Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9410 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31242 -2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME
rappresentati e difesi dagli Avvocati COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1947/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 23/9/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del l’ 11/3/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 300/2018 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Varese, in rigetto del ricorso proposto avverso avviso di accertamento, con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato la rendita catastale, proposta con denuncia DOCFA, relativa ad unità immobiliari dei contribuenti a seguito del frazionamento, con diversa distribuzione degli spazi interni, dell’immobile originario in due unità abitative, riqualificandole dalla categoria A/7 alla categoria A/8, classe 1.
Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
I ricorrenti hanno da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 7 legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 3 legge 7.8.1990 n. 241 per 17, comma 1, lett. b, d.l. 13.4.1939 n. 652, conv. in l. 11.8.1939 n. 1249, degli artt. 6, 9 e 61 d.P.R. 1.12.1949 n. 1142 e della circolare del Ministero delle Finanze n. 5/63/1100 del 1992 per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento pur se redatto in modo generico, senza riferimenti alle singole unità immobiliari
originate dal frazionamento dell’immobile originario , e senza indicazione degli immobili assunti a comparazione per la rettifica catastale.
1.2. Come più volte chiarito da questa Corte, l’accertamento catastale è sufficientemente motivato con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita quando la discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, e solo quando l’Ufficio compie una divergente valutazione degli elementi di fatto indicati dal contribuente la motivazione dell’accertamento deve essere più approfondita perché l’Ufficio deve indicare le differenze tra quanto dichiarato nel c.d. DOCFA e quanto accertato (cfr. Cass., tra le tante, Cass. nn. 2777 del 2018; 12497 del 2016; 8344 del 2015).
1.3. È stato dunque evidenziato che gli indicati termini di riscontro dell’obbligo di motivazione dell’atto di classamento, adottato in esito alla procedura DOCFA, debbono ritenersi inadeguati (solo) a fronte di un ‘ immutazione della proposta formulata dalla parte (con la dichiarazione di accatastamento), immutazione rilevante – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione – qualora incentrata sugli «elementi di fatto» di detta proposta, non anche qualora (ad elementi di fatto immutati) la diversa valutazione della rendita catastale (così come nella fattispecie) consegua «da una diversa valutazione tecnica riguardante il valore economico dei beni» (cfr., ex plurimis , Cass n. 23674 del 2020; Cass. n. 29373 del 2019; Cass. n. 13778 del 2019; Cass. n. 31809 del 2018; Cass. n. 12777 del 2018; Cass. n. 12497 del 2016; Cass. n. 8344 del 2015; Cass. n. 23237 del 2014).
1.4. Tanto premesso sul piano dei principi, non può non osservarsi come i fatti sui quali si fonda l’impugnato avviso sono quelli stessi indicati dai contribuenti nella proposta DOCFA di attribuzione di rendita, in quanto la motivazione dell’atto di classamento, per quanto risulta, non è fondato su di una causa petendi sconosciuta al contribuente.
1.5. Nel caso di specie, si deduce dalla sentenza impugnata e dall’avviso di classamento (ritualmente trascritto nel ricorso) che la
richiesta di modifica della categoria è stata respinta sulla base dei dati forniti dal contribuente, con conseguente mancata modifica della rendita catastale, in ragione di una valutazione tecnica effettuata sulla base della tipologia costruttiva, delle caratteristiche dimensionali, delle finiture, e degli impianti fissi, mentre non è stato dedotto in ricorso che l’atto di classamento si sia basato su elementi di fatto differenti da quelli indicati nel modello DOCFA.
1.6. La stessa parte contribuente non ha, in ricorso, specificato, rispetto all’ immutazione della proposta formulata dalla parte (con la dichiarazione di accatastamento), su quali differenti «elementi di fatto» rispetto a detta proposta essa fosse incentrata, in quanto non è affatto discussa la struttura e la dimensione dell’unità immobiliare oggetto di causa, né è in contestazione la consistenza di questa, contenendo inoltre l’atto impugnato anche una valutazione comparativa con gli altri immobili, riportando l’indicazione delle unità immobiliari limitrofe, con caratteristiche intrinseche ed estrinseche analoghe (pag. 4 ricorso), a nulla rilevando che non siano state poi oggetto di specifica illustrazione.
