Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3028 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3028 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28604/2022 R.G., proposto
DA
il Comune di San Michele di Serino (AV), in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con studio in Avellino, ove elettivamente domiciliato (indirizzo p.e.c. per comunicazioni e notifiche: EMAIL ), e comunque presso la Cancelleria della Corte Suprema Cassazione, giusta procura in congiunzione al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
la RAGIONE_SOCIALE, con sede in Avellino, in persona dell’ amministratore unico pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con studio in Avellino, elettivamente domiciliata presso l’AVV_NOTAIO, con studio in Roma, giusta procura in calce al controricorso di costituzione nel presente procedimento;
CONTRORICORRENTE
ICI IMU ACCERTAMENTO FABBRICATO RURALE
avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 22 aprile 2022, n. 3581/05/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
il Comune di San Michele di Serino (AV) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale della Campania il 22 aprile 2022, n. 3581/05/2022, la quale, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per l’omesso versamento dell’ IMU relativa all’anno 201 6, oltre ad interessi moratori e sanzioni amministrative, per un totale di € 2.893,00, in relazione ad un fabbricato sito nel medesimo Comune e classificato in categoria C/2, di cui la ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ è proprietaria, ha accolto l’appello proposto dalla ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ nei confronti del medesimo avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Avellino il 29 giugno 2021, n. 521/01/2021, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali;
il giudice di appello ha riformato la decisione di primo grado -che aveva rigettato il ricorso originario – sul rilievo che la classificazione catastale dell’immobile fosse irrilevante, essendo necessaria la sola destinazione all’esercizio di attività agricola per usufruire dell’esenzione derivante dalla ruralità;
la ‘ RAGIONE_SOCIALE‘ ha resistito con controricorso;
le parti hanno depositato memorie illustrative;
CONSIDERATO CHE:
il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si denuncia violazione degli artt. 7, comma 2bis , del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, 13, comma 14bis , del 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, 1 del d.m. 26 luglio 2012, 2, comma 5ter , del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, i n relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che , ai fini dell’esenzione, « ciò che rileva è l’effettiva destinazione del bene (la cui natura rurale non è contestata dal Comune resistente). Ed in considerazione di ciò la società appellante, ha avviato la richiesta di classamento di tutti gli immobili in D/10 che avendo effetto retroattivo di cinque anni, in ogni caso coinvolge l’accertamento impugnato »;
1.1 il motivo è fondato;
1.2 su un piano generale, in tema di ICI (ma altrettanto vale anche in tema di IMU), il fabbricato per essere soggetto ad imposta deve essere ultimato ed utilizzabile, senza che sia necessaria la sua iscrizione al catasto, rilevando a fini impositivi le condizioni per la sua iscrivibilità ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, ovvero il momento a partire dal quale può essere considerato fabbricato in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione (da ultime: Cass., Sez. 5^, 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., Sez. 5^, 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., Sez. 5^, 26 gennaio 2021, n. 1571; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 32217; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894).
1.3 nello specifico, per i fabbricati non iscritti in catasto, si deve confermare l’orientamento di questa Corte, secondo cui l’esenzione da ICI è condizionata all’accertamento positivamente concluso della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della ruralità del fabbricato previsti dall’art. 9
del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, che può essere immediatamente condotto dal giudice tributario investito dalla domanda di rimborso proposta dal contribuente, sul quale grava l’onere di dare prova della sussistenza dei predetti requisiti (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10283; Cass., Sez. 5^, 6 novembre 2019, nn. 28556 e 28557; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, nn. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894; Cass., Sez. 6^-5, 24 ottobre 2022, n. 31281);
1.4 peraltro, la rilevanza delle caratteristiche oggettive della ruralità -al di fuori dell’ipotesi di mancato accatastamento – è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte anche alla luce dello ius superveniens , con particolare riguardo all’emanazione di due norme interpretative (entrambe con efficacia retroattiva), vale a dire: A) il comma 3bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, come introdotto dall’art. 42bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, secondo cui: « Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: a) alla protezione delle piante; b) alla conservazione dei prodotti agricoli; c) alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento; d) all’allevamento e al ricovero degli animali; e) all’agriturismo; f) ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative
superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento; g) alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna; h) ad uso di ufficio dell’azienda agricola; i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; l) all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso »; B) il comma 1bis dell’art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, secondo cui: « Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni »;
1.5 nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14), le Sezioni Unite hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini ICI, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504) è stato perseguito dal
legislatore ( ex art. 23 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì – e più in radice attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla n ozione legislativa medesima di ‘ fabbricato ‘ (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565 -nello stesso senso: Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 20 marzo 2019, n. 7799; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21097; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, nn. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894;). Per cui, riaffermando la « decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad ICI di un fabbricato », le Sezioni Unite hanno osservato che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, « sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l’esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini ICI » (Cass., Sez. Un., 21 agosto 2009, n. 18565). Affermazione, quest’ultima, certamente valida anche nell’interpretazione del comma 3bis dell’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 134 (Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2019, n. 10283).
1.6 la stessa conclusione deve essere riaffermata alla luce dell’ulteriore ius superveniens (d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124), che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda autocertificata di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente (Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., Sez. 5^, 7 agosto 2019, n. 21094);
1.7 per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di ICI (ma altrettanto vale anche in tema di IMU), ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale , con l’attribuzione della relativa categoria (rispettivamente, A/6 o D/10), con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità, né può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui all’art. 7, comma 2bis , del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 115), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al d.m. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’ automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (tra le tante: Cass., Sez. 6^-5, 30 giugno 2017, n. 16280; Cass., Sez. 5^, 9 novembre 2017, n. 26617; Cass., Sez. 5^, 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., Sez. 5^, 19 dicembre 2019, n. 33932; Cass., Sez. 6^-5, 13 ottobre 2020, n. 22124; Cass., Sez. 6^-5, 15 aprile 2021, n. 9971;
Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, n. 17038; Cass., Sez. 5^, 24 giugno 2021, n. 18266; Cass., Sez. 5^, 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894);
1.8 l ‘art . 7, comma 2bis , del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato al 30 settembre 2012) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante la presenza nell’immobile dei requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1994, n. 134, e modificato dall’art. 42bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, « in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda »;
1.9 in seguito, l’art. 13, comma 14bis , del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, producessero « gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo »;
1.10 a ncora, l’art. 1 del d.m. 26 luglio 2012 ha disposto che: « Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133 »;
1.11 l’ art. 2, comma 5ter , del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, ha stabilito che: « Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda »;
1.12 si tratta, infatti di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc , che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., Sez. 5^, 21 ottobre 2021, n. 29283; Cass., Sez. 5^, 29 marzo 2022, n. 10002; Cass., Sez. 5^, 5 aprile 2022, n. 10894);
1.13 va, dunque, ribadito che il requisito della classificazione nelle categorie A/6 o D/10 è imprescindibile ai fini del conseguimento del beneficio fiscale;
1.14 per il resto, si è discusso se, in tema di ICI, le agevolazioni previste dall’art. 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per gli ” imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale “, trovino applicazione anche a favore di una società di persone – nella fattispecie, di una società in accomandita semplice -avente la qualifica di imprenditore agricolo professionale;
1.15 a proposito del requisito soggettivo necessario ai fini del riconoscimento della connotazione agricola del fondo, nell’ottica della predetta disciplina, va posto in evidenza che l’art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153 (nella lettera risultante a seguito della modifica introdotta dall’art. 10 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228) prevede che: « Le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, ed inoltre: a) nel caso di società di
persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale (…) ».
1.16 ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99: « Ai fini dell’applicazione della normativa statale, è imprenditore agricolo professionale (I.A.P.) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro » (comma 1) e « Le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari; b) nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qualora almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; c) nel caso di società di capitali, quando almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale » (comma 3);
1.17 il collegio ritiene di condividere e ribadire i principi espressi in sede di legittimità da un orientamento recente, ma in via di consolidamento (dopo un isolato arresto di segno contrario: Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2017, n. 22484),
secondo cui le disposizioni di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, ed al d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione, fornendo una lettura più in linea con la normativa eurounitaria; in particolare è stato affermato che, in tema di ICI, le agevolazioni previste dall’art. 9 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, consistenti nel considerare agricolo anche il terreno posseduto da una società agricola di persone si applicano – a seguito della modifica dell’art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, da parte dell’art. 10 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, e della sua successiva abrogazione e sostituzione con l’art. 1 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99 – qualora detta società possa essere considerata imprenditore agricolo professionale ove lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. ed almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ovvero abbia conoscenze e competenze professionali, ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 1257 del 17 maggio 1999, e dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo, ricavando da dette attività almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro (tra le tante: Cass., Sez. 6^, 10 gennaio 2017, n. 375; Cass., Sez. 6^, 2 novembre 2018, n. 28062; Cass., Sez. 5^, 30 aprile 2019, n. 11415; Cass., Sez. 5^, 5 febbraio 2020, n. 2609; Cass., Sez. 6^-5, 8 luglio 2020, n. 14206; Cass., Sez. 5^, 16 giugno 2021, nn. 17003 e 17004; Cass., Sez. 5^, 31 gennaio 2022, n. 2921; Cass., Sez. 6^-5, 20 aprile 2022, nn. 12639 e 12640; Cass., Sez. 6^-5, 8 settembre 2022, nn. 26474 e 26475);
1.18 peraltro, come anche nelle altre fattispecie interessate dal mutato indirizzo, in relazione all’a nnualità in contestazione, erano già entrate in vigore le disposizioni di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, e del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, che hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione, il primo, oltre ad individuare la nuova nozione codicistica (art. 2135 cod. civ.) di imprenditore agricolo, stabilendo, per quanto qui interessa (art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, quale sostituito dall’art. 10 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228), che « Le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola » e, nel caso di società di persone (lett. a), « qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale »; disposizione ora abrogata dall’art. 1 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, stabilendo che « Le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (…) » ;
1.19 sulla portata novativa del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, anche in epoca più risalente, tuttavia, era stato osservato che la Corte di Giustizia, intervenendo con due successivi arresti in materia tributaria sulla nozione di ” imprenditore agricolo a titolo principale “, « (…) ha affermato che non è possibile ricavare dalle disposizioni del trattato o dalle norme di diritto comunitario derivato una definizione comunitaria generale ed
uniforme di “azienda agricola”, valida per tutte le disposizioni di legge e di regolamento concernenti la produzione agricola (C. Giust. 15/10/1992 in C-162/91 par. 19), riguardando il regolamento 797/85 un regime di aiuti agli investimenti nel settore agricolo rigorosamente determinati, mentre altre modalità di aiuti (nella specie agevolazioni tributarie in tema di imposta di registro) riguardano esclusivamente il legislatore nazionale; concetto quest’ultimo riferibile evidentemente ad altri tributi (e nella specie all’I.C.I.) e ribadito con la sentenza della stessa Corte 11 gennaio 2001 n.403 in C-403/98 nella quale si afferma (par.26 e segg.) che le disposizioni dei regolamenti comunitari (e nella specie quelle dei regolamenti 797/85 e 232/91 in materia di aiuti agli investimenti nell’agricoltura) non producono tutte effetti immediati nell’ordinamento nazionale, ma richiedono norme attuative in assenza delle quali (par. 29) gli art. 2, n. 5, u.c. del reg. 797/85 e 5 n. 5 u.c. del reg. 2328/91 (che richiedono la parificazione delle persone giuridiche a quelle fisiche nel settore agricolo) non possono essere invocati davanti ad un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorché il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno”, misure che possono in effetti riscontrarsi nel d.lgs. n. 228 del 2001, di portata non retroattiva (…) » (in termini: Cass., Sez. 5^, 11 marzo 2010, n. 5931);
1.20 nella specie, quindi, il giudice di appello si è discostato dai principi enunciati, avendo valutato la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per beneficiare dell’esenzione sulla sola base della destinazione di fatto del fabbricato, senza tener
conto dell’incompatibilità della classificazione catastale con il riconoscimento della ruralità;
alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, valutandosi la fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, primo comma, ultima parte, cod. proc. civ., con il rigetto del ricorso originario del contribuente.
le spese dei giudizi di merito possono essere compensate tra le parti in ragione dell’andamento processuale, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario; compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna il controricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della ricorrente, liquidandole nella misura di € 200,00 per esborsi e di € 2.000,00 per compensi, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% sui compensi e ad altri accessori di legge.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 12 gennaio