Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26444 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26444 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2660/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del Direttore Generale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: CODICE_FISCALE) e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nato a Chiari il DATA_NASCITA, e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nata a Coccaglio (BS) il DATA_NASCITA, entrambi residenti in Coccaglio (BS), alla INDIRIZZO, ed elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ( C.F.: CODICE_FISCALE; pec: EMAIL), che li rappresenta e difende giusta procura speciale rilasciata su foglio separato allegato al controricorso
Proposta di definizione accelerata -Reclamo avverso spese
(fax: NUMERO_TELEFONO);
-controricorrenti –
-avverso la sentenza n. 2614/26/2022 emessa dalla CTR Lombardia in data 20/06/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che
Con proposta di definizione accelerata del 4.2.2024, comunicata a mezzo pec il giorno successivo, il consigliere delegato riteneva il ricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE manifestamente infondato, evidenziando che:
il primo motivo, denunciando un asserito vizio motivazionale, incorre nel divieto di cui all’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c., avendo la sentenza d’appello confermato la decisione di primo grado (cd. doppia conforme; cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) e non avendo la ricorrente neppure dedotto la diversità RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto sulle quali si fondano le pronunce di primo e di secondo grado;
avuto riguardo al secondo motivo, in tema di catasto dei fabbricati, la proposta di rendita secondo la procedura cosiddetta DOCFA, ex d.m. 19 aprile 1994 n. 701, al pari della dichiarazione dei redditi, non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera dichiarazione di scienza e di giudizio che costituisce l’atto iniziale di un procedimento amministrativo di tipo cooperativo per la classificazione degli immobili e le rendite da questi prodotte. Siccome il procedimento di classamento è di tipo accertativo, mirando a far chiarezza sul valore economico del bene in vista di una congrua tassazione secondo le diverse leggi di imposta, al contribuente deve essere riconosciuto il diritto di modificare, senza alcun limite temporale, la rendita proposta all’UTE, quando la situazione di fatto (come nel caso di specie, essendo gli immobili destinati a deposito per l’attrezzatura agricola, anziché all’attività di allevamento di animali) o di diritto ab origine denunziata non sia veritiera (Sez. 5, Sentenza n. 19379 del 15/07/2008; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8165 del 11/04/2011), atteso che la non emendabilità di eventuali dichiarazioni inesatte cristallizzerebbe, in contrasto con l’art. 53 Cost., un’imposizione falsata nei
presupposti (Cass., Sez. 6 – 5, Sentenza n. 3001 del 13/02/2015).
In assenza di istanza di decisione, il consigliere delegato dichiarava, con decreto del 4.4.2024 (comunicato il 9.4.2024), estinto il giudizio, condannando la ricorrente al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese.
Avverso tale decreto l’RAGIONE_SOCIALE, in data 19.4.2024, ha proposto ‘reclamo’, invocandone l’annullamento nella parte relativa alla condanna alle spese, asserendo di aver proposto il ricorso per cassazione al fine di chiarire il punto sui limiti della emendabilità della DOCFA sul quale la giurisprudenza non era univoca e, quindi, con l’obiettivo di avere un orientamento chiaro della Suprema Corte, trattandosi di questione di valenza generale su cui potevano ripresentarsi altri casi analoghi.
La parte contribuente, a sua volta, ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Il reclamo è destituito di fondamento.
Considerato che, in tema di giudizio di cassazione, l’art. 391, terzo comma, c.p.c., come novellato dall’art. 15 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nel prevedere che il decreto presidenziale di estinzione del processo abbia efficacia di titolo esecutivo se nessuna RAGIONE_SOCIALE parti chieda la fissazione dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione, attribuisce alle parti in causa, che non ritengano esaustivo il provvedimento presidenziale di estinzione emanato a seguito della rinunzia, la possibilità di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla controversia, senza imporre l’onere di indicare i motivi di tale richiesta. Tale disposizione, infatti, non configurando un rimedio di carattere impugnatorio, consente alle parti di chiedere il passaggio ad una fase successiva per un esame completo della controversia, nell’ambito della quale la Corte può valutare se l’istanza di estinzione sia stata correttamente emanata oppure, in caso contrario, procedere all’esame del ricorso per cassazione (Cass., Sez. L, Sentenza n. 15817 del 06/07/2009; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3352 del 12/02/2010 e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24433 del 21/11/2011);
ritenuto, pertanto, che il ‘reclamo’ proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, sebbene non contenga la formale richiesta, ai sensi del terzo comma
dell’art. 391 c.p.c., di fissazione dell’udienza, assolve lo scopo di sollecitare una pronuncia del Collegio sulla questione della condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
considerato, invero, che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, per quanto qui rileva, che l’istanza di fissazione dell’udienza, prevista dall’art. 391, terzo comma, c.p.c., produce ipso facto la vanificazione del decreto presidenziale quale che ne sia il contenuto, e, dunque, sia quando contenga, sia quando non contenga una statuizione sulle spese (Sez. U, Sentenza n. 19980 del 23/09/2014, §§ 7.3.3 e seguenti della motivazione), che, pertanto, il decreto estintivo è impugnabile anche per il solo profilo della condanna alle spese e che, diversamente opinando, il ricorrente soccombente, esclusa la possibilità di una revocazione ex art. 391-bis (non essendo senz’altro configurabile l’errore revocatorio di cui all’art. 395, n. 4), sarebbe privo di uno strumento per dolersene;
considerato che l’unica strada percorribile per il soccombente, che non condivida la pronuncia di condanna alle spese, è quella di chiedere una revoca del decreto di estinzione e che, in quest’ottica, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14850 del 10/05/2022 ha affermato che l’istanza di revoca della declaratoria di estinzione deve essere proposta dal contribuente proprio ai sensi dell’art. 391, comma 3, c.p.c.;
considerato che nella medesima direzione si colloca Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 10131 del 15/4/2024 citata in memoria dai contribuenti, secondo cui, appunto, a seguito dell’emissione del provvedimento di estinzione, <>, laddove l’istanza di decisione in quel caso seguita alla proposta di definizione accelerata, valorizzata in memoria come elemento distintivo rispetto alla fattispecie in esame, in realtà è stata ritenuta irrilevante perché non presentata telematicamente;
considerato che, quando alla rinuncia al ricorso per cassazione non abbia fatto seguito l’accettazione dell’altra parte, pur estinguendosi il processo,
non opera l’art. 391, comma 4, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, che esclude la condanna alle spese in danno del rinunciante, spettando al giudice il potere discrezionale di negarla solo in presenza di specifiche circostanze meritevoli di apprezzamento, idonee a giustificare la deroga alla regola generale della condanna del rinunciante al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dalle altre parti (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9474 del 22/05/2020);
considerato che in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere o l’estinzione del giudizio e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo RAGIONE_SOCIALE spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 18128 del 31/08/2020; conf. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11098 del 24/04/2024);
considerato, in ogni caso, che, nel caso di specie, la condanna alle spese si giustificava alla luce della manifesta infondatezza RAGIONE_SOCIALE due censure formulate dalla ricorrente (cfr. la proposta di definizione accelerata, ex art. 380-bis c.p.c., cui si rimanda), non potendosi in senso contrario valorizzare la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE intendesse (intenzione, peraltro, esplicitata per la prima volta solo con il ‘reclamo’) ottenere una pronuncia di questa Corte sui limiti della emendabilità della Docfa (previo suo inquadramento tra le dichiarazioni di scienza o di volontà);
considerato, peraltro, che, in ordine alla indicata questione, l’orientamento di questa Sezione si era già consolidato (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19379 del 15/07/2008, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 8165 del 11/04/2011, Cass., Sez. 6 – 5, Sentenza n. 3001 del 13/02/2015) all’epoca della proposizione del ricorso per cassazione;
considerato, pertanto, che il ‘reclamo’ non merita accoglimento e che le spese del presente procedimento seguono la soccombenza;
ritenuto, infatti, che il Collegio, quando si pronuncia sul reclamo, se lo rigetta, deve provvedere sulle spese del procedimento incidentale instaurato, laddove solo in caso di accoglimento si giustifica una rivisitazione complessiva ed unitaria RAGIONE_SOCIALE stesse (in armonia col principio generale secondo cui il potere di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, quale conseguenza della pronuncia adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte del provvedimento impugnato, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la pronuncia sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione e sempre che la doglianza venga accolta); rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater, dPR 30 maggio 2002, nr. 115 (Cass. Sez. 6 – Ordinanza nr. 1778 del 29/01/2016);
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al rimborso RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 6.000,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 17.9.2024.