Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21284 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21284 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
Oggetto: Estratto di ruolo Impugnazione delle cartelle presupposte – Conformità all’originale della copia dell’avviso di ricevimento -Disconoscimento Conseguenze.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21264/2022 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difes o dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti.
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia, n. 373/2022, depositata il 9.2.2022 non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Milano, COGNOME NOME COGNOME impugnava due cartelle di pagamento, sostenendo di esserne venuto a conoscenza solo a seguito di una verifica dell’estratto di ruolo, richiesto all’agente della riscossione per controllare eventuali pendenze tributarie, ed eccependo di conseguenza l’inter venuta prescrizione delle pretese erariali.
In primo grado, la C.t.p. rigettava il ricorso, ritenendo tardiva l’impugnazione, attesa la rituale notificazione delle cartelle impugnate.
Tale decisione veniva confermata in appello dalla C.t.r., la quale ribadiva che le cartelle impugnate risultavano regolarmente notificate allo stesso contribuente ed al portiere dello stabile e che era generica la contestazione della non conformità agli originali delle copie delle relate di notifica depositate dall’agente della riscossione.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di due motivi. Resisteva con controricorso l’Ader.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 4, c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992; nullità della sentenza per inesistenza della motivazione in relazione alla conformità delle copie prodotte in giudizio rispetto all’originale, in relazione all’art . 360, comma 1, n. 4, c.p.c., avendo omesso la C.t.r. di indicare le ragioni che giustificavano il finale convincimento, considerato che il ricorrente non aveva mai visionato gli originali dei documenti contestati.
Con il secondo motivo di doglianza, il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 214, 215 c.p.c. e 2719 c.c., in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la
C.t.r. a porre a fondamento della decisione le copie delle attestazioni di notificazione, poiché, in presenza del loro disconoscimento, non potevano essere utilizzate come prova dei fatti.
Con il controricorso , l’COGNOME sostiene l’infondatezza del primo motivo, essendo chiare le ragioni sottese alla decisione impugnata, nonché l’inammissibilità ed infondatezza del secondo motivo, in quanto la contestazione della difformità dall’originale doveva essere contestata con querela di falso.
Premesso che la controversia riguarda l’ impugnazione di cartelle per il tramite di estratto di ruolo e che la ricorrente non risulta aver dedotto, neppure con memoria, la sussistenza di un suo specifico interesse ad agire, il ricorso per cassazione è in ogni caso infondato.
Con riferimento al primo motivo di doglianza, giova ricordare che, a seguito della riforma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’unica contraddittorietà della motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella insanabile e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella insuperabile (cfr. Cass., Sez. Un, 28 ottobre 2022, n. 32000). A tal riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che è oggi denunciabile in sede di legittimità solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rileva nte, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704; Cass. 13 gennaio 2023, n. 956 del 2023; Cass.17 novembre 2022, n. 33961). Questa anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione o di sua contraddittorietà (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso anche le più recenti e già menzionate Cass. nn. 28930 del 2023 e 33961 del 2022).
Orbene, la sentenza impugnata, seppur sinteticamente, contiene una espressa valutazione della contestazione concernente l’asserita difformità delle copie delle attestazioni di notifica rispetto agli originali: contestazione che è stata ritenuta generica, in quanto priva dell’indicazione dei motivi per cui le fotocopie non sarebbero attendibili, tenuto conto che esse erano chiaramente leggibili e contenevano tutti gli elementi necessari per la loro identificazione, ivi compresi gli estremi della raccomandata di spedizione, l’attestazione della ricezione e l’indicazione delle cartelle notificate .
Una siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo seguito dai giudici di merito e, per tale ragione, essa si sottrae alla censura articolata, collocandosi al livello del minimo costituzionale, richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata (cfr., da ultimo, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024, n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127).
6. Parimenti infondato è il secondo motivo di doglianza.
Giova ricordare che il disconoscimento che fa perdere alle riproduzioni meccaniche la valenza probatoria (previsto dall’art. 2712 c.c.), così come il disconoscimento di conformità con l’originale della copia fotografica non autenticata (previsto dall’art. 2719 c.c.) , va rigorosamente distinto dal disconoscimento della sottoscrizione o del contenuto del documento (previsto dall’art. 214 c.p.c.), afferendo a piani nettamente diversi. In particolare, disconoscendo la riproduzione meccanica si afferma la non conformità della realtà fattuale alla realtà riprodotta; per contro, disconoscendo la sottoscrizione di un documento si contesta la falsità dello stesso originale del documento, affermando la non riferibilità di esso a chi ne appare come autore.
Al riguardo, la giurisprudenza della Suprema Corte accomuna i due disconoscimenti solo per quanto attiene alle modalità ed ai termini di proposizione, ritenendo a tal fine applicabili in entrambi i casi gli artt. 214 e 215 c.p.c. (cfr. ex multis Cass. n. 13425/2014, Rv. 631388-01, e la successiva pronuncia conforme n. 4053/2018, Rv. 647808-01, nella quale si afferma che il disconoscimento della conformità all’originale delle copie fotografiche o fotostatiche che, se non contestate, acquistano, ai sensi dell’art. 2719 c.c., la stessa efficacia probatoria dell’originale, è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire, in modo formale e specifico, nella prima udienza o risposta successiva alla produzione).
Tuttavia, nelle medesime pronunce la Suprema Corte differenzia nettamente gli effetti e le conseguenze dei due tipi di disconoscimento, precisando che, mentre in caso di disconoscimento dell’autenticità del documento, la mancata richiesta di verificazione preclude l’utilizzabilità della scrittura; per contro la contestazione di cui all’art. 2712 o 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità alla realtà fattuale ovvero all’originale del documento anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
6.1. In particolare, Cass. n. 24456/2011 (Rv. 620331-01) ha statuito che, in tema di negazione di conformità di una copia all’originale, i relativi tempi e modalità di esercizio sono disciplinati dagli artt. 214 e 215 c.p.c., richiedendosi, quindi, la precisione ed inequivocità della negazione, sebbene un siffatto disconoscimento non abbia gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215, primo comma, numero 2), c.p.c., giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ed ancora, Cass. n. 9439/2010 (Rv. 612545-01) ha ritenuto che il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura, ai sensi dell’art.
2719 c.c., non abbia gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215, primo comma, numero 2), c.p.c., giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia, non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa.
6.2. Peraltro, con particolare riferimento alla riscossione delle imposte, la Suprema Corte ha affermato che, qualora la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi dell’art. 26, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della l. n. 890 del 1982, potendosi far valere solo a mezzo querela di falso le questioni circa la riferibilità della firma al destinatario della notifica (Cass. n. 29022/2017, Rv. 646433-01). E’ stato anche affermato che, n el caso di notifica a mezzo del servizio postale di cartella esattoriale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata”, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all ‘ art. 160 c.p.c. (Cass. n. 4556/2020, Rv. 65732401).
Ciò posto, nel caso in esame, la C.t.r. ha fatto corretta applicazione dei suesposti principi di diritto. Ed infatti, la mera contestazione della non conformità delle copie agli originali (ai sensi dell’art. 2719 c.c.), peraltro effettuata in maniera gener ica e non dettagliata, non produce gli stessi effetti processuali del disconoscimento della sottoscrizione della scrittura privata, in caso di mancata proposizione dell’istanza di verificazione. Sicché, ben poteva la C.t.r. utilizzare ugualmente le copie prodotte in atti al fine di formare il proprio convincimento.
Peraltro, trattandosi delle copie degli avvisi di ricevimento delle raccomandate, con cui erano state notificate al contribuente due cartelle di pagamento, ogni questione circa la riferibilità della firma ivi apposta al destinatario doveva essere fatta valere mediante la querela di falso, nel caso di specie non proposta.
Pertanto, sulla base di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU n. 4315/2020, Rv. 657198-03).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore d ell’ADER -Agenzia delle entrate riscossione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.400,00, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione