Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25208 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25208 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3730-2020 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;
– intimata – avverso la sentenza n. 862/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/07/2019 R.G.N. 860/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’appello di Catanzaro , pronunciando in sede di giudizio di rinvio da questa Corte che aveva cassato la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria di accoglimento
Oggetto
Cartelle di pagamento, prescrizione, compensazione spese processuali
R.G.N. 3730/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 13/05/2025
CC
dell’appello di Equitalia avverso la sentenza del Tribunale di Locri dichiarativa della prescrizione quinquennale dei crediti contributivi portati in cinque cartelle di pagamento notificate a Cua Emilia tra luglio 2004 e gennaio 2008, ha confermato la pronuncia di primo grado ed ha compensato tra le parti le spese del primo giudizio di appello, di cassazione e di rinvio.
La parte privata propone ricorso in cassazione lamentando con unico motivo di ricorso l’avvenuta compensazione delle spese di giudizio; l’Agenzia Entrate Riscossione è rimasta intimata.
La controversia è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 13 maggio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso COGNOME EmiliaCOGNOME già appellata nel primo giudizio di appello e attore in riassunzione nel giudizio di rinvio, premesso di avere originariamente proposto opposizione ad estratti di ruolo inerenti a 17 cartelle di pagamento eccependone l’omessa notifica e la prescrizione, dichiarata in relazione a 5 cartelle dal primo giudice con sentenza del 27/6/2014, riformata in appello sulla ritenuta durata decennale del termine ex art. 2953 c.c. ma poi confermata in sede di rinvio dalla Cassazione che aveva ribadito il termine breve sulla base del principio espresso con sentenza delle Sezioni Unite n. 23397/2016, deduce in rela zione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale disposto la compensazione delle spese di giudizio nonostante fosse stata accolta nel primo giudizio di cassazione la sua unica censura sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 3 commi 9 e 10 L.335/1995 in ordine alla durata quinquennale e non decennale del termine di
prescrizione dei crediti contributivi portati nelle opposte cartelle. La ricorrente evidenzia, dunque, d’essere risultata totalmente vittoriosa nel giudizio di cassazione, non emergendo alcuna reciproca soccombenza od alcun contrasto giurisprudenziale, e nonostante, poi, nel giudizio di rinvio in appello, la controparte sia rimasta contumace e non ricorresse alcuna ipotesi di cui all’art. 92 c.p.c., sicché la compensazione delle spese era stata operata in violazione del disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c.
2. Il ricorso è infondato.
In via preliminare va osservato che non può essere esaminata la questione, ancorché rilevabile d’ufficio, della ammissibilità della originaria domanda proposta in opposizione ad estratti di ruolo sulla quale, non essendosi formato un esplicito giudicato interno, non sarebbe astrattamente preclusa la possibilità di verifica dell’interesse ad agire in virtù della applicabilità, anche ai giudizi pendenti, dell’art. 12 comma 4 -bis del d.P.R. n.602/73 introdotto con l’art. 3 -bis del D.L. n.146/2021 (argomento tratto da Cass. n.4448/2023).
Non risulta che il tema sia stato oggetto di impugnazione nei precedenti gradi di merito, né su di esso si è fondato l’accoglimento del ricorso per cassazione esitato con ord. n.12207/18 di rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro per nuovo giudizio sulla applicazione del termine quinquennale di prescrizione, in tal modo implicitamente sostenendo l’ammissibilità della domanda per la sussistenza della condizione dell’azione inerente all’interesse ad agire.
A seguito della cassazione della sentenza della Corte d’appello che aveva pronunciato la riforma del primo grado per la ritenuta prescrizione decennale, si è aperta la fase del giudizio di rinvio
che non dà vita ad un nuovo ed ulteriore procedimento, rappresentando solo una fase di quello originario, da ritenersi unico ed unitario, e l’atto di riassunzione non opera come nuova impugnazione, ma quale mero impulso processuale necessario per la prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata ; ‘ ne consegue che al giudice del rinvio non è consentito riesaminare, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, i presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte, né procedere all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza rescindente, poiché tutte le questioni relative a presupposti necessari e logicamente inderogabili della pronuncia espressa in diritto devono ritenersi implicitamente accertati in via definitiva nella pregressa fase di merito’ (da ultimo, Cass. ord. n.16915/2025); la statuizione di cassazione con rinvio preclude la possibilità di sollevare questioni, dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio, ed anche di quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza ancorché ivi non dedotte o rilevate (cfr. Cass. ord. 2365/2025). Il perimetro delimitato nel nuovo giudizio devoluto al giudice di merito non consente di rivedere, quindi, neppure ex officio, la sussistenza dell’interesse ad agire nella peculiare tipologia di azione originariamente instaurata.
Ciò posto, e limitando la disamina alla censura della compensazione delle spese in ragione dell’argomentato contrasto giurisprudenziale sul termine breve od ordinario della prescrizione, va osservato che le pronunce rese nelle precedenti fasi di merito sono cronologicamente conformi ai mutevoli orientamenti sul tema in disamina. La Corte d’appello di Reggio Calabria con sentenza del 24/11/2015 aveva riformato la
sentenza del Tribunale di Locri sostenendo, in accoglimento dell’appello di Equitalia, che il credito previdenziale fosse assoggettato al termine decennale di cui agli artt. 2953 e 2946 c.c.; la durata decennale del termine per sopravvenuta definitività del titolo (cartella) non opposta nei termini era stata affermata con sentenza della Corte di cassazione del 24 febbraio 2014, n. 4338, che a sua volta faceva riferimento alla sentenza n. 17051 del 2004 sostenendo il principio secondo cui: “una volta divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione dell’opposizione alla cartella esattoriale, non è più soggetto ad estinzione per prescrizione il diritto alla contribuzione previdenziale di che trattasi e ciò che può prescriversi è soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi, riguardo alla quale, in difetto di diverse disposizioni (e in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio iudicati ai sensi dell’art. 2953 cod. civ.), trova applicazione il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all’art. 2946 cod. civ.”. Ed ancora, nella successiva pronuncia di questa Corte, dell’8 giugno 2015, n. 11749, è stato ribadito che il termine di quaranta giorni dalla notifica della cartella di pagamento per proporre opposizione di cui all’art. 24 cit. deve ritenersi perentorio, perché diretto a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell’ente previdenziale in caso di omessa tempestiva impugnazione ed a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo (vedi, ex plurimis Cass. 25 giugno 2007, n. 14692; Cass. 12 marzo 2008, n. 6674; Cass. 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass. 19 aprile 2011, n. 8931); conseguentemente, per effetto della mancata proposizione dell’opposizione alla cartella esattoriale la pretesa contributiva diviene intangibile e il diritto alla contribuzione previdenziale non è più soggetto ad
estinzione per prescrizione, potendo prescriversi “soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi”, nel termine prescrizionale decennale ordinario di cui all’art. 2946 cod. civ., in difetto di diverse disposizioni e “in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio judicati ai sensi dell’art. 2953 cod. civ.”.
4.1 L’orientamento giurisprudenziale formatosi prima della pronuncia della Corte d’appello di Reggio Calabria sembrava quindi essersi orientato verso l’applicazione del termine ordinario, non ancorato alla natura del credito previdenziale ma all’esercizio dell’azione di riscossione avente ad oggetto un titolo definitivo, in sostanziale conformità a quanto previsto per l’actio judicati secondo quanto previsto dall’art. 2956 c.c., e tanto era stato ribadito da altra sentenza della Corte, n. 5060 del 15 marzo 2016, pronunciatasi in un giudizio in cui era in contestazione la questione degli effetti della mancata tempestiva proposizione dell’opposizione alla cartella di pagamento per contributi omessi sulla prescrizione del credito alla contribuzione previdenziale dell’INPS, ribadendo il principio che ‘n el caso di mancata proposizione di opposizione a cartella esattoriale la pretesa contributiva previdenziale ad essa sottesa diviene intangibile e non più soggetta ad estinzione per prescrizione, potendo prescriversi soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi che, in difetto di diverse disposizioni e in sostanziale conformità a quanto previsto dall’art. 2953 c.c., è soggetta al termine decennale ordinario di cui all’art. 2946 c.c. ‘, aggiungendo che ciò deriva dalla perentorietà da riconoscere al termine previsto dall’art. 24 d.lgs. 46/1999, che è finalizzata a rendere non più contestabile dal debitore il credito contributivo dell’ente
previdenziale, in caso di omessa tempestiva impugnazione e a consentire così una rapida riscossione del credito medesimo.
4.2 – La disarmonia nel sistema, venutasi a creare a seguito delle citate pronunce del 2014, 2015, 2016, è stata ricomposta con la pronuncia delle Sezioni Unite sent. n. 23397 del 17/11/2016 intervenuta dopo la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 24/11/2015, cassata dalla ordinanza della Corte di cassazione n. 12207/18, nella quale si dà atto dell’intervenuta pronuncia chiarificatrice sul termine prescrizionale applicabile. Le Sezioni Unite, con la citata sentenza del 2016, hanno affermato che il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti -in ogni modo denominati- di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti degli Enti locali, e delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative. ‘Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo’. Ed ancora, ‘ La scadenza del termine -pacificamente perentorio- per proporre opposizione a cartella di pagamento di
cui all’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 46 del 1999, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo l’art. 3, commi 9 e 10, della l. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30 del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l n. 122 del 2010)’.
4.3 L’orientamento giurisprudenziale è pacificamente in linea con la suddetta pronuncia; si veda anche sent. n. 28576/2017 in cui è stato ribadito che ‘il diritto alla riscossione di un’imposta azionato mediante emissione e notifica di cartella di pagamento non opposta è soggetto a prescrizione quinquennale, non essendovi, in tale ipotesi, un accertamento giurisdizionale che conduca all’applicazione del termine decennale dell’ ‘actio judicati “, di cui all’art. 2953 c.c.’
Per tali motivi la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria che aveva fatto applicazione del termine di prescrizione decennale.
5.1 La ricorrente, nell’impugnare la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro pronunciatasi in sede di rinvio a conferma della sentenza del Tribunale di Locri sulla decorrenza
del termine prescrizionale quinquennale, ha contestato che la compensazione delle spese, in un giudizio che l’aveva vista sostanzialmente vittoriosa, potesse essere supportata dalla motivazione del ‘contrasto giurisprudenziale’; tuttavia non soltanto non s i confronta con l’evoluzione giurisprudenziale sul tema della prescrizione, in relazione all’epoca delle pronunce rese nei tre precedenti gradi di giudizio, ma neppure contesta che si sia verificato un mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.
5.2 – Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o ‘ di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c. ‘ (in tal senso, il principio espresso da Cass. ord. n. 3977/2020); e nel caso in esame la sentenza impugnata ha motivato sull’asserito contrasto tra i diversi orientamenti giurisprudenziali in merito, menzionando specificamente, e riportando i brani motivazionali centrali, di entrambe le principali citate pronunce contrapposte di legittimità, la sentenza n.4338/2014 da un lato, e la sentenza delle S.U. n.23397/2016 dall’altro.
Quanto al secondo profilo giustificativo della compensazione, pure evidenziato nell ‘ impugnata sentenza, circa la parziale reciproca soccombenza, è agevole riscontrare che rispetto alla
pronuncia di merito di primo grado dichiarativa della inesigibilità di dodici cartelle di pagamento per omessa notifica, la Corte d’appello di Reggio Calabria, come riportato nella sentenza della Corte di Catanzaro, aveva rilevato che la società (Equitalia, appellante) aveva fornito la prova della notifica delle cartelle in questione, ed aveva riformato la sentenza di primo grado respingendo l’opposizione della contribuente anche in relazione ad esse. La successi va pronuncia dichiarativa dell’ estinzione per prescrizione dei crediti portati nelle cinque residue cartelle di pagamento si pone, quindi, come un esito parzialmente favorevole per la ricorrente; a fronte di una domanda articolata in più capi (omessa notifica delle cartelle e prescrizione dei crediti in esse portati in riscossione) ed all’esito di una parziale dichiarazione di prescrizione dei crediti portati in cinque cartelle su dodici oggetto di opposizione, si riscontra l’ipotesi giustificativa della compensazione ai sensi del secondo comma dell’a rt. 92 c.p.c.
6.1 – Va anche precisato che nel giudizio di rinvio in appello, la parte privata, ricorrente in riassunzione, non aveva assunto la posizione processuale di appellante, avendo conservato -a mente dell’art. 394 secondo comma c.p.c. -l’originaria posizione di appellata nel gravame proposto da Agenzia Entrate Riscossione (già Equitalia) che intendeva ribaltare la pronuncia di primo grado a sé sfavorevole sul tema della prescrizione quinquennale. Non è fondata dunque la doglianza della ricorrente d’essere tenuta a sostenere le spese compensate nel giudizio di appello di rinvio a fronte della contumacia dell’appellata agenzia di riscossione, poiché proprio la appellante originaria non aveva interesse a riassumere il
giudizio di merito che in cassazione, sul tema della prescrizione, l’aveva vista soccombente.
Correttamente l’impugnata sentenza non ha statuito di porre le spese processuali a carico della attuale ricorrente, ma ha discrezionalmente disposto, sulla base di argomentazioni conformi ai principi dianzi enunciati, che le spese andassero compensate, pronuncia conforme a legge ed all’orientamento giurisprudenziale a cui si intende dare continuità; devesi infatti ritenere applicabile il principio, espresso dalla Corte a Sezioni Unite con sentenza n. 32061 del 31/10/2022, secondo il quale ‘ In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. ‘.
In conclusione, il ricorso proposto da COGNOME Emilia è infondato e va respinto. Non occorre provvedere sulle spese della presente fase di legittimità stante la mancata costituzione in giudizio della Agenzia delle Entrate Riscossione. Seguono le disposizioni sul contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del 13