Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9156 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9156 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29589/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE
-intimati-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA SEZ.DIST. LECCE n. 1328/2022 depositata il 12/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sez. dist. Lecce ( hinc: CTR), con la sentenza n. 1328/2022 depositata in data 12/05/2022, ha rigettato l’appello principale proposto da Equitalia e quello incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 924/2016 pubblicata in data 24/11/2016, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Brindisi aveva, a sua volta, accolto il ricorso proposto dal contribuente contro l’intimazione di pagamento notificata in data 10/11/2015, con cui era stato chiesto il pagamento di diverse cartelle, dichiarandosi incompetente in relazione a quelle relative alle tasse automobilistiche.
2. In sintesi, la CTR aveva ritenuto che la data di cancellazione della società contribuente (nella specie, secondo quanto indicato a pag. 1 del ricorso da individuare nella società RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE) risalisse al 31/12/2001, data stabilita dal Tribunale di Brindisi con provvedimento depositato in data 04/12/2009, dove si dava atto della cessazione, alla stessa data, della partita IVA, come documentato dalla visura dell’Agenzia delle Entrate. Rileva, sul punto che: « il funzionario della CCIAA non si opponeva alla cancellazione. Anche l’Agenzia perciò, doveva essere a conoscenza, dal 2001, dell’attività cessata.»
Da tale premessa il giudice di seconde cure trae la conclusione che le cartelle e l’intimazione di pagamento siano state notificate a una società ormai cessata e, poiché gli atti hanno natura recettizia, per venire a esistenza devono essere notificati in capo al soggetto nei
cui confronti si è verificato il presupposto impositivo. Se il notificatario non esisteva più, trattandosi di società estinta, il fisco avrebbe dovuto rivolgere le proprie richieste ai soci o agli amministratori.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
Le parti intimate non si sono costituite.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2192 e 2193 c.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che la data di estinzione della società fosse il 31/12/2001 e non il 15/12/2009, cioè la data ricavabile dal registro delle imprese.
1.1. Ad avviso del giudice di secondo grado le cartelle di pagamento e l’intimazione di pagamento sarebbero state notificate alla società quando ormai era stata cancellata dal registro delle imprese, in base al provvedimento del Tribunale di Brindisi del 04/12/2009, che aveva retrodatato al 31/12/2001 l’estinzione della società. È pacifico, infatti, che dall’esame della visura camerale risulti la cancellazione della società dal 15/12/2009. La CTR ha, tuttavia, deciso, affidando l’individuazione del dies della cancellazione dal pronunciamento del Tribunale di Brindisi che l’ha retrodatata. Tuttavia, solo la cancellazione della società dal registro delle imprese comporta l’estinzione della società e tale regola vale anche per le società di persone (Cass., Sez. U, 22/02/2010, n. 4062). Sono, quindi, valide le notificazioni delle cartelle di pagamento eseguite in data 21/10/2004 e 16/02/2006, prima che la società fosse cancellata e, quindi, estinta.
1.2. La ricorrente rileva, poi, che la cessazione della partita IVA non corrisponde automaticamente alla cancellazione dal registro delle imprese della società intestataria di tale partita, essendo necessaria, a tal fine, un’apposita iscrizione.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. Il giudice di secondo grado ha ritenuto prive di effetto le cartelle notificate in data 21/10/2004 e 16/02/2007, perché eseguite nei confronti di una società ormai estinta. Le conclusioni della CTR sono errate in diritto, perché i giudici regionali non hanno affatto considerato che la cancellazione di una società anteriore al 01/01/2004 (data di entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 2495, comma 2, c.c.) ha effetto da quest’ultima data. In ogni caso, i giudici di seconde cure non hanno tenuto conto del fatto che, ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., i creditori, dopo la cancellazione della società, possono far valere i propri crediti nei confronti della società e dei soci e se la domanda è proposta entro un anno dalla cancellazione può essere notificata all’ultima sede della società. Richiama, quindi, con riferimento alle società di persone Cass., Sez. U, 22/02/2010, n. 4060.
Anche a voler ritenere applicabile al caso di specie la retrodatazione della cancellazione della società alla data del 31/12/2001 dovrebbe avere efficacia, applicando i principi delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte, al più, alla data del 01/01/2004, con la conseguenza che, tanto la notificazione della cartella di pagamento avvenuta in data 21/10/2004 che quella avvenuta in data 16/02/2006 sarebbero rispettose del termine previsto dall’art. 2495, comma 2, c.c.
Con il terzo motivo è stata denunciata , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione
dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 , per avere la CTR pronunciato una sentenza priva di motivazione o viziata da motivazione apparente, puramente oracolare, apodittica, con particolare riferimento all’individuazione del momento della cancellazione della società dal registro delle imprese.
3.1. La sentenza impugnata, secondo la ricorrente, si limiterebbe, infatti, ad affermare apoditticamente che il dies dalla cancellazione dal registro delle imprese è il 31/12/2001, in forza di quanto stabilito dal Tribunale di Brindisi con pronuncia depositata in data 04/12/2009. Era stata, tuttavia, prodotta documentazione comprovante la cancellazione alla data del 15/12/2009, compresa la visura camerale.
Passando all’esame dei motivi di ricorso occorre rilevare, in via preliminare, che dalla lettura della sentenza della CTR risulta che sia stato impugnato sia l’atto di intimazione, sia le cartelle di pagamento presupposte (come dimostra, peraltro, anche la declaratoria parziale di incompetenza del giudice di primo grado in relazione alle cartelle relative alle tasse automobilistiche).
Occorre, poi, dare atto dell’infondatezza del terzo motivo, incentrato sul vizio di motivazione apparente. Il motivo è infondato, considerato che è ampiamente comprensibile il percorso motivazionale della CTR che, facendo decorrere la cancellazione della società dal 31/12/2001 (sulla base di un provvedimento del Tribunale di Brindisi del 04/12/2009), ritiene, sulla base di tale presupposto -nonostante una certa confusione tra cessazione dell’attività e cancellazione della società dal registro delle imprese non espressamente censurata dalla ricorrente -che le notifiche, tanto delle cartelle che dell’atto di intimazione eseguite nei confronti della società e non dei soci non potessero essere considerate corrette.
Secondo questa Corte, infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., 03/03/2022, n. 7090).
I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
6.1. In primo luogo, occorre evidenziare che il meccanismo di funzionamento del registro delle imprese si incentra sulla pubblicità dichiarativa , scolpita nell’art. 2193 c.c. (« I fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l’iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza. L’ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta. Sono salve le disposizioni particolari della legge. »). Di conseguenza, l’opponibilità dell’atto ai terzi, a prescindere dalla conoscenza effettiva, presuppone, comunque, la conoscibilità, attuata attraverso la sua iscrizione nel registro delle imprese, anche nelle ipotesi in cui la stessa sia disposta ex officio. Quest ‘ultima, peraltro, produce gli stessi effetti ricollegabili all’iscrizione su domanda, secondo la regola enunciata dall’art. 2193, comma 2, c.c.
6.2. Sebbene ad avviso della dottrina, tanto nel momento finale che in quello iniziale della vita delle società, venga in rilievo, sia per
le società di capitali che per quelle di persone, la pubblicità con efficacia costitutiva -trattandosi di un (co)elemento essenziale della fattispecie, del quale non si può fare a meno, nella fase iniziale quanto meno ai fini dell’acquisto della personalità giuridica o (fatta eccezione per la società semplice) dell’autonomia patrimoniale più o meno perfetta nella fase terminale ai fini della cessazione di tali effetti o della estin zione dell’ente -le Sezioni Unite di questa Corte hanno rilevato, che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone (ipotesi che viene in rilievo nel caso in esame). In particolare, la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della capacità e soggettività limitata propria delle società di persone, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore (Cass., Sez. U, 22/02/2010, n. 4060).
6.3. Con riferimento all’efficacia dichiarativa della cancellazione dal registro delle imprese per le società di persone le Sezioni Unite hanno precisato che « La situazione delle società di persone si differenzia da quella delle società di capitali, a tal riguardo, solo in quanto l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto che le cancella ha valore di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con prova contraria. Ma è bene precisare che tale prova contraria non potrebbe vertere sul solo dato statico della pendenza di rapporti non ancora
definiti facenti capo alla società, perché ciò condurrebbe in sostanza ad un risultato corrispondente alla situazione preesistente alla riforma societaria. Per superare la presunzione di estinzione occorre, invece, la prova di un fatto dinamico: cioè che la società abbia continuato in realtà ad operare – e dunque ad esistere – pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro. Ed è questa soltanto la situazione alla quale la successiva sentenza n. 4826 del 2010 ha poi ricollegato anche la possibilità che, tanto per le società di persone quanto per le società di capitali, si addivenga anche d’ufficio alla “cancellazione della pregressa cancellazione” (cioè alla rimozione della cancellazione dal registro in precedenza intervenuta), in forza del disposto dell’art. 2191 c.c., con la conseguente presunzione che la società non abbia mai cessato medio tempore di operare e di esistere. » (Cass., Sez. U, 12/03/2013, n. 6070).
6.4. Nonostante la distinzione tra pubblicità costitutiva e pubblicità dichiarativa resta innegabile il dato normativo che fa decorrere, comunque, l’ opponibilità ai terzi dell’atto dall’adempimento della formalità pubblicità e l’irretroattività della produzione degli effetti dichiarativi, consustanziale all’essenza del regime pubblicitario e al tenore letterale dell’art. 2193, comma 2, c.c. Tale norma fa, infatti, decorrere tali effetti « dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta» . In altre parole, mentre è possibile -alle condizioni indicate nella giurisprudenza di questa Corte appena richiamata -far venir meno gli effetti della cancellazione, per effetto di un provvedimento che disponga la cancellazione della pregressa cancellazione, non è possibile ipotizzare alcuna ipotesi di efficacia retroattiva della cancellazione della società dal registro delle imprese, anche laddove disposta dal giudice. Difatti -come è stato correttamente evidenziato -la cancellazione d’ufficio, in quanto rimozione di una precedente iscrizione, è fuori dal campo di
applicazione dell’art. 2193 c.c., con la conseguenza che la retroattività le deriva proprio dal non essere una pubblicità dichiarativa.
6.5. Una volta puntualizzato che gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese scaturiscono necessariamente dalla data dell’adempimento della formalità pubblicitaria emerge che, prendendo, quale data di cancellazione dal registro delle imprese quella del 15/12/2009 -cioè quella che risulta dal registro delle imprese secondo quanto riferito dalla parte ricorrente -, mentre le cartelle di pagamento notificate negli anni 2004 e 2006 sarebbero state correttamente consegnate alla società (non ancora cancellata), non può dirsi altrettanto per quanto riguarda l’atto di intimazione di pagamento, notificato in data 10/11/2015 alla società NOME RAGIONE_SOCIALE
Di conseguenza, mentre le notificazioni delle cartelle devono ritenersi corrette, per quanto riguarda l’atto di intimazione, notificato alla società (v. pag. 1 del ricorso) , l’errore di diritto in cui è incorsa la CTR è quello di non aver considerato che, in seguito all’estinzione della società, l’atto poteva essere notificato agli ex soci ( ex multis , v. Cass., 24/06/2024, n. 17404; Cass. 09/01/2024, n. 753; Cass., 29/10/2021, n. 30736).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere rigettato il terzo motivo, mentre devono essere accolti i primi due motivi di ricorso, nei termini di cui alla presente motivazione.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. dist. Lecce, affinché in diversa composizione decida anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui motivazione e rigetta il terzo motivo di ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. dist. di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14/02/2025.