza n. 16370 del 2024, laddove afferma di aderire a specifica eccezione sollevata dalla contribuente in controricorso (‘Come eccepito in controricorso, sia l’intestazione sia il succinto corpo delle censure sesta e settima recano un univoco riferimento testuale all’imposta armonizzata ‘).
Viene così a difettare ‘anche’ l’ulteriore requisito negativo, di cui poc’anzi s’è detto, per la configurabilità di un errore revocatorio.
In ragione di tutto quanto precede, il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.
All’esito del giudizio consegue la condanna dell’Agenzia ricorrente a rifondere alla contribuente le spese di lite.
Queste sono liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo, tenendo conto, oltreché del deposito della memoria, del pregio e
dell’entità dell’attività difensiva; dell’importanza, della natura, e della difficoltà delle questioni vertite; oltreché del valore della causa, in rapporto al criterio di cui all’art. 6 d.m. n. 44 del 2015.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate a rifondere ad RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, liquidate in euro 67.000, oltre esborsi per euro 200, contributo forfettario al 15% ed accessori, se ed in quanto dovuti.
Così deciso a Roma, lì 11 aprile 2025.