Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20761 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20761 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9022/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Biella INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-controricorrente incidentale- avverso SENTENZA di Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, n. 962/2022 depositata il 21/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.I contribuenti impugnavano l’avviso d’accertamento catastale n. BI0031860/2019, notificato in data 26/08/2019, emesso dall’Agenzia delle Entrate di Biella, chiedendo l’annullamento e l’inefficacia dell’avviso impugnato per illegittimità dell’accertamento operato, nonchè la conferma del precedente classamento come proposto con variazione Docfa.
La commissione tributaria provinciale accoglieva parzialmente il ricorso limitatamente a quanto concerne l’UIU individuata catastalmente al Fg 46 particella 829 sub 64 consistenza 5,5 vani
Sull’appello proposto dall’ Agenzia delle Entrate, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, nel confermare la decisione di prime cure, compensando le spese di lite, così statuiva : .
Ricorrono per la cassazione della sentenza d’appello i contribuenti, svolgendo un unico motivo, illustrato nelle memorie difensive del 3 marzo 2025.
Propone ricorso incidentale sulla base di due motivi l’Agenzia delle Entrate.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con l’unico motivo di ricorso si denuncia .
Si sostiene che la CTR del Piemonte, pur avendo rigettato integralmente l’appello dell’Ufficio finanziario per l’attribuzione dell’immobile di cui al subalterno 64 ( Fg 46 particella 829 sub 64) della categoria A/8) ritenendo fondati i motivi svolti dalla parte contribuente per l’attribuzione dell’immobile, alla categ. A/2, ha, in maniera del tutto ingiustificata disposto la compensazione delle spese.
Ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 132 del 2014 e dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale, la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), anche nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c.. Secondo tale impostazione, la nozione di soccombenza, che ai sensi dello art. 91 c.p.c. costituisce il presupposto della condanna alle spese e si identifica esclusivamente con il rigetto integrale della domanda.
Ne consegue che la disposta compensazione delle spese si pone contrasto con i precetti normativi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. e dell’art. 15, 2° comma del d.lgs. 546/92, non potendosi considerare in modo espresso e con riferimento alla fattispecie concreta, “gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate” la sola indicazione ‘spese compensate’.
Con ricorso incidentale, l’amministrazione finanziaria deduce con il primo motivo ; per avere il decidente trascurato di
esaminare la circostanza, pur evidenziata sin dal primo grado, e rappresentata anche alle pagine 2 e 3 dell’atto di appello, che l’accertamento oggetto della sentenza di secondo grado qui impugnata (e del presente giudizio di legittimità) ovvero l’accertamento catastale n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato in data 12/08/2019, nella sola parte relativa alla unità immobiliare censita al fg. 46, part. 829, sub. 64 del Comune di Biella, è stato annullato e sostituito dall’accertamento catastale n. NUMERO_DOCUMENTO, notificato il 23/10/2019 ovvero prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio; accertamento divenuto definitivo in quanto non è stato impugnato. In particolare, con l’originario avviso di rettifica, l’amministrazione attribuiva all’unità immobiliare di cui Fg. 46 part. 829 sub. 63 la cat. A/8 cl. 2° R.C. euro 2.316,31; ed all’unità di cui al Fg. 46 part. 829 sub. 64 la cat. A/8 cl. 2° R.C. euro 1.107,80; con l’atto di annullamento parziale al sub 64 attribuiva la cat. A/8 cl. 1° R.C. euro 951,57.
Si afferma che se i giudici territoriali hanno valutato la sostituzione dell’avviso con altro atto già in data antecedente al deposito del ricorso, sicché avrebbero dovuto concludere il giudizio con la declaratoria della cessazione della materia del contendere.
3. La seconda censura prospetta <violazione o falsa applicazione del d.p.r. n. 1142/1949, artt. 6 e 9 e d.p.r. n. 138/1998 art. 8, in relazione all'art. 360 primo comma, n.3) c.p.c.; si assume, in via subordinata alla reiezione del primo motivo, l'illegittimità della sentenza impugnata in quanto la metodologia estimativa pone come unico fondamento logico della valutazione la comparazione (comparare aliquod cum aliquo) tra il bene oggetto di stima e altri beni con caratteristiche simili presi a confronto. La comparazione avviene attraverso termini di paragone, che nella stima immobiliare sono in genere rappresentati dalle caratteristiche tecniche ed economiche degli immobili.
Si assume che secondo l'art. 61 del D.P.R. n. 1142/1949 (Regolamento per l'approvazione del Nuovo Catasto Edilizio Urbano), ' Il classamento consiste nel riscontrare sopralluogo per ogni singola unità immobiliare la destinazione ordinaria e le caratteristiche influenti sul reddito e nel collocare l'unità stessa in quella tra le categorie e classi prestabilite per la zona censuaria a norma dell'art. 9 che, fatti gli opportuni confronti con le unità tipo, presenta destinazione e caratteristiche conformi od analoghe'. Analogamente dispone l'art. 21 dell'Istruzione II Accertamento e classamento, adottata dalla Direzione Generale del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali, dedicato alle Modalità del classamento: 'Il classamento si effettua determinando sopralluogo dapprima la categoria dell'unità immobiliare da classare, in base alla destinazione propria di essa -risultante, oltre che dall'uso attuale, dalle sue caratteristiche costruttive assegnandola quindi (a seguito di opportuni raffronti con le unità tipo della categoria) nella classe -fra quelle prestabilite nel prospetto delle categorie e classi (Mod. 16) -che include l'unità tipo della quale possiede o ha più qualità, caratteristiche, requisiti e condizioni e complessivamente quindi capacità di reddito unitario .
Osserva l'ente che nell'accertamento, ha espressamente precisato che all'interno dello stesso fabbricato vi sono altre unità che possiedono caratteristiche intrinseche ed estrinseche riconducibili alla categoria A/8 e, in particolare, è stato evidenziato che ' il fabbricato ospitante le UIU è una Villa d'Epoca, in stile Liberty, così come risulta dalle fotografie e dalle indagini effettuate sugli applicativi dell'Agenzia, ed ospita una decina di altre UIU censite in cat. A/8 (abitazioni in villa)'.
Attività di comparazione è del tutto assente nella sentenza della Corte di Giustizia di II grado, la quale ha ritenuto, solo sulla base di un giudizio soggettivo e senza alcun termine di paragone, che
alcune caratteristiche fossero determinanti per declassare l'unità immobiliare da A/8 (Abitazione in Villa) ad A/2 (Abitazione di tipo civile). L'agenzia afferma di aver confermato l'originario censimento in categoria A/8 (abitazione in villa), classe 2, in base alle caratteristiche intrinseche e all'analisi delle caratteristiche estrinseche dell'intero fabbricato, mai modificate. Sottolineando che le variazioni apportate con il Docfa non sono tali da incidere sulla categoria catastale già agli atti, trattandosi di modifiche che non hanno apportato una radicale e sostanziale trasformazione dell'unità immobiliare, il che escluderebbe la legittimità della decisione dei giudici di attribuire al sub. 64 la categoria A/2 -abitazione di tipo civile. Si osserva che all'interno dello stesso fabbricato vi sono altre unità che possiedono caratteristiche intrinseche ed estrinseche riconducibili alla categoria A/8 e, in particolare, è stato evidenziato che 'il fabbricato ospitante le UIU è una Villa d'Epoca, in stile Liberty, così come risulta dalle fotografie e dalle indagini effettuate sugli applicativi dell'Agenzia, ed ospita una decina di altre UIU censite in cat. A/8(abitazioni in villa) '.
Ribaltando l'ordine dei motivi, deve essere esaminato in via preliminare il ricorso incidentale.
La prima censura, che in ossequio al principio di autosufficienza individua esattamente gli atti nei quali l'amministrazione aveva rappresentato ai giudici di merito l'intervenuto annullamento in autotutela, non può trovare accoglimento.
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 10947 depositata il 23 aprile 2024, intervenendo in tema di atto emesso in autotutela, ha ribadito il principio di diritto secondo cui '… in tema di contenzioso tributario, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra
nella previsione di cui all'art. 19 del lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7511 del 15/04/2016; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 29595 del 16/11/2018).'
Infatti, l'atto oggetto di impugnazione non costituisce nuovo esercizio del potere impositivo, bensì un semplice atto di autotutela con il quale, accertata l'erroneità dell'avviso di accertamento originario in ordine all'individuazione del presupposto oggettivo (sostanzialmente, nel caso in esame si è attribuita una minore rendita catastale e diversa classe all'unità immobiliare sub 64, confermandone la categoria), è stata semplicemente rinunciata una parte dell'originaria pretesa già contenuta nell'avviso di accertamento originario, a sua volta oggetto di separata impugnativa.
Orbene, in tema di accertamento delle imposte, la modificazione, in diminuzione, dell'originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente. Pertanto, in sede processuale, tale evenienza non può comportare la cessazione della materia del contendere, in quanto permane l'interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l'autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., Sez. 6 -5, Ordinanza n. 18625 del 07/09/2020)
Pertanto è infondato il primo motivo di ricorso incidentale in trattazione.
6. La seconda censura del ricorso incidentale è priva di pregio.
Questa Corte, proprio in riferimento ad una controversia incentrata sul medesimo tema, ha affermato quanto segue: «Il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere l'elaborazione di un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all'Ufficio tecnico erariale (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9).
L'ufficio tecnico erariale procede sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo (è tuttora utile in proposito la circolare n. 134 del 6 luglio 1941, integrata dalla istruzione 2 del 24 maggio 1942).
Di fatto, mentre è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale la suddivisione in cinque gruppi (A, B, C, D, E) articolati in numerose categorie (A1, A2, A3, …), sono assai incerti i criteri in forza dei quali un immobile rientri nelle diverse categorie: vada ad esempio classificato come A2 (abitazione di tipo civile) piuttosto che come A3 (abitazione di tipo economico).
Nel suo 'quadro generale delle categorie con annesso massimario' contenuto nella citata circolare 134 del 1941 il Ministero avvertiva in riferimento alle prime otto classi della categoria A, che 'trattandosi di qualificazione relativa e variabile da luogo a luogo, deve corrispondere al significato che ha localmente'. qualche maggiore precisazione è oggi contenuta nella circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5/3/1100, ( ndr circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5) ma siamo sempre a livello di mere istruzioni
amministrative, di cui si tiene conto in quanto possibile espressione di un 'comune sentire'.
Proprio in considerazione di queste difficoltà, ai fini della applicazione delle agevolazioni fiscali 'prima casa', il legislatore ha creato un'apposita categoria di 'abitazioni di lusso' che non ha preciso riscontro nelle classi catastali (tanto che si nega che essa coincida con la categoria catastale A1).
Questa Corte, – seppur rimarcando che le relative disposizioni sono connotate dal difetto di un'espressa definizione legislativa in punto di distinzioni tipologiche tra le categorie catastali (Cass., 13 febbraio 2015, n. 2995; Cass., 28 marzo 2014, n. 7329; Cass., 8 settembre 2008, n. 22557), – ha statuito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale è un atto che inerisce al bene in una prospettiva di tipo reale, riferita alle caratteristiche oggettive che connotano la sua destinazione ordinaria (v. Cass., 30 ottobre 2020, n. 24078; Cass., 14 ottobre 2020, n. 22166; Cass., 10 giugno 2015, n. 12025); i dati normativi di fattispecie, difatti, evidenziano che l'attribuzione della categoria catastale consegue dalla considerazione della destinazione ordinaria dell'unità immobiliare, tenuto conto dei suoi caratteri tipologici e costruttivi specifici e delle consuetudini locali (d.p.r. n. 138 del 1998, art. 8, c. 2; v., altresì, il r.d.l. n. 692 del 1939, art. 8, c. 1, ed il d.p.r. n. 1142 del 1949, artt. 6, 61 e ss.).
Secondo gli stessi documenti di prassi dell'amministrazione, difatti, per abitazioni in villa (A/8) «devono intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate di norma non esclusivamente in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio, con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello generalmente superiore all'ordinario. Ampia consistenza e dotazione di impianti e servizi.»;
laddove debbono ascriversi alla categoria (A/2) delle abitazioni civili le «Unità immobiliari appartenenti a fabbricati con caratteristiche costruttive, tecnologiche, di rifiniture e dotazione di impianti e servizi di livello rispondente alle locali richieste di mercato per fabbricati di tipo residenziale.» (così la nota del Ministero delle finanze 4 maggio 1994, n.c-1/1022; v., altresì, la circolare n. 5, del 14 marzo 1992).
Sembra di dover affermare che ciò che caratterizza la 'villa' non sono soltanto le dimensioni, quanto le attrezzature di cui dispone, le caratteristiche interne, il pregio degli infissi e degli ornamenti, la collocazione, il rapporto con il territorio, le vie di accesso. Le unità immobiliari dovranno avere consistenza e dotazioni corrispondenti a quanto indicato dall'Ufficio in sede di classamento automatico per l'attribuzione della categoria); e si deve altresì valutare se l'immobile abbia 'caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all'ordinario» (cfr. Cass. n. 2709/2014; conf. Cass. n. 24797/2021).
Non appare conferente rispetto alla classificazione operata dall'amministrazione, la circostanza che l'immobile era originariamente in categoria A/8, essendo principio ormai consolidato che la classificazione catastale può essere modificata anche dal medesimo proprietario rettificando le precedenti dichiarazioni o proponendo una diversa classificazione. Si è affermato ( cfr Cassazione, n. 34694/2019) che, pur dovendosi aver riguardo alle caratteristiche intrinseche degli immobili e pur con riferimento alle maggiori precisazioni contenute nella circolare ministeriale n. 5/1992, nella valutazione permangono aree di relativa indeterminatezza che vanno risolte con riguardo alla condizione dei luoghi e, quindi, anche al significato locale che assumono, posto che l'approssimazione connaturata alle definizioni ripudia automatismi di sorta e necessita di supporti valutativi di
carattere
Ebbene, con la pronuncia del 2019 richiamata, la Corte di legittimità ha affermato, a proposito della distinzione fra categoria 'A/7 -abitazioni in villini' e 'A/8 -abitazioni in ville', che ciò che caratterizza la 'villa' non sono soltanto le dimensioni, quanto le attrezzature di cui dispone, le caratteristiche interne, il pregio degli infissi e degli ornamenti, la collocazione, il rapporto con il territorio, le vie di accesso. Nel linguaggio comune (ripreso dal legislatore) edifici simili vengono chiamati 'villa' se collocati in località di lusso e 'villini' se collocati in aree di minor pregio.
Ne consegue che è del tutto condivisibile il logico corollario, per il quale, in caso di impugnazione l'apprezzamento del giudice circa la correttezza del classamento o della modifica catastale, ove riguardi il rispetto dei criteri di valutazione offerti dagli atti della P.A. deve essere ricondotto ad una valutazione in fatto, che può essere censurata, in sede di legittimità, solo nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., oppure per omessa motivazione, nell'accezione oramai maturata nell'interpretazione di questa Corte -motivazione assolutamente mancante o apparente, perplessa e obiettivamente incomprensibile (Cass. n. 16479 del 2020; n. 29816/2024).
Nel caso in esame, pertanto, deve ritenersi che l'accertamento effettuato nella sentenza impugnata circa l'attribuzione all'unità immobiliare in oggetto della categoria A2 attenga ad una valutazione in fatto che avrebbe potuto essere censurata solo nei limiti consentiti dall'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. e che si presenta corretto sul piano dell'iter logico -giuridico, avendo il Giudice regionale operato una valutazione complessiva in ordine alle caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifinitura del bene, alla sua ubicazione, il tutto secondo i suindicati criteri forniti dalla
giurisprudenza di questa Corte, che il motivo di ricorso non può indurre a rimeditare.
Il collegio d'appello ha difatti ampiamente motivato sulla categoria attribuibile all'unità immobiliare, affermando che . In altri termini, il giudice d’appello non ha riscontrato le dotazione e le caratteristiche interne che qualificano l’immobile come villa. Non possono trovare dunque ingresso le doglianze dell’amministrazione, trattandosi di censure per tale profilo inammissibili, in quanto inducono ad una rielaborazione del percorso logico e giuridico effettuato dal giudice del merito preclusa in questo giudizio.
7. Il ricorso principale è fondato.
Per l’esame di tale censura occorre partire dalla formulazione dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 che regola, ratione temporis, la presente fattispecie. Si tratta, più precisamente, della
versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, lett. f), n. 2), d.lgs. 24/09/2015, n. 156 (applicabili dal 01/01/2016, ai sensi dell’art. 12, comma 1, del testo normativo appena citato), in base al quale: «i commi 2 e 2-bis sono sostituiti dai seguenti: «2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.» L’art. 9, comma 1, lett. f), n. 1) d.lgs. 24/09/2015, n. 156, al contempo, ha eliminato nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 il secondo periodo che rinviava all’art. 92, comma 2, cod. proc. civ..
Trovano, invece, applicazione ai giudizi instaurati «in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione» a decorrere dal 04/01/2024 le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1) d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220 («Le spese del giudizio sono compensate, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quanto ricorrono gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate ovvero quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel grado di giudizio»). Nella formulazione applicabile, ratione temporis, alla presente controversia (senza che il risultato interpretativo si diversifichi in ragione delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 220 del 2023) il tenore letterale dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 (nel richiamare le «gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate») trova riscontro nell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ., a seguito dell’intervento additivo di C. cost. n. 77 del 2018, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nel testo modificato dall’art. 13, comma 1, del d.l. 12/09/ 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile) – nella parte in cui non prevede che il giudice possa
compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. La stessa dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. ha trovato, quale riferimento sistematico, le modifiche apportate all’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera del d.lgs. 156 del 2015.
In particolare l’art. 9, comma 1, lettera f), numero 2), del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6 e 10, comma 1, lettere a e b, della legge 11 marzo 2014, n. 23), ha sostituito gli originari commi 2 e 2bis dell’art. 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega governativa nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991 n. 413) ed ha, tra l’altro, previsto che le spese del giudizio possono essere compensate in tutto o in parte, oltre che in caso di soccombenza reciproca, anche «qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere espressamente motivate. Proprio dalla pronuncia resa da C. Cost. n. 77 del 2018 si traggono le coordinate ermeneutiche che possono condurre alla compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e 92, comma 2, cod. proc. civ. (alla luce dell’intervento additivo appena richiamato). La Corte costituzionale ha rilevato, in primo luogo, che la regola generale è quella della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa; il «normale complemento» dell’accoglimento della domanda ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) -è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa. Sicché è ben possibile -ha affermato questa Corte (sentenza n. 157 del 2014) – «una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non
essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999)»). In secondo luogo, l’attuale formulazione dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (cui rinviava anche l’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, prima delle modifiche ad opera del d.lgs. n. 156 del 2015) che impone la presenza di «gravi ed eccezionali ragioni», finisce per restringere i margini del sindacato giurisdizionale, riducendo, in tal modo, le possibili deroghe alla regola generale della soccombenza, in tal modo i rapporti tra la regola cd. della soccombenza (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992) e quella speciale della compensazione (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992) risultano costruiti in termini di norma generale-norma eccezionale, e la seconda come una sorta di correttivo alla prima, di cui finisce per modulare l’applicazione secondo il principio di proporzionalità.
La gravità ed eccezionalità (cui il legislatore fa riferimento in via cumulativa) delle ragioni che inducono il giudice a compensare le spese è correlata alla condotta processuale complessivamente tenuta dalla parte soccombente nell’agire e resistere in giudizio, da valutare in relazione all’incidenza di fattori esterni e non controllabili che rendano contraria al principio di proporzionalità l’applicazione della regola della soccombenza sancita nell’art. 15, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 nella liquidazione delle spese. Un’ipotesi di ragione grave ed eccezionale è quella tipizzata ad opera del d.lgs. 220 del 2023 -applicabile ai processi instaurati dal 04/04/2024, v. supra -con la quale è stato inserito nell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, il riferimento alla l’ipotesi in cui «la parte sia risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio». Un’altra ipotesi, emersa nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 23/12/2021, n. 41360) è invece riconducibile al mutamento sopravvenuto di giurisprudenza (v. anche C. cost. n. 77 del 2018).
In ogni caso, come già evidenziato da questa Corte (Cass., 08/04/2024, n. 9312; Cass., 24/01/2022, n. 1950) tali ragioni gravi ed eccezionali devono essere espressamente indicate nella sentenza, dove il giudice deve dare puntuale riscontro, pur nell’ambito del parametro di sinteticità sancito nell’art. 36, comma 1, n. 4) d.lgs. n. 546 del 1992.
Invero, in linea generale, deve ribadirsi come il potere del giudice di compensare le spese di lite presenti natura discrezionale, sicché il sindacato di questa Corte, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (da ultimo, Cass. Sez. 5, ord. 17 aprile 2019, n. 10685, Rv. 653541-01), per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri gravi motivi ex art. 15 d.lgs n. 546/1992 (tra le altre, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613), e ciò in ragione della «elasticità» costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, «non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese» in favore della parte vittoriosa (così Cass. Sez. 6-3, ord. 26 luglio 2021, n. 21400, che richiama Corte cost., sent. 21 maggio 2014, n. 157). Nondimeno, resta censurabile in sede di legittimità la coerenza e la razionalità (non della scelta di compensare le spese, ma) della motivazione con cui il giudice di merito abbia sorretto la compensazione, risultando suscettibile di cassazione la motivazione palesemente illogica, inconsistente o manifestamente erronea (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2019, n. 17816).
Tanto premesso in punto di diritto, nella fattispecie, deve rilevarsi che la sentenza impugnata non esplicita le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, tant’è che i giudici di appello si limitano a compensare le spese nel dispositivo. La mancata specifica motivazione in ordine alle gravi ed eccezionali ragioni che consentono la compensazione comporta un vizio di violazione di legge al quale consegue la cassazione della decisione impugnata con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte che, in diversa composizione, dovrà decidere nuovamente in merito alla regolamentazione delle spese del giudizio di secondo grado, motivando l’eventuale applicazione della regola della compensazione ovvero applicare il criterio della soccombenza, attenendosi al principio di diritto sopra richiamato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello proposto in via incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della