Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32857 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32857 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Comunicazione di irregolarità -indicazione, in dichiarazione, di rimborso non spettante – prova della erogazione – art. 1 comma 586 l. 147/2013
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26625/2019 R.G. proposto da: NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 1089/04/2019, depositata in data 8 febbraio 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre
2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME la comunicazione di irregolarità n. 0008305114371, prot. n. 06727711423 – relativa al controllo automatizzato eseguito sul modello 730/2014 – con la quale richiedeva Euro 7.100,00 per
rimborsi indebitamente percepiti dalla contribuente, ed erogati dal sostituto d’imposta.
Precisamente, la COGNOME, per l’anno di imposta 2013, aveva presentato due modelli 730 di dichiarazione dei redditi, la prima in data 26/06/2014, unitamente al marito, la seconda in data 27/10/2014, da sola; la seconda aveva dato luogo alla comunicazione d i irregolarità, stante l’assenza di documentazione della società RAGIONE_SOCIALE (sostituto d’imposta) attestante la mancata erogazione del rimborso.
La contribuente proponeva quindi reclamo avverso il detto atto e, fallita la procedura di mediazione, il ricorso era iscritto presso la CTP di Salerno. A sostegno del ricorso deduceva: a) la mancata percezione del rimborso richiesto in sede di dichiarazione dei redditi; b) la mancanza di motivazione dell’avviso bonario; c) l’infondatezza della pretesa impositiva.
La CTP rigettava il ricorso evidenziando come la ricorrente non avesse provato la mancata erogazione del rimborso da parte della RAGIONE_SOCIALE attesa l’inidoneità al detto fine della documentazione prodotta in sede di mediazione (in quanto priva di data, firma e protocollo della società emittente).
Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello , condividendo l’iter logico seguito dal primo giudice . In particolare, non si evinceva la mancata erogazione, da parte del sostituto d’imposta, del rimborso alla contribuente in sede di assistenza fiscale.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 15 /11/2024. In data 23-24/7/2024 risulta depositata documentazione da parte della ricorrente, erroneamente catalogata sul DESK quale ‘istanza di trattazione in pubblica udienza’ .
In data 5 novembre 2024 la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Va, preliminarmente, dichiarata l’inammissibilità della documentazione depositata dalla ricorrente in data 23/24 luglio 2024, atteso che trattasi di documenti (in particolare, la sentenza n. 3306/2018 della CTP di Salerno, indicata a pagina 2 del ricorso per cassazione) antecedenti alla proposizione dell’impugnativa e, pertanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 372 cod. pro c. civ., andavano prodotti insieme al ricorso (ove, beninteso si trattava, come nel caso della sentenza della CTP di Salerno, di documenti venuti ad esistenza dopo la decisione della CTR). Ad ogni modo, la sentenza n. 3306/2018 è priva dell’attestazione del passaggio in giudicato, per cui nessuna valenza può avere nel presente giudizio.
Con il primo strumento di impugnazione la contribuente lamenta la « violazione e falsa applicazione dell’art. L. 147/2013, in riferimento all’art. 360 n. 3 cpc ». Il motivo si sviluppa lungo due direttrici: da una parte, la ricorrente sostiene che ai sensi dell’art. 1, comma 586, l. 147/2013 (applicabile ratione temporis alla fattispecie), il sostituto d’imposta non avrebbe potuto erogare il rimborso, essendo d’importo superiore ad Euro 4.000,00; dall’altra, afferma che i giudici di prossimità le avrebbero imposto una probatio diabolica , ovvero la prova di non aver ricevuto il rimborso, e che, comunque, una prova in tal senso era stata fornita mediante la documentazione depositata, ovvero la dichiarazione della RAGIONE_SOCIALEr.RAGIONE_SOCIALE e le buste paga.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
2.1. Precisamente, la doglianza è priva di pregio nella parte in cui viene dedotta la violazione dell’art. 1, comma 586, della l. 147/2013.
La citata norma, abrogata dall’art. 1, comma 956, della l. 208/2015, con decorrenza dal 1° gennaio 2016, prevedeva che ‘al fine di contrastare l’erogazione di indebiti rimborsi dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche da parte dei sostituti d’imposta nell’ambito dell’assistenza fiscale di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché di quelli di cui all’articolo 51 -bis del decretolegge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, l’Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione di cui agli articoli 16 e 17 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, ovvero dalla data della trasmissione, ove questa sia successiva alla scadenza di detti termini, effettua controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborso complessivamente superiore a 4.000 euro, anche determinato da eccedenze d’imposta derivanti da precedenti dichiarazioni’.
Ora, la norma è chiara nel prevedere che in determinate condizioni (rimborsi superiori ad Euro 4.000,00) l’Agenzia possa effettuare controlli preventivi sulle dichiarazioni dei redditi (tra l’altro, limitati alla spettanza delle detrazioni per carichi di f amiglia).
