Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11017 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11017 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1830-2021 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrenti – nonché contro
Oggetto
CARTELLE ESATTORIALI
R.G.N.1830/2021
Ud.11/03/2025 CC
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1497/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/07/2020 R.G.N. 2575/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Attianese NOME adiva il Tribunale di Roma e chiedeva dichiararsi prescritto il credito portato dall’estratto di ruolo a lui stesso intestato, pari ad euro 8.929,56. Si costituivano in giudizio INPS e Agenzia delle Entrate Riscossione eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone comunque il rigetto nel merito. Con la sentenza n. 6126/2019 del 19/06/2019 il Tribunale di Roma dichiarava il difetto di interesse ad agire del ricorrente con l’impugnazione avverso l’estra tto di ruolo.
Avverso detta sentenza proponeva appello NOME COGNOME si costituivano nel giudizio di appello INPS e Agenzia delle Entrate Riscossione chiedendo il rigetto del gravame. La Corte di Appello di Roma, sezione lavoro, con la sentenza n. 1497/2020 depositata in data 08/07/2020, accoglieva parzialmente il gravame dichiarando l’interesse del ricorrente a impugnare l’estratto di ruolo e l’ammissibilità del ricorso originario; la Corte rigettava, tuttavia, nel merito l’impugnazione e condannava la parte appel lante al pagamento delle spese nei confronti degli enti resistenti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con unico motivo, il solo NOME NOME Si sono
costituite con controricorso INPS e Agenzia delle Entrate Riscossione chiedendo il rigetto del gravame.
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio dell’11/03/2025.
Considerato che :
Va premesso che sulla questione dell’interesse del ricorrente all’impugnazione dell’estratto di ruolo, in ordine alla quale la sentenza impugnata si è pronunciata in senso affermativo ed espresso, è calato il giudicato in difetto di impugnazione da part e dell’INPS e della Agenzia delle Entrate Riscossione.
Con l’unico motivo di ricorso la parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del d.P.R. n. 602/1973; artt. 25, 26, 49 e 57; d.m. n. 321/1999, artt. 1 e 6: del d.l. 31/12/1996, n. 669, art. 5, comma 5; degli artt. 2697, 2700, 2712 e 2719 c. c., artt. 214, 215, 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ..
La difesa del ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto ma senza contestare l’interpretazione delle norme invocate lamenta, piuttosto, che la Corte di merito avrebbe errato a considerare validi ed efficaci atti interruttivi della prescrizione del credito erariale. Sotto questo profilo il ricorso insiste circa la validità del disconoscimento effettuato dalla difesa del ricorrente in ordine alle relate di notifica degli atti interruttivi della prescrizione e richiama il disconoscimento effettuato nel verbale di udienza 27/02/2019 che viene riportato nel ricorso.
2.1. Orbene, la sentenza impugnata sul punto deve andare esente da censure perché proprio il disconoscimento invocato dalla parte ricorrente, per come riportato, è generico, onnicomprensivo e insufficiente a privare di efficacia le copie delle relate depos itate in atti dall’ente della riscossione.
2.2. La sentenza si è attenuta ai principi costantemente affermati da questa Corte in materia: in tema di prova documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha escluso che il contribuente avesse disconosciuto in modo efficace la conformità delle copie agli originali, in quanto, con la memoria illustrativa, si era limitato a dedurre la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità “a quanto espressamente richiesto” con il ricorso) (Cass. 20/06/2019, n. 16557). Ed ancora: in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso (Cass. 11/10/2017, n. 23902).
Sempre con l’unico motivo di ricorso si deduce che la sentenza sarebbe caratterizzata da motivazione apparente e, sebbene senza invocare l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si denuncia nullità della sentenza. Il motivo è, anche sotto questo profilo, infondato perché la motivazione della sentenza è logica, completa, esauriente. La Corte di Appello individua il termine di prescrizione applicabile, la decorrenza di esso, gli atti interruttivi opposti dall’ente della riscossione verificandone validità ed efficacia. La motivazione della sentenza si pone, così, ben oltre il minimo costituzionale necessario e sufficiente.
Sempre in ragione dell’unico motivo di ricorso, è dedotto un ulteriore profilo di critica alla sentenza impugnata, che avrebbe errato nel considerare gli atti prodotti in giudizio quale valida interruzione della prescrizione. Orbene, tale profilo di critica è inammissibile perché mira a rimettere alla Corte un irriferibile rivalutazione del materiale istruttorio e documentale che la Corte territoriale ha già valutato come rappresentativo della interruzione della prescrizione.
4.1. Il motivo di ricorso non vale, in ultima analisi, nemmeno ad attingere la motivazione della Corte, atteso che la sentenza impugnata rileva come le contestazioni sollevate dalla difesa di NOME COGNOME circa l’efficacia degli atti interruttivi della prescrizione siano state tardive oltre che generiche e, pertanto, come la questione non sia stata validamente devoluta al giudice di appello. A fronte di questo rilievo, nell’atto di impugnazione non è specificato come, dove e quando la questione sia stata posta in primo grado e poi riproposta in appello.
Il ricorso deve, allora, essere integralmente respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza tra la parte ricorrente e l’INPS e sono liquidate come in dispositivo. Nulla in ordine alle spese tra la parte
ricorrente e l’Agenzia delle Entrate Riscossione che è stata convenuta in giudizio solo ai fini della litis denuntiatio .
P.Q.M.
rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti dell’INPS che liquida in euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi, euro 200,00 per esborsi e accessori come per legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta