Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24075 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24075 Anno 2024
Presidente: PAOLITTO LIBERATO
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
Oggetto:
ottemperanza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33662/2018 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso in proprio, elettivamente domiciliato presso il proprio studio, in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t.;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 10954/6/18 depositata il 24 maggio 2018;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
La controversia ha ad oggetto un ricorso in ottemperanza con il quale l’AVV_NOTAIO (d’ ora in poi odierno ricorrente) chiedeva l’ottemperanza del giudicato formatosi sulla sentenza (n. 18905/2016), emessa dalla CTP di Roma, sul capo di condanna al pagamento delle spese legali a carico di RAGIONE_SOCIALE e in favore dello stesso dichiaratosi antistatario.
La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di NOME COGNOME con il patrocinio dell’odierno ricorrente .
La CTP aveva accolto il ricorso, liquidando le spese in favore dell’odierno ricorrente, quale antistatario, il € 1.000,00.
Decorso il termine lungo per il passaggio in giudicato della sentenza e, dopo avere diffidato l’odierna intimata alla corresponsione dell’importo di € 1.491,20 , l’odierno ricorrente proponeva in data 26 gennaio 2018 giudizio di ottemperanza sul capo di condanna al pagamento delle spese legali.
In prossimità dell’udienza fissata per il giudizio di primo grado l’intimata d epositava controdeduzioni con cui dichiarava di avere provveduto al pagamento delle spese di lite.
La CTP , adita per l’ottemperanza, ha dichiarato la cessazione della materia del contendere sul presupposto che «il ritardo non pare non giustificabile».
Il ricorrente propone ricorso fondato su un motivo, la controparte resta intimata.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di impugnazione il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 15 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con riferimento alla compensazione delle
spese di lite. Si duole che la sentenza impugnata non abbia applicato la disposizione ora richiamata, la quale prevede la compensazione solo in caso di gravi ed eccezionali ragioni.
1.1. Il motivo è fondato nei termini di seguito esposti. Nel caso di specie, la cessata materia del contendere deriva dal fatto che l’odierna intimata , a seguito del deposito del ricorso per ottemperanza (avvenuto in data 26/1/2018) e prima della data fissata per l’udienza (udienza del 7 maggio 2018), ha provveduto ad ottemperare, in data 29 marzo 2018, il capo di sentenza riguardante la condanna al pagamento delle spese processuali in favore dell’odierno ricorrente .
Occorre premettere, in via generale, che la statuizione di cessazione della materia del contendere comporta l’obbligo per il giudice di provvedere sulle spese processuali dell’intero giudizio, salva, peraltro, la facoltà di disporne motivatamente la compensazione, totale o parziale, le cui ragioni possono essere esplicitate, in via integrativa, anche in sede di gravame (Cass. Sez. L, n. 11494 del 2004, Rv. 573779 – 01; Sez. 6 – L, n. 3148 del 2016, Rv. 638618 – 01).
Sotto il profilo della disciplina applicabile, nel caso di specie si verte nell’ipotesi, disciplinata dall’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo cui: «1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile».
Tale ultimo capoverso è stato eliminato dall’articolo 9, comma 1, lettera f), numero 1), del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
La modifica è applicabile ratione temporis al caso di specie, in quanto il ricorso è stato notificato il 22.11.2018. In proposito, si ritiene che le spese debbano essere liquidate secondo il parametro vigente al momento della decisione.
Il giudizio di ottemperanza non costituisce, infatti, una fase ulteriore del giudizio originario, ma dà vita ad un autonomo giudizio, benché rigidamente circoscritto entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, cd. carattere chiuso del giudizio di ottemperanza. Da ciò, infatti, deriva che con esso può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato e rendendolo, quindi, effettivo, ma non può attribuirsi un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire, né può essere negato il diritto consacrato dal dictum azionato (tra le molte Cass. Sez. 5, n. 14642/2019, Rv. 654130 -01, Sez. 6 – 5, n. 19346/2018, Rv. 649809 -01, Sez. 5, n. 15827/2016, Rv. 640648 -01, Sez. 5, n. 8830/2014, Rv. 630774 – 01).
In punto di spese, il citato art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, al secondo comma, impone di motivare espressamente la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni legittimanti ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ. la deroga al principio di soccombenza (Cass. Sez. U, n. 2572/2012, Rv. 621247 -01, Sez. 6 – 2, n. 2883/2014, Rv. 629612 -01).
Con riferimento alla questione centrale del giudizio relativa all’obbligo di motivazione sulla regolamentazione delle spese in ipotesi di cessazione della materia del contendere, si ricorda anche che, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ex art. 46, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, per cessazione della materia del contendere determinata dall’annullamento in autotutela
dell’atto impugnato, può essere disposta la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 15, comma 1, del medesimo d.lgs., purché intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di una ipotesi diversa dalla compensazione ope legis prevista dal comma 3 dell’articolo citato, quale conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2005 (Cass., Sez. 5, n. 33157/2023, Rv. 669583 – 01, Sez. 6 – 5, n. 3950/2017, Rv. 643203 – 01, Sez. 5, 14 febbraio 2017, n. 3950; Cass., n. 19947/2010, Rv. 614544 – 01).
Deve, inoltre, essere ribadito il principio per cui nel processo tributario, alla cessazione della materia del contendere per annullamento dell’atto in sede di autotutela non si correla necessariamente la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza virtuale, qualora tale annullamento non consegua ad una manifesta illegittimità del provvedimento impugnato sussistente sin dal momento della sua emanazione, stante, invece, l’obiettiva complessità della materia chiarita da apposita norma interpretativa, costituendo in tal caso detto annullamento un comportamento processuale conforme al principio di lealtà, ai sensi dell’art. 88 cod. proc. civ., che può essere premiato con la compensazione delle spese (Cass., 13 aprile 2016, n. 7273; Cass., Sez. 5, 26 ottobre 2011, n. 22231, Rv. 620084 – 01);
Si osserva che la stringatissima sentenza impugnata ha affermato « ritenuto che l’Ufficio ha adempiuto alle obbligazioni portate dalla sentenza e che il ritardo non pare non giustificabile dichiara cessata la materia del contendere con compensazione delle spese di lite ».
Nulla, pertanto, ha chiarito sulle ragioni per le quali ha disposto la compensazione delle spese di lite.
La CTP avrebbe, invece, dovuto, al fine di esercitare legittimamente la facoltà di compensazione delle spese di lite, valutare la ricorrenza nel caso in esame di gravi ed eccezionali ragioni, da indicare espressamente nella motivazione.
Quanto affermato non contrasta con l’orientamento di legittimità per il quale in tema di spese processuali il sindacato della Corte Suprema di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass., 19 novembre 2021, n. 35616; Cass., 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass., 31 marzo 2017, n. 8421; Cass., 19 giugno 2013, n. 15317).
Va ricordato difatti, e ribadito, infatti, l’ulteriore principio di legittimità per il quale nel processo tributario le «gravi ed eccezionali ragioni» indicate esplicitamente dal giudice nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, ai sensi dell’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti configurandosi un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 6 – 5, n. 6059 del 2017, Rv. 643329 – 01; Cass., Sez. 6 – L, n. 23059 del 2018, Rv. 650923 – 01, Sez. 5, n. 2206 del 2019, Rv. 652328 -01, n. 24365 del 2021).
Nel caso di specie la motivazione resa non risponde ai canoni di logicità, in quanto sostanzialmente inesistente e apodittica.
Dagli atti del processo, questa Corte non è in grado di verificare la manifesta illegittimità o meno dell’atto impositivo fin dal momento della sua emanazione, mentre, d’altra parte, il dedotto vizio di motivazione della sentenza impugnata appare come appena sopra chiarito.
L’omessa motivazione costituisce violazione dell’articolo 15 sopra richiamato, con la conseguenza che il ricorso deve essere accolto con rinvio della causa alla Corte di giustizia di primo grado di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà motivatamente