Ma ciò non impedisce affatto che all’esito dei controlli il rimborso, anche superiore ad Euro 4.000,00, sia effettivamente dovuto; è la stessa Risoluzione dell’Agenzia (citata anche dalla contribuente) n. 57/E del 2014 a prevedere la possibilità che l’Uffi cio provveda, all’esito dei controlli, ai rimborsi di importo superiore ad Euro 8.000,00.
Pertanto, la tesi della ricorrente, secondo cui la società RAGIONE_SOCIALE non può aver effettuato il rimborso sol perché di importo superiore ad Euro 4.000,00 (e, ove eseguito, sarebbe avvenuto in violazione della detta norma), non può trovare credito, in quanto il comma in commento non esclude affatto che venga indicato il rimborso per un importo superiore ad Euro 4.000,00, né che lo stesso possa essere erogato all’esito dei controlli da parte dell’Agenzia.
2.2. Il motivo è, in altra parte, inammissibile per difetto di autosufficienza, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ.. Invero, il ricorrente non ha indicato nel ricorso in quale atto o segmento processuale avrebbe depositato la documentazione asseritamente idonea a provare il mancato versamento del rimborso da parte del sostituto d’imposta, né ha allegato al ricorso la detta documentazione.
2.2.1. Il sostrato normativo del ricorso per cassazione risiede nell’esposizione sommaria dei fatti di causa e nella specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali esso si fonda, che l’art. 366, co mma 1, cod. proc. civ., richiede a ‘pena di inammissibilità’, rispettivamente ai nn. 3) e 6) (in sinergia con il principio di specificità dei motivi veicolato dal n. 4), e il cui rispetto comporta che dalla sola lettura dell’atto, corredato da puntuali ri ferimenti normativi e documentali, il Giudice di legittimità deve essere posto in grado di comprendere le critiche rivolte alla pronuncia del Giudice di merito, per poterne poi valutare la fondatezza (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
2.2.2. Il formante normativo, giurisprudenziale e convenzionale segnala che il ricorso è ‘autosufficiente’, e quindi ammissibile, quando: i) i motivi rispondono ai criteri di specificità previsti dal codice di rito; ii) ogni motivo indica, se del caso, l’atto, il documento, il contratto o accordo collettivo su cui si fonda e i riferimenti topografici (pagine, paragrafi o righe) dei brani citati; iii) ogni motivo indica la fase processuale in cui il documento o l’atto è stato creato o prodotto; iv) il ricorso è accompagnato da un fascicoletto che contiene, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., gli atti, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso.
2 .2.3. La perimetrazione del concetto di ‘autosufficienza’ risale alla sentenza di questa Corte n. 5656 del 1986, ove si affermò che il controllo di legittimità dovesse essere effettuato esclusivamente sulla base degli argomenti contenuti nel ricorso e che il giudice di
legittimità non potesse ritenersi obbligato a ricercare nei fascicoli di merito gli atti e i documenti rilevanti. Successivamente la nozione venne affinata, individuandosene la ratio nel consentire alla Suprema Corte di comprendere la portata delle censure con il ricorso, senza esaminare altri atti o documenti (Cass. n. 9712/2003 e Cass. n. 6225/2005) e, specularmente, di investirla del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti correttamente indicati (Cass. Sez. U., n. 8077/2012).
Il principio dell’autosufficienza, sorto con riferimento ai vizi motivazionali, fu esteso agli errores in iudicando e in procedendo (Cass. n. 8013/1998, Cass. n. 4717/2000, Cass. n. 6502/2001, Cass. n. 3158/2002, Cass. n. 9734/2004, Cass. n. 6225/2005 e Cass. n. 2560/2007) e venne mantenuto anche dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, specificandosi che l’«indicazione» dei documenti pertinenti potesse alternativamente avvenire riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, o, se necessario, trascrivendoli integralmente (Cass. n. 4823/2009, Cass. n. 16628/2009 e Cass. n. 1716/2012); con particolare riferimento all’onere di deposito ex art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., si ritenne sufficiente che il documento citato nel ricorso fosse accompagnato da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui esso era stato prodotto, ferma, in ogni caso, l’esigenza della specifica indicazione richiesta a pena di inammissibilità dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 22726/2011).
2 .2.4. Preme rilevare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la compatibilità del requisito della cd. autosufficienza del ricorso con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, a norma del quale « ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…)» – purché, secondo il criterio di proporzionalità, non si trasmodi in un ‘formalismo eccessivo’ – anche alla luce della sua pregressa giurisprudenza in materia di accesso in tema di ‘limitazioni del di ritto di accesso a una giurisdizione
superiore’, e in particolare alla Corte di cassazione, in ragione delle peculiarità del relativo procedimento (v. sentenze 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia ; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo ; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio ; 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia ; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia ).
Invero, con la sentenza del 28 ottobre 2021 ( COGNOME RAGIONE_SOCIALE altri c. Italia ) la Corte di Strasburgo ha concluso che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione -e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza perseguono uno scopo legittimo, segnatamente quello di « agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia) » e dunque, in ultima analisi, « la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia » (par. 73-75). I giudici europei hanno così fornito una giustificazione ‘sistematica’ del principio di autosufficienza, in quanto funzionale al ruolo che deve assolvere una corte suprema, avendo del resto più volte affermato che le condizioni di ammissibilità di un ricorso per cassazione possono essere anche più rigorose di quelle di un appello (par. 79).
Quanto alla ‘proporzionalità’ delle conseguenze delle restrizioni dell’accesso al giudice di legittimità, la Corte Edu, dopo aver ribadito che « il principio di autosufficienza permette alla Corte di cassazione di circoscrivere il contenuto delle doglianze formulate e la portata della valutazione che le viene richiesta alla sola lettura del ricorso, e garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili » (par. 78) ha proceduto allo scrutinio dei tre ricorsi (riuniti), che erano stati dichiarati inammissibili da questa Corte, portati al suo vaglio.
In particolare, per quanto rileva in questa sede, analizzando il ricorso n. 37781/13 (in cui si era osservato che « il ricorrente si era
limitato a menzionare, nei suoi motivi di ricorso, i documenti del procedimento sul merito senza presentarne le parti pertinenti e senza indicare i riferimenti necessari per ritrovarli nel fascicolo allegato al ricorso per cassazione »), i Giudici europei hanno evidenziato che « il ricorso per cassazione del ricorrente ometteva anche, in varie parti, di indicare i riferimenti delle fonti scritte invocate o dei passaggi della sentenza della corte d’appello citati » (par. 102), osservando che, secondo la propria giurisprudenza, « i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento del merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l’interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto, salvaguardando le risorse disponibili » (par. 103).
Pertanto, « tenuto conto della particolarità del procedimento per cassazione, del processo complessivamente condotto e del ruolo che ha svolto la Corte di cassazione nell’ambito di quest’ultimo (sent. 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia), nonché del contenuto dell’obbligo specifico che il difensore del ricorrente era tenuto a rispettare nel caso di specie (in particolare indicare, per ciascuna citazione di un’altra fonte scritta, il riferimento al documento depositato con il ricorso per cassazione) », la Corte Edu ha concluso che la decisione di inammissibilità della Corte di Cassazione « non possa essere considerata un’interpretazione troppo formalistica che avrebbe impedito l’esame del ricorso per cassazione dell’interessato » (par. 105), con conseguente assenza di una violazione dell’art. 6, § 1, CEDU (par. 106).
2 .2.5. In definitiva, l’onere previsto dalla norma in commento -tra l’altro ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia mediante l’inserimento della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali e dei documenti (ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso
notificato a partire dal 1° gennaio 2023) -interpretato anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU appena richiamata, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
2.2.6. Nella specie, la società contribuente fonda il motivo sulla erronea decisione della CTR ‘nonostante il deposito di cotale documentazione’ (ovvero la dichiarazione della società RAGIONE_SOCIALE e le buste paga), senza, a monte, minimamente indicare quando il detto deposito sia avvenuto e senza, a valle, allegare al ricorso detta documentazione.
Con il secondo motivo la contribuente deduce la «nullità della sentenza dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 36,». Afferma che la sentenza della CTR sia carente di motivazione e ‘priva dei motivi di diritto che avrebbero determinato la decisione, in quanto è totalmente omesso il richiamo alle norme o alla giurisprudenza a cui questa si sarebbe uniformata’ (pag. 8 del ricorso).
Il motivo è infondato.
3.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 7/4/2014 n. 8053).
Con particolare riferimento alla tecnica motivazionale per relationem questa Corte ha ripetutamente affermato che detta motivazione è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., Sez. U., 4/6/2008 n. 14814). Il giudice di appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti ( ex multis , Cass., 7/8/2015 n. 16612) sicché deve considerarsi nulla -in quanto meramente apparente -una motivazione per relationem alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione, come nel caso di specie, non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infonda tezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello ( ex multis , Cass. 21/9/2017 n. 22022 e Cass. 25/10/2018 n. 27112).
3.2. Orbene, nel caso di specie, la CTR ha compiutamente ed ampiamente argomentato la decisione di rigetto del gravame, muovendo dalla considerazione che la contribuente non aveva provato la mancata erogazione, da parte del sostituto d’imposta, del rimborso, pari ad Euro 8.000,00, in sede di assistenza fiscale. Inoltre, con autonoma ratio decidendi non censurata in questa sede, la CTR ha rilevato che alla comunicazione di irregolarità era seguita una cartella di pagamento, non impugnata dall’odierna ricorre nte, per cui la pretesa tributaria ivi inverata era divenuta definitiva. La motivazione non può affatto dirsi, perciò, carente o apparente.
In base alle considerazioni svolte il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 novembre