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Cessione d’azienda: la Cassazione e l’art. 20

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16544/2024, ha stabilito che un’operazione strutturata come conferimento di ramo d’azienda seguito da una vendita di quote non può essere riqualificata dal Fisco come un’unica cessione d’azienda. La Corte ha applicato la nuova formulazione dell’art. 20 d.P.R. 131/1986, con efficacia retroattiva, affermando che la tassazione deve basarsi sulla natura giuridica intrinseca del singolo atto registrato, senza considerare elementi extra-testuali o atti collegati. Di conseguenza, l’avviso di liquidazione dell’Agenzia delle Entrate è stato annullato.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Cessione d’azienda e Riqualificazione Fiscale: la Cassazione fissa i limiti per il Fisco

Con la recente sentenza n. 16544 del 13 giugno 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per la pianificazione fiscale delle imprese: la riqualificazione di operazioni complesse in una presunta cessione d’azienda ai fini dell’imposta di registro. La decisione chiarisce in modo definitivo i limiti del potere dell’Amministrazione finanziaria, applicando i principi sanciti dalla nuova formulazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986.

I Fatti: Una Struttura Operativa Sotto la Lente del Fisco

Il caso ha origine da una serie di operazioni intercorse tra tre società. In un primo momento, una multinazionale dell’informatica aveva conferito un proprio ramo d’azienda, specializzato in prodotti e servizi di manutenzione, a una società di nuova costituzione. In cambio del conferimento, la multinazionale aveva ricevuto una quota di partecipazione nella società conferitaria. Successivamente, e in un breve lasso di tempo, la stessa multinazionale aveva venduto tale quota di partecipazione a una terza società, leader nel settore software, per un corrispettivo di 24 milioni di euro.

La Controversia: Imposta di Registro o IVA?

L’Agenzia delle Entrate, notando la stretta connessione temporale e funzionale tra i due negozi giuridici (conferimento e successiva vendita delle quote), aveva riqualificato l’intera operazione. Secondo il Fisco, le parti avevano mascherato un’unica operazione, ovvero una diretta cessione d’azienda dalla multinazionale alla società di software. Di conseguenza, l’Amministrazione aveva emesso un avviso di liquidazione per assoggettare l’operazione all’imposta di registro, in luogo dell’IVA applicata dalle parti.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione ai contribuenti, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Ufficio e ritenendo corretta la riqualificazione basata sull’interpretazione allora prevalente dell’art. 20.

La Decisione della Cassazione sulla cessione d’azienda

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi delle società, cassando la sentenza d’appello e annullando l’avviso di liquidazione. La decisione si fonda sull’interpretazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, come modificato nel 2017 e successivamente oggetto di interpretazione autentica con efficacia retroattiva.

Il Principio “Ab Intrinseco” e i Limiti alla Riqualificazione

Il fulcro della sentenza risiede nell’affermazione che l’Amministrazione finanziaria, nell’attività di qualificazione degli atti, deve attenersi esclusivamente alla natura intrinseca e agli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione. Questo significa che l’analisi deve essere condotta ab intrinseco, cioè “dall’interno” dell’atto stesso, senza poter fare riferimento a elementi extra-testuali o ad altri atti collegati, anche se funzionalmente connessi.

La Corte ha ribadito che operazioni strutturate come un conferimento d’azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni non possono essere riqualificate come una cessione d’azienda, poiché si tratta di negozi giuridici distinti con effetti propri. Il Fisco non può fondare la sua riqualificazione sull’individuazione di un presunto scopo economico unitario che trascende la forma giuridica scelta dalle parti.

L’Efficacia Retroattiva della Nuova Disciplina

Un aspetto di grande rilevanza è che la Corte ha applicato la nuova e più garantista versione dell’art. 20 a una fattispecie verificatasi prima della sua entrata in vigore. Ciò è stato possibile perché una legge successiva (l. n. 145/2018) ha attribuito alla modifica natura di interpretazione autentica, estendendone l’efficacia retroattivamente e sanando così il contenzioso pregresso. Questo approccio, avallato anche dalla Corte Costituzionale, ha consolidato la certezza del diritto per i contribuenti.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il giudice regionale aveva commesso un errore applicando un criterio interpretativo dell’art. 20 non più attuale. La nuova formulazione della norma, con la sua riconosciuta efficacia retroattiva, impone una valutazione strettamente legata alla forma giuridica e agli effetti prodotti dal singolo atto. Pertanto, l’operazione di conferimento e la successiva cessione di quote, essendo atti giuridicamente distinti, devono essere tassati separatamente secondo le rispettive discipline (IVA per il conferimento e imposta di registro sulla cessione delle quote), senza che sia possibile una loro fusione in un’unica cessione d’azienda soggetta solo a imposta di registro.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo a tutela della libertà di scelta delle forme giuridiche nell’organizzazione delle attività d’impresa. Viene rafforzato il principio di legalità e certezza del diritto, stabilendo che la tassazione deve seguire la causa giuridica tipica del negozio posto in essere e non un’ipotetica causa economica complessiva individuata a posteriori dal Fisco. L’annullamento dell’avviso di liquidazione conferma che la pianificazione fiscale, se attuata attraverso negozi giuridici leciti e distinti, non può essere riqualificata arbitrariamente dall’Amministrazione finanziaria.

Può l’Agenzia delle Entrate riqualificare due negozi giuridici collegati, come un conferimento e una vendita di quote, in un’unica cessione d’azienda?
No. Secondo la sentenza, basata sulla nuova formulazione dell’art. 20 del d.P.R. 131/1986, l’Amministrazione finanziaria deve limitarsi a interpretare il singolo atto presentato per la registrazione in base ai suoi effetti giuridici intrinseci, senza poter considerare elementi esterni o atti collegati per riqualificare l’operazione.

La nuova versione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, che limita i poteri di riqualificazione, si applica anche a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la norma ha efficacia retroattiva. Questo perché una legge successiva (l. n. 145/2018) ha specificato che la modifica del 2017 costituisce un’interpretazione autentica, estendendone quindi l’applicazione anche ai rapporti giuridici sorti in precedenza.

Un’operazione strutturata con un conferimento d’azienda seguito dalla vendita delle quote ricevute è considerata legittima?
Sì. La sentenza afferma che le operazioni strutturate in questo modo non configurano, di per sé, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale. Si tratta di negozi giuridici leciti e autonomi che non possono essere qualificati d’ufficio come un’unica cessione d’azienda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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