Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27460 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27460 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2534/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. EMILIA-ROMAGNA n. 1248/2015 depositata il 15/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 16/12/2004 NOME COGNOME e NOME COGNOME, soci della RAGIONE_SOCIALE, cedevano ciascuno al RAGIONE_SOCIALE la quota del 16,55% della propria quota di partecipazione nella predetta società, per un valore dichiarato di complessivi euro 500.000.
Il successivo 20/12/2004 il RAGIONE_SOCIALE comunicava la propria volontà di recedere dalla società e, in data 21/12/2004 l’assemblea della società deliberava l’accettazione della proposta, determinando l’importo della liquidazione, che veniva posta in essere con l’assemblea straordinaria del 19/10/2005.
In tale circostanza veniva liquidato al RAGIONE_SOCIALE l’importo di euro 500.000,00, comprensivo della quota nominale di capitale sociale di euro 3.432,00 e, contestualmente, si procedeva prima alla riduzione corrispondente del capitale sociale, poi alla sua ricostituzione ed aumento a € 110.000, utilizzando a tal fine le riserve straordinarie della società.
Per effetto dell’operazione, RAGIONE_SOCIALE iscriveva integralmente al conto patrimoniale la differenza da recesso di euro 496.568,00, pari alla differenza tra l’importo liquidato al RAGIONE_SOCIALE e il valore nominale del capitale sociale RAGIONE_SOCIALE quote annullate di euro 3.432,00, quale onere pluriennale ammortizzabile in due anni, imputando al conto economico la quota di euro 248.284,00.
Ad esito di verifica fiscale effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate di Parma, conclusa con redazione di PVC in data 13/10/2009, l’Ufficio notificava in data 17/12/2009 alla RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno di imposta 2004, accertando a carico della società una maggiore Ires di euro 81.933,00, una maggiore Irap di euro 10.552,00 ed irrogando, contestualmente, le relative sanzioni amministrative.
L’RAGIONE_SOCIALE, invocando l’art. 109 comma 9 del T.U.I.R., contestava alla società le richiamate operazioni, che avevano comportato l’iscrizione nello stato patrimoniale della differenza da recesso del socio, e recuperava a tassazione l’onere pluriennale imputato al conto economico.
La società impugnava l’avviso di accertamento, con ricorso che veniva rigettato dalla CTP di Parma.
Nel corso del giudizio di appello, promosso dalla RAGIONE_SOCIALE, il giudizio veniva interrotto a seguito della estinzione della società contribuente.
Riassunto il giudizio ad opera dell’ex socio NOME COGNOME, l’appello veniva rigettato dalla CTR dell’Emilia -Romagna.
Avverso la sentenza della Commissione regionale, indicata in epigrafe, il contribuente ricorre con due motivi e resiste l’Amministrazione con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la «Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 comma 9 lett. a) e 83 del DPR 917/1986».
Afferma il ricorrente che, in considerazione della richiamata disposizione, l’onere sostenuto dalla società quale differenza da recesso risulterebbe deducibile.
La censura deve ritenersi proposta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in quanto il ricorrente afferma che la ripresa a tassazione della differenza da recesso, da qualificarsi come un onere deducibile, non può, al contrario di quanto ritenuto dai giudici del merito, essere fondata sull’art. 109 del Tuir, norma invocata dall’Amministrazione finanziaria a fondamento della propria pretesa.
A tale riguardo si rileva che, nel caso di specie, il RAGIONE_SOCIALE è receduto dalla RAGIONE_SOCIALE e che la società ha perciò corrisposto al socio quanto dovuto in conseguenza del recesso.
La somma riconosciuta è stata calcolata sommando al valore della quota di patrimonio oggetto di recesso una differenza avente la funzione di rapportare il patrimonio nominale al valore di mercato, differenza che la società ha ritenuto di poter qualificare come un costo, e che ha pertanto provveduto a dedurre nella dichiarazione dei redditi.
La CTR, nella sentenza impugnata (p. 4), ha osservato, per quanto qui rileva, che «il recesso produce, dunque, i suoi effetti direttamente nella sfera patrimoniale della società e nei rapporti fra i soci, costituendo, quanto a quest’ultimi, l’anticipata liquidazione del valore della quota patrimoniale della società di cui sono titolari, ma ciò non comporta che l’operazione possa comportare riflessi sul conto economico della società stessa», e ha inoltre affermato che è del tutto logico ritenere, con riguardo alle «quote di capitale utilizzate per far fronte al recesso è del tutto legittimo ritenere che esse trovino riferimento in utili non distribuiti o utili futuri, latenti in bilancio, incorrendo, perciò, nel divieto di imputazione al conto economico sancito dall’art. 109, c. 9, lett a) del TUIR»
La società (ricorso, p. 8) a tale riguardo deduce che «Del tutto avulsa da ogni riferimento normativo e ‘ quindi la sentenza qui impugnata laddove tenta di ricondurre il corrispettivo erogato dalla società a responsabilità limitata al socio per il recesso, nella disciplina dettata dal citato art. 109, comma 9, lett. a) del TUIR, relativamente alle remunerazioni di titoli RAGIONE_SOCIALE società. (…) In conclusione l’art. 83 del T.u.i.r., che stabilisce il principio di derivazione civilistica del reddito imponibile dall’utile di bilancio, conferma che un costo imputato a conto economico è deducibile ai fini fiscali se non previsto quale indeducibile dalle norme contenute negli articoli successivi: posto che l’art. 109 comma 9 lett. a) non qualifica in alcun modo la c.d. ‘differenza da recesso’, la somma di euro 248.284,00 è stata correttamente iscritta come costo e portata in deduzione dal reddito fiscale.»
Replica l’Amministrazione affermando che «La statuizione, in questo senso, risulta fondata su un giudizio di piena condivisione, nell’interpretazione dell’art. 109 comma 9 del T.U.I.R. dell’operato dell’Ufficio. Infatti, l’attribuzione al socio receduto della differenza di recesso attiene ad un’anticipata liquidazione di utili futuri, latenti in bilancio e quindi soggiace ai limiti previsti dall’art.
109, comma 9 citato. Si richiama la portata della norma citata anche alla luce dell’interpretazione autentica contenuta nella Relazione di accompagnamento al decreto introduttivo della stessa (…) non essendo meritevole di condivisione l’affermazione della controparte, secondo cui nessuna norma fiscale prevede la ripresa a tassazione della differenza da recesso, dopo che la stessa è stata correttamente allocata a costo nel conto economico ai sensi dell’art. 83 del T.U.I.R. Semmai, al contrario, quest’ultima disposizione normativa osta all’inquadramento come costo di poste che rappresentano utili latenti.»
6. E’ opportuno ricordare che l’importo da liquidarsi al socio receduto da una RAGIONE_SOCIALE deve calcolarsi, ai sensi dell’art. 2473, terzo comma, cod. civ., in ragione del valore di mercato della sua quota di partecipazione al patrimonio sociale nel momento del recesso, e l’ammontare risulterà «di frequente superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto contabile. Tale differenza – che può derivare dal valore dell’avviamento, da plusvalenze latenti sui beni dell’azienda sociale, dalla partecipazione agli utili inerenti alle operazioni in corso alla data del recesso – è comunemente denominata “differenza da recesso”. La somma corrisposta al socio uscente a seguito della liquidazione della sua quota si può quindi considerare costituita da due componenti: a) la prima, consistente nel rimborso della quota di capitale sociale versata dal socio e nelle eventuali riserve, sia di utili sia di capitale, a lui distribuite; b) la seconda, derivante dall’eventuale maggior valore economico della società al momento del recesso rispetto al valore contabile del patrimonio netto, ciò che rappresenta la cosiddetta ‘differenza da recesso’» (Cass. sez. V, 14.9.2021, n. 24671).
6.1. Occorre quindi osservare che, ancora ai sensi dell’art. 2473 cod. civ., quarto comma, «Il rimborso RAGIONE_SOCIALE partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso … può avvenire anche
mediante acquisto da parte degli altri soci … Qualora ciò non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili o, in mancanza, corrispondentemente riducendo il capitale sociale; in quest’ultimo caso si applica l’articolo 2482 e, qualora sulla base di esso non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società viene posta in liquidazione».
Nella fattispecie, al rimborso RAGIONE_SOCIALE quote corrisposte al socio receduto la RAGIONE_SOCIALE ha provveduto solo in parte mediante le riserve disponibili, deliberando la ricostituzione del capitale sociale sino ad euro 110.000,00 secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente. La normativa civilistica non prevede che l’onere derivante dalla corresponsione della differenza da recesso possa essere fatta gravare sul conto economico della società, quando vi siano riserve disponibili.
6.2. Questa impostazione risulta coerente anche con il principio OIC n. 28, ove si legge «3. Recesso del socio … c) la riduzione del capitale per importo corrispondente alla quota posseduta dal socio uscente. In caso di rimborso superiore al valore nominale la differenza deve gravare sugli utili e sulle riserve disponibili, o in mancanza, deve essere convocata l’assemblea straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, ovvero lo scioglimento della società».
6.3. Inoltre, la differenza da recesso, nell’ambito RAGIONE_SOCIALE società di capitali, deve qualificarsi come una remunerazione, un reddito da capitale, che pertanto rientra nella previsione di indeducibilità di cui all’art. 109, comma 9, lett a), del Tuir, come chiarito anche dall’espresso richiamo che tale norma opera all’art. 44 del Tuir. Diversa è la situazione nella società di persone, in cui la differenza da recesso ha natura di reddito di partecipazione, ed è a questa differente circostanza che opera riferimento la risoluzione 25.2.2008, n. 64, dell’RAGIONE_SOCIALE, richiamata dalla ricorrente.
6.4. Deve pertanto richiamarsi il principio di diritto secondo cui «In tema di reddito di impresa, il componente negativo costituito dall’onere sopportato dalla società di capitali e relativo alla cosiddetta “differenza da recesso”, corrisposta al socio in occasione del recesso, deve qualificarsi come una remunerazione, un’anticipata liquidazione di redditi futuri o di utili latenti in bilancio, che pertanto rientra nella previsione di indeducibilità di cui all’art. 109, comma 9, lett. a), del Tuir, come desumibile dall’espresso richiamo che tale norma opera all’art. 44 del Tuir, e confermato dall’art. 47, comma 7, del Tuir, ai sensi del quale le somme o valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione RAGIONE_SOCIALE azioni o quote annullate; diverse risultando le valutazioni da operarsi con riferimento alle società di persone, in cui la differenza da recesso ha invece natura di reddito di partecipazione» (Cass. Sez. T., 22.04.2024, n. 10815).
6.5. La Commissione regionale si è attenuta ai richiamati principi, e dunque il motivo di ricorso è infondato.
Con il secondo strumento di impugnazione il ricorrente lamenta «In subordine, nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 8 del D.Lgs. 546/1992 e art. 10 legge 27/07/2000 n. 212, art. 6 del D.Lgs 18/12/1997 n. 472», assumendo che la decisione della CTR sarebbe comunque incorsa nella violazione del contesto normativo richiamato, non avendo riconosciuto l’invocata esimente RAGIONE_SOCIALE sanzioni per obiettiva incertezza della norma de qua .
7.1. La censura è infondata, non sussistendo i presupposti per l’invocata esimente.
7.2. Questa Corte ha, infatti, di recente ribadito (cfr. Cass. Sez. T. 29.01.2024, n. 2604) che «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere RAGIONE_SOCIALE
commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità RAGIONE_SOCIALE sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza su portata e ambito di applicazione RAGIONE_SOCIALE norme cui la violazione si riferisce – potere riconosciuto dall’art. 39 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (applicabile “ratione temporis”), tenuto fermo dall’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente» (Cass., 24 luglio 2013, n. 18031) e che «Sia nel vigore dell’articolo 39 bis del D.P.R. n. 636 del 1972, sia in forza dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 546 del 1992, l’incertezza interpretativa che giustifica il provvedimento con il quale il giudice tributario dichiari non applicabili le sanzioni non penali deve essere oggettiva e non soggettiva, atteso che la norma espressamente richiede si verifichino obiettive condizioni di incertezza» (Cass., 8 agosto 2005, n. 16707).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 18/09/2024.