1.7. Non risulta, dunque, vi sia stata contestazione da parte dell’Ufficio nell’avviso di classamento circa la destinazione e le caratteristiche dell’immobile, così come risultanti dall’elaborato Docfa presentato dai ricorrenti, né circa la superficie utile dell’unità immobiliare.
1.8. Gli elementi fattuali, pertanto, si può affermare che fossero alle parti ben noti e si deve ritenere, quindi, che sia stato corretto il principio applicato dalla sentenza impugnata per cui l’obbligo motivazionale, in quanto effettuato a seguito di procedura Docfa, in presenza di dati fattuali non contestati tra le parti, è adeguatamente assolto attraverso l’indicazione dei dati catastali, dei dati relativi all’ubicazione dell’immobile, dei dati di classamento proposti nel 2015 e quelli antecedenti.
1.11. Si trattava allora, nello specifico, di trarre esatte conseguenze giuridiche da fatti che la parte contribuente conosce per averli allegati alla proposta DOCFA D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, ex art. 2 conv. con
mod. in L. 24 marzo 1994, n. 75 e D.M. 19 aprile 1994, n. 701, in quanto il dissenso non è sui fatti posti a fondamento dell’atto di classamento, non è, cioè, controversa la consistenza catastale o l’ubicazione o gli esiti della ristrutturazione, bensì la lite è sulla valutazione di detti fatti incontroversi e sulle conseguenze giuridiche che da tali valutazioni debbono esser fatte discendere.
1.12. Ai contribuenti era stato quindi assolutamente garantito il diritto difensivo di confutare, per esempio a mezzo di perizie di parte, sempre nel rispetto delle previste preclusioni, le ragioni contenute nella stima effettuata dall’Ufficio, fondate su elementi di fatto conosciuti in quanto indicati nella richiesta DOCFA.
1.13. Peraltro, se da una parte rimane ferma la preclusione ad una postuma e tardiva integrazione -con valore sanante -di una motivazione carente o insufficiente, nel caso in cui non si ravvisi tale ipotesi, come nel caso in esame, non è precluso all’ Amministrazione finanziaria di controdedurre alle censure del contribuente in sede processuale per difendere la motivazione ab origine adeguata anche con la prospettazione ad abundantiam di nuovi argomenti o la produzione di nuovi documenti, che non erano stati enunciati, riprodotti o menzionati nell’avviso di rettifica catastale, ma che, comunque, assumono rilevanza processuale sul piano della delimitazione del thema decidendum e del thema probandum .
2.1. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. violazione dell’art. 61 d.P.R. n. 1142/1949, dell’ art. 1 decreto Ministero Finanze n. 701/1994, dell’art. 11 dl n. 70/1988, dell’art. 3, comma 58, legge n. 662/1996 e dell’art. 7 legge n. 212/2000 per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto corretto il classamento in A/8 classe 1 delle due unità immobiliari dei ricorrenti senza verificare la coerenza di tale classamento con attribuito ad altre unità immobiliari limitrofe.
2.2. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., in rubrica, «violazione e falsa applicazione
dei criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e 1363 nell’interpretazione della Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14 marzo 1992» per avere omesso di analizzare le caratteristiche delle singole unità immobiliari ai fini dell ‘ attribuzione della categoria catastale in A/8 e A/7, senza rilevare che la suddivisione del fabbricato in più unità immobiliari non consente l’attribuzione a ciascuna di esse della categoria A/8, destinata ai fabbricati costituiti da una sola unità immobiliare.
2.3. Le doglianze possono essere esaminate congiuntamente, in quanto strettamente connesse.
2.4. Occorre premettere che la legge non pone una specifica definizione delle categorie e classi catastali, sicché la qualificazione in termini di «signorile», «civile», «popolare» -di cui alla nota C-1/1022 del 4.5.1994 del Ministero delle Finanze esplicativa delle varie categorie catastali- di un’abitazione costituisce il portato di un apprezzamento di fatto da riferire a nozioni presenti nell’opinione generale alle quali corrispondono specifiche caratteristiche, che sono, pure, mutevoli nel tempo, sia sul piano della percezione dei consociati sia sul piano oggettivo, per il deperimento dell’immobile, o per il degrado dell’area ove lo stesso si trovi (così Cass. n. 22557 del 2008, in motivazione).
2.5. Le anzidette caratteristiche non vanno, tuttavia, mutuate dal D.M. 2 agosto 1969 che indica, invece, i diversi parametri in base ai quali stabilire la caratteristica «di lusso» delle abitazioni, e ciò in quanto l’attribuzione della categoria catastale A/1 (Abitazioni di tipo signorile: Unità immobiliari appartenenti a fabbricati ubicati in zone di pregio con caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture di livello superiore a quello dei fabbricati di tipo residenziale) non implica, necessariamente, che l’immobile costituisca un’abitazione di lusso (cfr. Cass. n. 2250 del 2021; Cass. n. 33927 del 2019; Cass. n. 10283 del 2019).
2.6. È, infatti, opportuno precisare che, mentre il procedimento di classamento è volto all’attribuzione di categoria e classe alle unità immobiliari e della relativa rendita, la qualificazione di un’abitazione in termini «di lusso» è finalizzata al diverso scopo di precludere l’accesso a
talune agevolazioni, e la relativa connotazione presuppone, appunto, la ricorrenza di specifici requisiti in relazione alle otto, diverse, tipologie di abitazioni indicate dal menzionato D.M. del 1969 (riferite: alla destinazione a «ville», «parco privato» delle aree su cui sorgono, ovvero alla relativa qualifica ad opera degli strumenti urbanistici come «di lusso»; all’estensione del lotto sul quale sorgono; al rapporto tra la relativa cubatura e la superficie asservita; alla dotazione di piscina o campi da tennis di precise caratteristiche; costituenti alloggio padronale; all’estensione della superficie utile complessiva superiore a mq. 240; al rapporto tra costo del terreno coperto rispetto al costo di costruzione; alla presenza di oltre quattro caratteristiche indicate nell’allegata tabella).
2.7. La conclusione qui adottata trova conforto nella previsione del d.l. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3, lett. e), convertito in l. n. 133 del 1994, secondo cui non possono esser riconosciuti rurali «i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 2 agosto 1969».
2.8. La congiunzione disgiuntiva adoperata dalla norma depone, appunto, nel senso della mancata coincidenza dei requisiti che devono possedere gli immobili da classificare nella categoria A1 (ed A8) rispetto a quelli delle abitazioni aventi caratteristiche di lusso.
2.9. L’impugnata sentenza correttamente, dunque, ha ritenuto la congruità del classamento non in relazione ai requisiti indicati al punto 8 del d.m. 2 agosto 1969 (presenza di oltre quattro caratteristiche indicate nell’allegata tabella), ma alle caratteristiche proprie della categoria catastale A/8.
2.10. Nel caso di specie si controverte, come si è detto, del classamento dell’immobile de quo in categoria A/8 o A/7.
2.11. Questa Corte, proprio in riferimento ad una controversia incentrata sul medesimo tema, ha affermato quanto segue: «Il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di un reticolo di
categorie e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all’Ufficio tecnico erariale (d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9). L’ufficio tecnico erariale procede sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo (è tuttora utile in proposito la circolare n. 134 del 6 luglio 1941, integrata dalla istruzione 2 del 24 maggio 1942). Di fatto, mentre è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale la suddivisione in cinque gruppi (A, B, C, D, E) articolati in numerose categorie (Al, A2, A3, …), sono assai incerti i criteri in forza dei quali un immobile rientri nelle diverse categorie: vada ad esempio classificato come A2 (abitazione di tipo civile) piuttosto che come A3 (abitazione di tipo economico). Nel suo “quadro generale delle categorie con annesso massimario” contenuto nella citata circolare 134 del 1941 il Ministero avvertiva in riferimento alle prime otto classi della categoria A, che “trattandosi di qualificazione relativa e variabile da luogo a luogo, deve corrispondere al significato che ha localmente”; qualche maggiore precisazione è oggi contenuta nella circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5/3/1100, ma siamo sempre a livello di mere istruzioni amministrative, di cui si tiene conto in quanto possibile espressione di un “comune sentire”. Proprio in considerazione di queste difficoltà, ai fini della applicazione delle agevolazioni fiscali “prima casa”, il legislatore ha creato un’apposita categoria di “abitazioni di lusso” che non ha preciso riscontro nelle classi catastali (tanto che si nega che essa coincida con la categoria catastale A1). Queste difficoltà si riflettono sulla distinzione fra “A/7 abitazioni in villini” e “A/8 – abitazioni in ville”. Sembra di dover affermare che ciò che caratterizza la “villa” non sono soltanto le dimensioni, quanto le attrezzature di cui dispone, le caratteristiche interne, il pregio degli infissi e degli ornamenti, la collocazione, il rapporto con il territorio, le vie di accesso. Nel linguaggio comune (ripreso dal legislatore) edifici simili vengono chiamati “villa” se collocati in località di lusso e “villini” se collocati in aree di minor pregio. Altro è poi se le vie di comunicazione sono difficoltose in quanto l’edificio è collocato in una pregiata località montuosa o panoramica, altro è se l’isolamento non è espressione di un
lusso bensì, più banalmente, determina una scomodità. La circolare ministeriale 5/1992 afferma, in proposito, come per “ville debbano intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario. Consistenza e dotazione di impianti corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 3, 6, 8, 9, 10, 11, 12 e 14 dei prospetti 9)”. Mentre “per villino deve intendersi un fabbricato, anche se suddiviso in unità immobiliari, avente caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture proprie di un fabbricato di tipo civile o economico ed essere dotato, per tutte o parte delle unità immobiliari, di aree coltivate o no a giardino. Le unità immobiliari dovranno avere consistenza e dotazioni corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 13, 14 e 15 dei prospetti 9)”. Ora, per parco non può certo intendersi la utilizzabilità di qualunque area verde, altrimenti tutte le abitazioni rurali sarebbero ville, bensì un’area con alberi destinata ed adattata al godimento degli abitanti, tanto più appetibile perché sita in zone di pregio o destinate, appunto, a ville. E si deve altresì valutare se l’immobile abbia “caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario”» (cfr. Cass. n. 2704/2014; conf. Cass. n. 24797/2021).
2.12. La citata Nota del Ministero delle Finanze 4 maggio 1994, n. c-1/1022 prevede espressamente quanto segue: «Ville devono intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate di norma non esclusivamente in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio, con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello generalmente superiore all’ordinario. Ampia consistenza e dotazione di impianti e servizi. Possono anche identificare immobili aventi rilevanti caratteri tipologici e architettonici in relazione all’epoca di costruzione».
2.13. Occorre inoltre evidenziare che se è vero che, a norma dell’art. 3 del R.D.L. 652 del 1939, l’accertamento generale degli immobili urbani deve essere fatto per «unità immobiliare», che si considera tale, in base al successivo art. 5, «ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile e atta a produrre un reddito proprio», e che a i sensi dell’art. 8, comma primo, del R.D.L. 652 del 1939, e degli art. 6, comma 1 e 61, comma 2, d.P.R. n. 1142/1949, la categoria e la classe catastali debbono essere attribuite in ragione delle caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari, avendo così riguardo l ‘accatastamento alla situazione reale o di fatto, ben può, quindi, anche un singolo immobile scindersi, agli effetti catastali, in tante unità immobiliari distinte quando sono ciascuna idonea a produrre un reddito suo proprio.
2.14. In ipotesi di frazionamento di un immobile in distinte unità immobiliari, la tipologia catastale di un edificio non determina, dunque, automaticamente la medesima tipologia per ogni singola unità immobiliare che ne faccia parte, occorrendo tener conto delle relative condizioni concrete e delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche (in termini cfr. Cass. nn. 25805 del 2022, 14867 del 2013, 10013 del 2003).
2.15. Ciò posto, nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato quanto segue circa l’unità immobiliare in oggetto:«Nel merito questa Commissione condivide la valutazione del primo Giudice secondo cui la mera creazione di due subalterni dalla originaria consistenza dell’immobile non ha modificato le caratteristiche della villa con la realizzazione di due villini. Come adeguatamente motivato dall’Ufficio nell’accertamento impugnato, infatti, l’originario classamento della unità immobiliare in A/8 classe 1 non poteva ritenersi modificato per la semplice divisione e diversa distribuzione degli spazi interni, persistendo la significativa edificazione all’interno di parco e/o giardino, in zona residenziale di pregio, con le medesime caratteristiche costruttive e di rifinitura di livello superiore all’ordinario e per la dotazione di impianti e servizi tra cui una piscina. Nel giustificare il declassamento,
peraltro, i contribuenti nemmeno hanno specificato quali caratteristiche di pregio avrebbe perso l’immobile dopo la ristrutturazione».
3.13. Si tratta di elementi che rendono sostenibile l’eseguito riclassamento in categoria A/8.
3.14. Le doglianze mirano, pertanto, in realtà, sebbene apparentemente formulate anche nel prisma della violazione di legge sostanziale e processuale, a suscitare una diversa valutazione del quadro fattuale (caratteristiche dell’immobile, sua ubicazione) già congruamente esaminato dai giudici di merito, con ciò tralasciando di considerare che una simile rivisitazione, estesa all’efficacia probatoria degli elementi istruttori acquisiti in giudizio, è senza dubbio preclusa in sede di legittimità (a maggior ragione, in assenza di un ammissibile motivo di natura motivazionale, precluso per «doppia conforme» ex art. 348 ter , c.p.c.).
3.15. È opportuno, inoltre, evidenziare che né la Circolare n. 5/92 della Direzione Generale del Catasto, né la Nota del Ministero delle Finanze 4 maggio 1994, n. c-1/1022, dianzi richiamate, richiedono che la corte o giardino – che pure debbono necessariamente sussistere quale elemento differenziatore di ville (A8) e villini (A7) rispetto alle unità immobiliari classificabili come abitazioni di tipo civile A2 – debbano essere asservite ad uso esclusivo dell’immobile abitativo da censire (cfr. Cass. n. 9358 del 2024; 23391 del 24/8/2021 in motiv.).
3.16. Se l’esistenza di un giardino riservato ne legittima la rilevanza catastale come dipendenza ad uso esclusivo, la presenza di un giardino ad uso comune con altre unità abitative ne giustifica in effetti l’iscrizione come «bene comune non censito (BCNC)», ma ciò di per sé non preclude, nel concorso di tutte le altre caratteristiche tipologiche, l’inserimento del bene nella categoria A8 «villa».
3.17. Va infine considerato che i n tema di classamento ed accertamento catastale, l’indicazione delle unità omogenee cui fa riferimento l’art. 75 del d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142 rappresenta, nel giudizio tributario, non già un presupposto processuale, ma esaurisce i
suoi effetti sotto il profilo meramente istruttorio, rappresentando un parametro di riferimento utilizzabile ai fini della formazione del suo convincimento dal Giudice adito, il quale può però attingere ad ogni altro elemento acquisito agli atti di causa ai fini della corretta classificazione catastale (cfr. Cass. n. 12446 del 2004, 5625 del 2003).
3.17. In definitiva, risulta che il Giudice regionale abbia correttamente applicato la normativa catastale di riferimento.
4.1. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c. violazione degli artt. 5, 17 e 20 del RDL n. d.l. 13.4.1939 n. 652, conv. in l. 11.8.1939 n. 1249 , dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. legge 27 luglio 2000, n. 212 per aver ritenuto onere dei contribuenti «allegare e provare le caratteristiche differenti possedute dai due nuovi fabbricati rispetto al precedente».
4.2. Nelle controversie riguardanti la verifica della attendibilità del provvedimento di classamento, emesso dall’Amministrazione in rettifica di quello proposto dal contribuente, a mezzo della procedura DOCFA di cui al d.m. Finanze 19 aprile 1994, n. 701, l’onere di provare nel contraddittorio con il contribuente gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa, nel quadro del parametro prescelto, spetta alla stessa Amministrazione, salva comunque la facoltà del contribuente di assumere su di sé l’onere di dimostrare l’infondatezza della pretesa di maggiore rendita catastale, avvalendosi dei criteri astratti utilizzabili per l’accertamento del classamento o del concreto raffronto con le unità immobiliari presenti nella stessa zona censuaria in cui è collocato l’immobile; ne consegue che il giudice del merito, dovendo verificare se la categoria e la classe attribuite all’immobile risultino adeguate secondo i dati presenti nella motivazione dell’atto, non può trarre tale prova positiva dall’insuccesso dell’onere probatorio assunto dal contribuente, in difetto dell’assolvimento dell’onere della prova posto a carico dell’Ufficio (cfr. Cass. nn. 16569 del 2024, 15495 del 2013).
4.3. Tuttavia, nel caso di specie, la CTR non ha posto l’onere probatorio a carico della contribuente, ma ha affermato che, una volta che l’Ufficio aveva assolto quello su di esso gravante, sarebbe stato onere della prima fornire la dimostrazione degli eventuali fatti estintivi o impeditivi , il che determina l’infondatezza della doglianza di parte ricorrente.
In conclusione, il ricorso va integralmente respinto.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità