Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11842 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11842 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20640/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
nonchè
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO n. 11149/2018 depositata il 28/12/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 08/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La presente controversia ha origine dall’impugnazione dell’avviso di liquidazione, notificato ai germani Pagano dall’amministrazione finanziaria per il recupero dell’imposta sul valore aggiunto relativo all’atto di permuta stipulato il 9 luglio 2010, a seguito della perdita dei benefici c.d. ‘prima casa’ ex leg ge n. 243/1993, per avere i contribuenti trasferito i cespiti nel quinquennio dal loro acquisto, senza procedere a un nuovo acquisto di altre unità immobiliari.
In particolare, la madre dei germani COGNOME aveva ceduto un terreno alla società RAGIONE_SOCIALE permutandolo con due immobili, da trasferire ai suoi figli, i quali dichiaravano nel contratto di voler usufruire delle agevolazioni prima casa di cui alla tabella A, parte II n. 21 d.P.R. n. 633/1973, trattandosi di cespiti assoggettati all’IVA, in quanto da edificare ai sensi dell’art. 2 d.P.R. citato.
I ricorsi dinanzi alla Commissione di primo grado di Salerno, poi riuniti, si fondavano sull’assunto di non essere legittimati passivamente, in quanto i contribuenti COGNOME ritenevano di non rivestire la qualità di cessionari in detto contratto.
La C.T.P. di Salerno respingeva i ricorsi, rilevando che il contratto a favore di terzo, invocato dai ricorrenti, presuppone che il terzo rimanga estraneo al contratto, condizione non rispettata in questo caso.
Avverso tale pronuncia i contribuenti interponevano appello, chiedendone la riforma sulla base delle stesse argomentazioni formulate in prime cure.
La C.T.R., con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva il gravame, rilevando che il contratto oggetto dell’atto impositivo -che si riferisce ad una permuta tra la sig.ra COGNOME NOME (madre degli appellanti) e la società RAGIONE_SOCIALE contempla anche una stipula in favore dei sigg. COGNOME; tant’è che nell’atto è precisato che agli appellanti sono pervenuti, in contropartita, due cespiti (descritti nel rogito) facenti parte del fabbricato che la società ha poi costruito; aggiungendo che, nella loro qualità di acquirenti, hanno richiesto le agevolazioni in relazione ai benefici fiscali per la “prima casa”.
La Corte territoriale statuiva, inoltre, che la figura del contratto a favore di terzo, quale è quella invocata dai contribuenti, postula che il terzo sia rimasto estraneo al contratto stipulato da altri. Dunque, la mancata partecipazione del terzo al negozio è, nella struttura del particolare contratto, uno dei presupposti per la sua configurabilità; sicché è pacifico, in giurisprudenza, che non è configurabile un contratto a favore di terzi, ex art. 1411 c.c., nel caso in cui l’avente diritto alla prestazione non sia rimasto estraneo al contratto da altri stipulato in suo favore, bensì sia stato parte stipulante sostanziale del contratto fonte del suo diritto nei confronti dell’obbligato promittente.
Avverso detta decisione i contribuenti ricorrono per la sua cassazione, svolgendo un unico articolato motivo.
Replica con controricorso l’amministrazione finanziaria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 L’unica censura, proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., deduce la violazione del comma 4 dell’art. 1 della nota II bis allegata alla tariffa parte prima, d.P.R. n. 131/1986 nonché dell’art. 1411 c.c.; per aver e il decidente erroneamente
interpretato il disposto della norma codicistica rubricata, là dove afferma che il terzo è tale in quanto non partecipa come parte né formale né sostanziale all’atto in suo favore. Si obietta che il terzo, al contrario, può intervenire nell’atto per dichiarare nei confronti del promittente di volerne profittare ed impedire in tal modo la revoca dello stipulante.
Rileva, ad avviso dei ricorrenti, la sola circostanza che il terzo non partecipi alla stipula del contratto in suo favore, derivando da ciò il solo effetto di obbligare direttamente il promittente nei confronti del terzo stesso. Ai fini dell’applicazione dell’art. 1 comma 4 citato in rubrica, il soggetto cui deve essere addebitata l’imposta va individuato nei contraenti, vale a dire, nel cedente-committente e dall’altra nel cessionario – prestatore di servizio; con la conseguenza che il recupero dell’iva avrebbe dovuto essere disposto nei confronti dell’alienante, in seguito alla decadenza dai benefici dell’agevolazione prima casa.
2. Parte ricorrente si duole dell’erronea interpretazione della norma da parte dei giudici distrettuali che hanno ritenuto di escludere lo schema legale del contratto a favore di terzo a causa della partecipazione dei germani Pagano nella qualità di acquirenti, nei cui confronti la società costruttrice ha assunto direttamente l’obbligazione. Con il motivo di ricorso in esame i contribuenti, pur denunciando apparentemente la violazione del disposto dell’art. 1411 c.c. – assumendo che erroneamente il decidente ha ritenuto che il terzo non deve essere parte né formale né sostanziale del contratto in suo favore, essendo, invece, sufficiente per la costituzione del contratto a favore di terzo che questi non assuma obbligazioni contrattuali, ben potendo intervenire per rilasciare le dichiarazioni fiscali – hanno in realtà prospettato una diversa lettura del contratto di permuta come interpretato dai giudici regionali. 3. Il motivo va respinto.
3.1. Osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, gli odierni istanti intendano rileggere interpretativamente l’accordo concluso tra le parti (così come richiamato in ricorso) alla stregua di un contratto a favore di terzo a cui sarebbero rimasti estranei; dal suo canto, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come i germani Pagano avessero piuttosto ‘acquistato in contropartita i due immobili descritti nel rogito facenti parte del fabbricato poi edificato dalla società RAGIONE_SOCIALE e nella loro qualità di acquirenti hanno richiesto l’applicazione delle agevolazioni cd. , richiamando la disciplina della vendita di cosa futura’ (cfr. pag. 2 della sentenza d’appello).
3.2. Ferme tali premesse, varrà considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003;Cass.n. 28319 del 2017; Cass. n. 27136 del 2017; Cass. n. 9461/2021 Cass. n. 353/2025).
3.3. Al fine di far valere una violazione sotto il profilo di cui all’art. 1362 c.c. il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse
contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 16 gennaio 2019, n. 873; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 9 agosto 2004, n. 15381). Il sindacato di legittimità non può dunque investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465), né le censure vertenti sull’interpretazione del negozio possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 27 giugno 2018, n. 16987; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319).
4.Nel caso di specie, l’odierno ricorrente si è limitato ad affermare il preteso travisamento, da parte dei giudici di merito, della volontà delle parti, nonché la scorrettezza dell’interpretazione complessiva attribuita ai termini dell’atto negoziale, orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quell o comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della
lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito.
4.1. Sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, né spingendosi ad una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà (sulla base di un’ipotetica lettura macroscopicamente contraria ai canoni della buona fede o della convenienza oggettiva), per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze.
Vale osservare come la Corte territoriale abbia escluso la sussistenza del contratto a favore di terzo, a norma dell’art. 1411 cod. civ., partendo dal presupposto che i germani Pagano avevano ricevuto direttamente dalla società, quale contropartita della permuta, i due immobili, partecipando all’accordo, tanto che la società costruttrice aveva assunto obblighi diretti nei confronti dei ricorrenti, richiamando i contraenti (tra i quali i germani) la disciplina di cui all’art. 1472 c.c. che regola la vendita di cosa futura.
Segue il rigetto del ricorso. Le spese seguono il criterio della soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, che liquida nella somma complessiva di euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico della parte ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio della sezione