Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4099/2017 R.G., proposto da:
ROMA CAPITALE, in persona del sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente-
-contro-
CONDOMINIO DI INDIRIZZO, in ROMA, in persona del legale rappres. p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrente-
-nonché-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t.;
-intimata-
avverso la sentenza del Tribunale di Roma, n. 20230/2016, pubblicata in data 31.10.2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31.01.2025 dal Cons. rel. dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Condominio di INDIRIZZO, in Roma, conveniva in giudizio, davanti al Giudice di Pace di Roma, Roma Capitale proponendo opposizione avverso un avviso di pagamento della somma di euro 1.377,25, oltre accessori, richiesta a titolo di canone per l’occupazione permanente di spazi ed aree pubbliche (COSAP) relativo all’anno 2006 ed afferente a griglie e intercapedini installate in area privata ed oggetto di licenza edilizia.
L’attore deduceva che tali strutture erano state realizzate su un’area privata contestualmente alla costruzione del fabbricato, di cui costituivano parte integrante ed essenziale, sicché non vi era stata occupazione di suolo pubblico.
Si costituiva Roma Capitale, eccependo la incompetenza per materia e la fondatezza della pretesa, ed era chiamata in giudizio “RAGIONE_SOCIALE“, la quale restava contumace.
Con sentenza n. 5228/13, depositata in data 11.2.2013, il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione e annullava l’avviso di pagamento.
Avverso tale pronuncia proponeva appello Roma Capitale, lamentando l’erroneità della sentenza laddove aveva annullato la successiva cartella esattoriale, in quanto domanda nuova ed inammissibile, e l’illegittimo rigetto dell’eccezione di incompetenza, ed invocando la sussistenza del presupposto impositivo.
Si costituiva il Condominio, evidenziando l’inammissibilità dell’appello per tardività, e a norma dell’art. 342 c.p.c., nonché eccependo l’infondatezza dell’appello.
Con sentenza del 31.10.2016, Il Tribunale rigettava l’appello di Roma Capitale, osservando che: preliminarmente, era infondato il motivo relativo all’asserita decadenza dall’impugnazione per decorso del termine breve per impugnare; in particolare, premesso che la sentenza risultava impugnata entro l’anno, l’appellato non aveva prodotto la notifica della sentenza; a tal fine, era necessaria la produzione della copia autentica della sentenza impugnata corredata dalla relata di notificazione, integrata, nel caso di notificazione a mezzo posta, dell’avviso di ricevimento della raccomandata, che non ammetteva equipollenti, con la conseguenza che la mancata produzione di tali documenti, come è nella fattispecie in esame, impediva, ai fini che qui interessano, il decorso del termine breve di impugnazione; era disattesa anche l’eccezione ex art. 342 c.p.c., considerato che il gravame individuava in modo specifico le parti del provvedimento che si intendeva impugnare e le modifiche richieste, nonché le circostanze da cui derivava la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione; in ordine alla competenza, s’affermava la competenza del giudice di pace trattandosi di controversia avente ad oggetto diritto che ha la sua fonte in un rapporto giuridico riguardante un bene immobile , in mancanza di richiesta di accertamento incidentale; per altro aspetto, non poteva considerarsi domanda nuova la richiesta di annullamento della successiva cartella esattoriale, trattandosi di naturale sviluppo dell’avviso di mora impugnato ed atto necessariamente conseguenziale e privo di autonomia; nel merito l’appello non era da accogliere; invero, con l’atto opposto era stato chiesto il pagamento del canone annuo per l’occupazione permanente di suolo comunale del 2006 con griglie
ed intercapedini realizzate lungo il perimetro del fabbricato; sul punto rilevava il disposto dell’art. 63 del d.l.vo n. 446 del 1997, nonché il Regolamento Cosap approvato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 334/1998 e successive modificazioni; il citato art. 63 attribuiva alle Province e ai Comuni la facoltà di prevedere, con apposito regolamento, ” che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa; il pagamento del canone può essere anche previsto per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge ” e che ” il regolamento è informato ai criteri della previsione delle procedure per il rilascio, del rinnovo e della revoca degli atti di concessione ‘ ; alla luce della normativa suindicata, dunque, l’applicazione del canone di occupazione del suolo pubblico presupponeva che, in precedenza, fosse stato rilasciato dall’amministrazione comunale un atto di concessione che nella fattispecie non risultava rilasciato, da tenere distinto rispetto alla concessione edilizia rilasciata per la costruzione del fabbricato, in relazione all’occupazione di suolo pubblico in esame; era invece da rigettare la domanda ex art. 96 c.p.c., poiché Roma Capitale non aveva agito in giudizio in mala fede o con colpa grave.
Roma Capitale ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza del Tribunale, con quattro motivi, illustrati da memoria. Il Condominio resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, avendo il Tribunale affermato la competenza per valore del giudice di pace in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, nonostante la rilevanza dell’accertamento dell’esistenza o meno del presupposto impositivo del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), cioè la natura dell’area sulla quale insistono le griglie ed intercapedini oggetto della richiesta di pagamento e, cioè, a prescindere se l’area suddetta sia privata, pubblica o soggetta al pubblico transito. Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 7 c.p.c. , come modificato dalla l. 24 novembre 1991 n. 374, in relazione all’art. 360, comma l, n. 2, c.p.c., per aver il Tribunale statuito in palese contrasto con quanto ormai pacificamente riconosciuto ed affermato dalle Sezioni Unite, che hanno chiarito come il canone per l’occupazione di spazi di aree pubbliche, istituito dal D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63 come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31 è stato concepito dal legislatore come un “quid” ontologicamente diverso, sotto il profilo strettamente giuridico, dal tributo (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo 2° del D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 ed alla L. 16 maggio 1970, n. 281, art. 5) in luogo del quale può essere applicato – risultando configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici – e, conseguentemente, che le controversie attinenti alla debenza del canone in questione esulano dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie (come delineata dal D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, pur dopo la sostituzione operata dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12) rientrando nell’ambito della competenza giurisdizionale del giudice ordinario, a mente della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, come modificato dalla L. 21 luglio
2000, n. 205, art. 7, anche in considerazione della richiesta di accertamento incidentale svolta.
Al riguardo, la ricorrente assume che si tratti di strada aperta al pubblico transito, con la naturale ed ovvia conseguenza dell’assoggettabilità delle griglie ed intercapedini al canone per l’occupazione di suolo pubblico, con conseguente applicazione dell’art. l, comma 2, del Regolamento Cosap, a tenore del quale “Il presente regolamento si applica all’occupazione di strade, aree e relativi spazi sovrastanti e sottostanti che appartengono al demanio o patrimonio indisponibile del Comune di Roma, nonché di aree private soggette a servitù di passaggio costituita nei modi e nei termini di legge { … }”, peraltro senza necessità di nessun atto concessorio.
Risulta, pertanto, secondo il ricorrente, di tutta evidenza che in questo giudizio la questione proprietaria avesse un’assoluta rilevanza ai fini dell’accertamento dell’esistenza o meno del presupposto impositivo del suddetto canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP).
Il terzo motivo denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 320 c.p.c. e con le norme sul principio del contraddittorio, in relazione all’art. 360, comma l, n. 3 c.p.c. per aver la sentenza impugnata affermato che ‘… non può considerarsi domanda nuova la richiesta di annullamento della successiva cartella esattoriale, atteso che trattasi di naturale sviluppo dell’avviso di mora impugnato ed atto necessariamente consequenziale e privo di autonomia … “.
In particolare, la ricorrente, rilevata la differenza tra cartella e avviso di mora (in quanto la prima è normativamente inquadrata nella disciplina della riscossione mediante ruoli, a differenza dell’avviso di mora, inserito nella disciplina della riscossione coattiva mediante espropriazione forzata e dunque un presupposto necessario per la validità dell’avviso di mora), assume che la richiesta di annullamento della suddetta cartella era stata
formulata tardivamente dall’attore, dopo la prima udienza di comparizione/trattazione ex art. 320, comma 4, c.p.c.
Il quarto motivo denunzia la violazione dell’art. 63 del d.lgs. n. 446/97 in combinato disposto con l’art. 1 del regolamento del Comune di Roma istitutivo del canone per l’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche comunali (COSAP) e delle norme a queste connesse e correlate, in relazione all’art. 360, comma l, n. 3 c.p.c., per aver il Tribunale rigettato l’appello affermando che “… Alla luce della normativa suindicata, dunque, l’applicazione del canone di occupazione del suolo pubblico presuppone che, in precedenza, sia stato rilasciato dall’Amministrazione un atto di concessione dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici …’ che nella fattispecie non era stata rilasciata, ” distinta rispetto alla concessione edilizia rilasciata per la costruzione del fabbricato, in relazione all’occupazione di suolo pubblico in esame … “.
Al riguardo, la ricorrente adduce che l’occupazione soggetta a COSAP non è solo quella effettuata su area pubblica, ma anche quella su area privata gravata però da servitù di pubblico passaggio, in quanto la sola circostanza che determina la debenza del canone per l’occupazione di suolo pubblico è il fatto che le strade siano destinate al pubblico passaggio, non rilevando l’originaria proprietà dell’area, ma soltanto l’eventuale presenza di limitazioni al pubblico godimento, una volta che le aree stesse siano attribuite alla Pubblica Amministrazione, essendo indubitabile che l’occupazione del suolo con griglie, e del sottosuolo corrispondente con intercapedini, concretizzi comunque una utilizzazione del suolo pubblico soggetta alla (ex) tassazione ed oggi al canone.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto con si confronta con la sentenza impugnata che, pronunciando sull’eccezione sollevata da Roma Capitale, ha ritenuto correttamente la competenza del Giudice di pace (nei limiti
della sua competenza per valore) in ordine alle controversie aventi ad oggetto pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un bene immobile, salvo che la questione proprietaria non sia stata oggetto di una esplicita richiesta di accertamento incidentale di una delle parti e sempre che tale richiesta non appaia, ” ictu oculi “, alla luce delle evidenze probatorie, infondata e strumentale – siccome formulata in violazione dei principi di lealtà processuale – allo spostamento di competenza dal giudice di prossimità al giudice togato (Cass., n. 16012/2020; SU, n. 21582/2011)
Nella specie, il Tribunale, nel decidere sulla sussistenza dei presupposti impositivi del Cosap, ha escluso ogni richiesta di accertamento incidentale della proprietà dell’immobile in ordine al quale erano state realizzate le griglie ed intercapedini.
Il secondo motivo e il quarto, esaminabili congiuntamente perché tra loro connessi, sono infondati.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, al quale il collegio intende dare continuità, il Cosap (canone occupazione spazi ed aree pubbliche) è dovuto anche in caso di apposizione – su area destinata a pubblico transito – di griglie e intercapedini installati allo scopo di fornire aria e luce ad un edificio privato, senza che rilevi l’inclusione di detti manufatti nel progetto edilizio assentito dal Comune con permesso di costruire, e ciò in quanto presupposto del canone è l’uso particolare o eccezionale che il singolo fa del bene, pubblico o privato, assoggettato a servitù di pubblico passaggio (Cass., n. 32410/2023; n. 28869/2021; n. 1435/2018).
Al riguardo, va altresì osservato che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP) costituisce il corrispettivo dell’utilizzazione particolare (o eccezionale) di beni pubblici e non richiede un formale atto
di concessione, essendo sufficiente l’occupazione di fatto dei menzionati beni (Cass., n. 16395/2021).
Il terzo motivo è assorbito dal rigetto degli altri motivi (l’istanza di annullamento della cartella presupponeva l’accoglimento della doglianza relativa ai presupposti della debenza del Cosap).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo e quarto motivo, assorbito il terzo.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 1.700,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025.