Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13196 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13196 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14950-2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 144/2021 del TRIBUNALE di LODI, depositata il 29/11/2021 R.G.N. 569/2019;
Oggetto
R.G.N.14950/2022
COGNOME
Rep.
Ud.14/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
COGNOME NOME impugna con ricorso immediato in Cassazione la sentenza n. 144/2021 del Tribunale di Lodi che ha respinto il suo ricorso in opposizione a pignoramento notificatogli da RAGIONE_SOCIALE per crediti anche contributivi.
Propone quattro motivi di ricorso, cui resiste Agenzia delle Entrate -Riscossione con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 14 marzo 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
COGNOME NOME censura la sentenza sulla base di quattro motivi. I)ex art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza per errata applicazione degli artt. 429 cod. proc. civ. e 156, comma 2, cod. proc. civ.
II)ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., erroneità della sentenza per violazione degli artt. 416 e 420 cod. proc. civ., per avere il Giudice ritenuto tempestivi e quindi ammissibili gli avvisi di addebito e le rispettive copie delle cartoline di consegna depositati da ADER tardivamente in data 4 dicembre 2019 dopo la costituzione in giudizio.
III)ex art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., erroneità della sentenza per violazione dell’art. 2719 cod. civ. e degli artt. 214 e 215 cod. proc. civ., per avere il Giudice fatto errata applicazione delle norme sul disconoscimento di firma sulle fotocopie delle cartoline di ricevimento degli avvisi di addebito.
IV)ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5, cod. proc. civ., erroneità della sentenza per violazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 600/1973
con riferimento alla notificazione dell’intimazione di pagamento e per non aver il giudice tenuto conto di un fatto decisivo.
Lo sviluppo processuale è stato il seguente: il ricorso introduttivo del giudizio di merito è stato depositato il 30 settembre 2019, con prima udienza fissata per il 18 dicembre 2019; Ader si è costituita il 3 dicembre 2019 (ed ha depositato gli avvisi il giorno successivo); all’esito della prima udienza, il Giudice si è riservato, tra le altre cose, sulle eccezioni di tardività della produzione; la riserva è stata sciolta con ordinanza del 24 giugno 2020 con cui è stata fissata udienza di discussione al 27 novembre 2020; con decreto del 14 ottobre 2020 è stata disposta la trattazione scritta dell’udienza già fissata, con assegnazione alla parte ricorrente di termine per note conclusionali fino al 30 ottobre 2020, alla resistente per il deposito di brevi repliche ed infine ulteriore termine per note scritte di udienza contenenti le sole istanze e conclusioni.
In allegato al ricorso in cassazione sono state depositate le note ma non il decreto con cui è stata disposta la trattazione scritta dell’udienza del 27 novembre 2020: a pag. 7 del ricorso si legge che tale decreto stabiliva che ‘la data dell’udienza fissa ta costituirà sia per le parti che per il giudice il momento a partire dal quale dovrà essere adottato il provvedimento che definisce il giudizio o quello necessario per la ulteriore prosecuzione’.
Il 27 novembre 2021 il Tribunale ha deciso, con sentenza pubblicata il 29 novembre 2021 nella cui intestazione si legge: ‘all’esito della udienza con trattazione scritta del 27 novembre 2020…ha pronunciato la seguente sentenza con motivazione contestuale’.
Tanto premesso, il primo motivo di censura è inammissibile. Si osserva in primis che gli articoli del codice di rito invocati, su cui si fonda il principio di oralità e concentrazione fatto valere
dal ricorrente, non costituiscono le norme regolatrici del caso di specie, dove si è in presenza di una udienza di discussione tenuta con il rito c.d. cartolare regolato dalla disciplina emergenziale in vigore il 14 ottobre 2020, giorno in cui è stato emesso il decreto di cui sopra.
A quella data, al rito lavoristico di cui agli artt. 429 cod. proc. civ. e ss. era stato affiancato un nuovo modello procedimentale ‘a trattazione scritta’, regolato dall’art. 221 del d.l. n. 34/2020, convertito nella legge n. 77/2020, che aveva modificand o l’art. 83 del d.l. n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020, contenente la prima disciplina ‘sperimentale’ resasi necessaria per garantire il funzionamento della giurisdizione anche nel periodo di emergenza pandemica.
L’art. 221, al comma 4, aveva stabilito che, sino al 31 ottobre 2020 (termine, poi, più volte prorogato sino al 31 dicembre 2022), «il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza dei soggetti diversi dai difensori siano sostituite dal deposito telematico di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni; il giudice comunica alle parti almeno 30 gg prima della data fissata per l’udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte ed assegna alle parti un termine fino a 5 gg prima per il deposito delle note scritte. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell’art. 181 cod. proc. civ.».
Parte ricorrente non si confronta con la suddetta disciplina speciale, richiamando, invece, quella giurisprudenza di legittimità per cui l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina, ai sensi dell’art. 156, comma 2, cod. proc. civ., la nullità insanabile per mancanza del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo
dell’atto e correlato alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione.
Il motivo omette, poi, di dedurre quale interesse meritevole di tutela sarebbe stato, nella specie, leso, poiché non viene allegato alcun pregiudizio né al diritto di difesa né al contraddittorio che, anzi, espressamente si afferma essere stati rispettati, avendo il Giudice concesso ad entrambe le parti termine per note (conclusionali e di replica) nonché termine per note sostitutive di udienza.
Nel dolersi del fatto che sia stata omessa la lettura del dispositivo in udienza e che la decisione, comprensiva di dispositivo e motivazione, sia stata depositata un anno dopo il termine assegnato per il deposito delle note scritte ex art. 221 del d.l. 34/2020, il ricorrente non fa valere alcuna lesione del diritto di difesa cui ancorare una dichiarazione di nullità dell’attività processuale svolta, considerato altresì che, una volta comunicata la sentenza, sono decorsi da tale data i termini per l’impugnazione ritualmente esercitata in questa sede.
Pertanto, la censura non risulta ammissibile.
Il secondo motivo è infondato e va respinto.
Il ricorrente si duole della tardività della produzione in giudizio da parte di NOME degli avvisi di addebito, di cui era contestata la ricezione, e delle relative cartoline di ricevimento, che sono stati depositati il giorno successivo al deposito della memoria di costituzione, sostenendo altresì che di tali documenti in detta memoria non sarebbe stata fatta menzione.
Al netto di profili di inammissibilità in relazione a quest’ultimo aspetto della censura, non supportato dalla trascrizione dell’atto dalla cui lettura solo si potrebbe apprezzare la doglianza, il motivo è infondato: il deposito dei documenti è avvenuto il 4 dicembre 2019, quindi nei termini di cui all’art. 416 cod. proc.
civ., essendo la prima udienza fissata al 18 dicembre 2019; il Giudice poteva ammettere i documenti ex art. 421 cod. proc. civ.
Si legge nella recente Cass. n. 22907/2024 che, «come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, sin dalla nota sentenza nr. 8202 del 2005 (cui hanno fatto seguito numerose altre decisioni conformi), il deposito di atti in momento successivo alla memoria di costituzione non è elemento di per sé ostativo alla relativa acquisizione se la produzione abbia ad oggetto circostanze decisive e allegate negli atti introduttivi. L’insegnamento costante della Corte indica, infatti, che nel rito del lavoro occorre contemperare il principio dispositivo con quello di ricerca della verità e, in questa prospettiva, si colloca l’esercizio del potere istruttorio officioso previsto dall’art. 421 cod.proc.civ. e dall’art. 437, comma 2, cod.proc.civ. Nel giudizio di appello, pertanto, il deposito di atti non prodotti tempestivamente non è precluso in via assoluta. Il Giudice può sempre ammetterli, ai sensi e per gli effetti del cit. art. 437, ove li ritenga indispensabili ai fini della decisione (Cass. nr. 11845 del 2018; Cass. nr. 21410 del 2019; Cass. nr. 28439 del 2019) ovvero idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione. Il giudizio di indispensabilità della prova (vedi Cass., Sez.Un., nr. 10790 del 2017) postula, infatti, una valutazione di efficacia dell’intervento officioso a dissipare lo stato di incertezza sul fatto controverso, smentendolo o confermandolo senza lasciare margini di dubbio».
Il terzo motivo, concernente la lamentata errata applicazione delle norme in materia di disconoscimento in relazione alle firme apposte sulle cartoline di ricevimento delle notifiche degli avvisi di addebito, è inammissibile in considerazione delle modalità
con cui è stato proposto, che si scontrano con la necessaria autosufficienza e specificità delle censure.
La sentenza ha richiamato i precedenti di legittimità in forza dei quali, in tema di notifica di cartella ex art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 602/1973, la prova del perfezionamento del procedimento di notifica è assolta dalla produzione dell’avviso di ricev imento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella che, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo stante la presunzione di conoscenza ex art. 1335 cod. civ., superabile solo se il medesimo provi di essersi trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prenderne cognizione.
Quanto al disconoscimento, la sentenza impugnata ha ritenuto che quello operato dal ricorrente fosse privo dei requisiti necessari con valutazione che -secondo questa Corte -«costituisce giudizio di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità’ (così Cass. n. 1324 del 2022; conf. Cass. n. 2033 del 2022)» (Cass. n. 37186/2022).
In ordine al disconoscimento, orientamento uniforme di legittimità afferma che «in tema di prova documentale, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (tra molte: Cass. n. 28096 del 2009; tra le recenti: Cass. n. 9533 del 2022); invero il
disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (ex plurimis: Cass. n. 16557 del 2019; Cass. n. 14279 del 2021); in particolare, il disconoscimento deve contenere l’indicazione delle parti in cui la copia sia materialmente contraffatta rispetto all’originale; oppure le parti mancanti e il loro contenuto; oppure, in alternativa, le parti aggiunte; a seconda dei casi, poi, la parte che disconosce deve anche offrire elementi, almeno indiziari, sul diverso contenuto che il documento presenta nella versione originale (in termini: Cass. n. 16836 del 2021 con la giurisprudenza ivi citata)» (Cass. n. 37186/2022).
Nel ricorso di legittimità non sono trascritte le espressioni utilizzate in giudizio per il disconoscimento: ciò non consente di apprezzare la doglianza, considerato altresì che dal motivo non si comprendono le motivazioni per cui il Giudice avrebbe errato nel ritenere generico detto disconoscimento e nello stesso motivo il ricorrente afferma di aver disconosciuto le firme apposte sulle fotocopie delle cartoline di ricevimento nonché ‘la conformità delle fotocopie’ degli avvisi di ricevimento.
Infondato è, infine, il quarto motivo, concernente la notificazione dell’intimazione di pagamento, di cui il Tribunale ha affermato la ritualità essendo stato il plico consegnato al luogo di residenza del ricorrente a mani di persona identificata, con succ essiva comunicazione dell’avvenuta consegna tramite raccomandata: ‘anche per la valida notifica dell’intimazione di pagamento è dunque irrilevante, attesa la pacifica consegna
dell’intimazione al luogo di residenza e domicilio del ricorrente, che il ricevente COGNOME NOME sia o non legato da vincoli di convivenza con il ricorrente. Non è in contestazione che il ricorrente abbia avuto conoscenza dell’atto di intimazione, che h a pertanto raggiunto lo scopo’.
Il ricorrente innanzitutto non si confronta pienamente con il decisum e censura lo stesso elemento vuoi come violazione di legge vuoi come omesso esame di fatto decisivo. Infatti, da un lato prospetta che il Tribunale avrebbe violato l’art. 60 del d.P.R. n. 600/1973 nel momento in cui ha ritenuto corretta la notifica a soggetto diverso da persona di famiglia o addetta alla casa ma nel contempo sostiene che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che il ricevente non era né familiare né affine.
Soccorre l’orientamento consolidato per cui «ove la notificazione sia avvenuta presso il domicilio del destinatario, è onere della parte che assume di non aver ricevuto l’atto notificato provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo (Cass., Sez. V, 18 giugno 2020, n. 11815; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 32981; Cass., Sez. VI, 15 ottobre 2010, n. 21362). L’orientamento riposa sul principio secondo cui l’art. 139 cod. proc. civ. fa discendere la presunzione iuris tantum di conoscenza, da parte del destinatario, dell’atto notificatogli, dalla consegna dell’atto stesso effettuata, presso la casa di abitazione dello stesso destinatario, a persona presente nel luogo, che a sua volta innesca la presunzione di conoscenza dell’atto da parte del destinatario (Cass., Sez. Lav., 5 aprile 2018, n. 8418; Cass., Sez. V, N. 21330/14; Cass. 29 novembre 2017, n. 28591; Cass., Sez. V, Sez. VI, 24 settembre 2015, n.
18989; Cass., Sez. II, 24 luglio 2000, n. 9658)» (Cass. n. 19831/2021).
Ed ancora, «in tema di procedimento di notifica ai sensi dell’art. 139, secondo comma, cod. proc. civ., la qualità di persona di famiglia o di addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda di chi ha ricevuto l’atto si presume iuris tantum dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo al destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 26501 del 17/12/2014)» (Cass. n. 35716/2023).
Nella specie, il ricorrente si è limitato a dedurre che il consegnatario dell’atto non fosse convivente, senza addurre alcuna specificazione in ordine alla occasionalità del collegamento tra il consegnatario e la presenza dello stesso nella sua abitazione.
E ‘ , comunque, e conclusivamente, dato pacifico che il ricorrente non solo non contesta la ricezione dell’atto notificato ma, anzi, la riconosce come ammessa.
Il ricorso va, pertanto, respinto, con condanna alle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 marzo